Berlusconi, la guerra dell’hockey e il sogno infranto della Polisportiva Milan

Una sola squadra, quella rossonera, per tutti gli sport di Milano: un obiettivo inseguito per anni e poi mancato, anche per le resistenze di una tifoseria storica della città.

«Lo sport è formativo, per la tutela e la socialità dei giovani. Soprattutto lo sport di squadra. Lo sport come antidoto alla droga, all’emarginazione, all’incomunicabilità. Lo sport come iniziazione di gruppo». Queste parole le scrive Leonardo Coen su Repubblica — ma naturalmente arrivano dalla Fininvest — il 3 maggio 1989 per raccontare l’ambizione del «Berlusconi Pigliatutto», una polisportiva sul modello di quelle spagnole (Barcellona e Real Madrid), balcaniche (Stella Rossa, Partizan, Panathinaikos, Olympiacos), turche (Fenerbahce e Galatasaray) e tedesche (Bayern Monaco). Mancano esattamente tre settimane alla terza vittoria del Milan nella Coppa dei Campioni, la prima del ciclo-Berlusconi, e il presidente sta trattando con la famiglia Gabetti, immobiliaristi, l’acquisto dell’Olimpia Milano, la squadra di basket della città. È il tassello che manca a un mosaico che da un po’ di tempo comprende, oltre al calcio, anche il rugby, la pallavolo e l’hockey su ghiaccio. Presto alla Polisportiva Mediolanum — o Polisportiva Milan — si aggiungerà il baseball. Il direttore generale è un giovane Fabio Capello. L’Olimpia preserverà per sempre la sua indipendenza, con il rammarico di Adriano Galliani, storico tifoso delle scarpette rosse, ma il sogno di Berlusconi di fare del Milan la Polisportiva Mediolanum scivolerà, qualche anno più tardi, proprio sull’hockey su ghiaccio.  

All’inizio degli anni Novanta Milano è la vera hockeytown d’Italia. Ci sono i Devils, colori sociali rossoneri, di proprietà di Berlusconi dal 1988 e saliti in Serie A nel 1989 dopo aver acquisito il titolo sportivo del Como grazie a una fusione, che giocano al Palacandy (oggi Agorà), costruito nella zona ovest di Milano. E c’è soprattutto il Milano Saima, colori sociali rossoblù, di proprietà del gruppo immobiliare della famiglia Cabassi che nel 1990 ha realizzato il Forum di Assago, un impianto da oltre 10mila posti in un comune a sud ovest della città. Tra la Saima (dal nome dello sponsor, un’azienda di trasporti e logistica) e i Devils si ripropone il derby tra Hockey Club Milano e Diavoli Rossoneri Milano che aveva caratterizzato l’hockey italiano a cavallo del secondo dopoguerra. La prima sfida, nel campionato 1989/90, se la aggiudica la Saima per 9-6 

A livello di pubblico non c’è storia. I Devils nelle partite casalinghe hanno una media di poco più di mille spettatori, mentre la Saima — discendente dell’Hockey Club Milano, fondato nel 1924 pochi mesi dopo la costruzione del più grande palazzo del ghiaccio coperto d’Europa, un edificio in stile liberty in via Piranesi, nella zona di Porta Vittoria — vince il campionato 1990/91 pareggiando 3-3 contro il Bolzano davanti agli 11mila tifosi del Forum. È il 2 marzo 1991 e il popolo rossoblù festeggia anche in piazza del Duomo, come se fosse un trionfo calcistico. Un anno più tardi, però, Giuseppe Cabassi muore a causa di un’epatite. La squadra, piena di debiti, è a un passo dalla chiusura. Il futuro a rischio della società scatena la frustrazione dei tifosi che, nella finale playoff della stagione 1991/92, giocata proprio contro i Devils, arrivano a scontrarsi addirittura con gli arbitri. Berlusconi vince il suo primo scudetto nell’hockey su ghiaccio a porte chiuse. All’inizio del 1992/93 Giovanni Cabassi, figlio di Giuseppe, scioglie la fu Saima.   

«L’hockey milanese pattina sulle sue contraddizioni: un pubblico senza squadra, una squadra senza pubblico», scrive Luca Valdiserri il 25 marzo 1993 sul Corriere della Sera. Rimasto il proprietario dell’unica squadra di hockey della città, Silvio Berlusconi tessera sei ex giocatori rossoblù — Bill Stewart, John Vecchiarelli, Bruno Campese, Joe Foglietta, Paul Beraldo e John Chabot — con la speranza di portare con sé anche i tifosi. Del resto una parte di loro è già milanista nel calcio. Invece la stagione 1992/93 passa alla storia per il “tifo contro”: si andava alle partite dei Devils per sostenere gli avversari. Tra il 12 e il 15 novembre 1992, durante il girone della Coppa dei Campioni ospitato per l’occasione dai Devils al Forum di Assago, «tre quarti dei 12mila [spettatori] tifavano per il Düsseldorf», riporta sempre il Corriere. Tra questi compare anche lo stesso Chabot, tagliato dai Devils pochi mesi dopo il suo acquisto. Sulle tribune vengono srotolati gli striscioni «Silvio, la nostra fede non si compra» e «Ci avete tolto la squadra ma non la fede». Berlusconi, atteso al palazzetto, alla fine non si presenta.   

Il “tifo contro” prosegue per tutto il campionato, coordinato dai gruppi ultras rossoblù, l’Armata Piranesi e i Piranesi Bears, ed esplode nuovamente nella finale dei playoff per lo scudetto che i Devils giocano e vincono contro il Bolzano. Migliaia di tifosi saimini invadono il Palacandy cantando: «Abbiamo un sogno nel cuore, Berlusca a San Vittore». E Berlusconi risponde: «Non mi aspettavo tanta maleducazione gratuita: fino a prova contraria sono qui e non in galera. Sono un imprenditore di successo, che dà lavoro a 40mila persone, e non sono mai stato toccato da tangenti o avvisi di garanzia». Nasce persino un gemellaggio tra l’Armata Piranesi e le Mele Marce di Bolzano. Il capitano dei Devils, l’italo-canadese Gates Orlando, non capisce e si domanda: «È una situazione incredibile: ci fa più male giocare in casa che in trasferta. Perché i milanesi non tifano per Milano?». 

La festa dei Devils per lo scudetto 1991/92 insieme a un Silvio Berlusconi in cappello a tesa larga (foto Wikimedia)

«Bisogna partire dal presupposto che non era un sentimento di antiberlusconismo politico», spiega Giorgio Prando, all’epoca un tifoso della Saima, poi a lungo giornalista per la Gazzetta dello Sport, «anche perché nel 1993 il Berlusconi politico non esisteva ancora. Berlusconi era un imprenditore e come tutti gli imprenditori poteva stare simpatico o antipatico. Però erano gli anni di Mani Pulite, lui era amico di Craxi e c’era un arresto al giorno tra i politici e gli imprenditori. Il suo peccato originale era stato “comprare” la promozione dal Como mentre noi ce l’eravamo sudata sul ghiaccio. Ma semplicemente noi rivolevamo la nostra squadra, che era una cosa speciale. Questo è il senso dello striscione “Silvio, la nostra fede non si compra”. Io all’epoca avevo 16 anni e quella, senza una squadra da seguire sul ghiaccio, è stata la stagione più bella di tutte. Si è compattato il tifo, è scattato il senso di appartenenza». 

Giorgio Prando è milanista. Poche settimane dopo il girone della Coppa dei Campioni di hockey organizzato dai Devils al Forum, il 25 novembre 1992, il Milan batte 4-0 gli svedesi del Göteborg a San Siro in Champions League con quattro gol, di cui uno in rovesciata, di Marco van Basten. In quel momento i rossoneri allenati da Fabio Capello sono indiscutibilmente la squadra più forte del mondo. «Berlusconi nel calcio ci aveva già fatto vincere tutto», continua Prando, «ma nell’hockey il calcio veniva lasciato fuori. Era un’isola felice. Non è così, ma dentro di me ho sempre voluto pensare che i colori della Saima fossero il rosso e il blu proprio per questo. Non era un discorso di Milan e Inter: conosco un interista tifoso dei Devils, e naturalmente molti milanisti tifosi della Saima. Semmai la divisione era un po’ più quartiere: chi abitava a ovest, vicino al Palacandy, e chi a sud, come me, vicino ad Assago».  

I Devils nell’hockey su ghiaccio hanno vinto tre scudetti consecutivi e un’Alpenliga, un torneo internazionale tra squadre italiane, austriache e slovene. Campionati, Coppe Italia, Supercoppe europee, Coppe delle Coppe e persino due Coppe del Mondo per club sono arrivati anche dalla pallavolo, dal rugby e dal baseball. Per cinque anni l’utopia berlusconiana della Polisportiva Mediolanum si è realizzata a suon di miliardi di lire. Poi nel 1994 — dice qualcosa? — l’amministratore delegato di Fininvest Franco Tatò, soprannominato Kaiser Franz, ridimensiona il budget dell’azienda e la polisportiva viene smantellata. Nel 1996 l’Hockey Club Devils Milano si trasferisce a Courmayeur e la stagione successiva la squadra chiude. Intervistato dalla rivista Top Hockey, Adriano Galliani spiega: «Debbo ammettere che in qualche sport, come ad esempio proprio nell’hockey su ghiaccio, la risposta degli sportivi e dei tifosi in genere non è stata quella che ci aspettavamo». Non è chiaro se droga, emarginazione e incomunicabilità abbiano a quel punto prevalso sul mondo.