Paolo Banchero è costruito per il successo

Anche se non giocherà con l'Italia, resta un concentrato di potenza e talento, il volto di una Nba globale e globalizzata.

La prima volta che abbiamo visto Paolo Banchero indossare una maglia azzurra è stato nel marzo 2020. “Questo ragazzo molto presto dominerà i feed dei vostri social network”, si leggeva nella caption del video che SLAM Magazine aveva caricato sul proprio canale YouTube quando Paolo era “solo” uno dei migliori prospetti liceali di tutti gli Stati Uniti. Il figlio di Mario Banchero, italo-americano di origini liguri, e Rhonda Smith, ex giocatrice della Wnba, aveva da poco ottenuto la cittadinanza italiana e qualcuno aveva fatto in modo di fargli avere la maglia della Nazionale con il numero 1, e lui con questa si era fatto fotografare: «Ho scelto di giocare per l’Italia. Giocare con l’Italia offre tante opportunità anche di marketing, e so che già solo essere lì sarà un’esperienza bellissima», aveva detto con il genuino entusiasmo tipico di chi non vede l’ora di diventare grande dentro e fuori dal campo.

Nel frattempo, Banchero si è trasformato nella stella che tutti si aspettavano sarebbe diventato: uno in grado di disputare le Final Four Ncaa da protagonista nel suo anno freshman, di diventare il secondo giocatore con passaporto italiano a entrare nella Nba come prima scelta assoluta del Draft, di firmare un contratto con Jordan e di vincere il premio di Rookie dell’anno al termine di una stagione da 20 punti, 7 rimbalzi e 4 assist di media. «Probabilmente senza il Covid avrei esordito con l’Italia, poi però c’è stata la pandemia, sono stato scelto alla numero 1 al Draft e ora le cose sono molto diverse. Non ho ancora deciso, Grant Hill mi ha contattato per conto di Team Usa e prenderò una decisione nei prossimi mesi», ha detto recentemente.

Alla fine ha scelto di giocare per Team Usa, e la sua decisione ha scontentato – e anche un po’ indispettito – l’intero movimento italiano. Perché in qualche modo ha tradito le enormi attese e le aspettative che erano state costruite intorno a lui, e a un futuro con lui. La questione non riguarda tanto il peso specifico, l’impatto e la centralità di un giocatore del genere, ma anche mediatico. Paolo Banchero è nato a Seattle il 12 novembre 2002, in un’epoca in cui gli appassionati italiani di Nba aspettavano il sabato pomeriggio per guardare Nba Action e speravano che il giorno dopo venissero mandati in onda i Lakers di Kobe e Shaq, gli Spurs di Duncan e Robinson, i Nets di Kidd e Kenyon Martin, i Sixers di Iverson e Mutombo. Il fatto che oggi Banchero sia diventato uno dei volti di una Nba globale e globalizzata, una lega di cui sappiamo tutto prima tutti semplicemente aprendo un’app sul nostro smartphone, significa che quel futuro è finalmente arrivato anche per noi.

Paolo Banchero ha debuttato in Nba nell’ultima stagione, con la maglia degli Orlando Magic. Il suo impatto è stato significativo sin da subito, con performance che gli sono valse a fine anno il premio di Rookie dell’anno, al termine di una stagione da 20 punti, 7 rimbalzi e 4 assist di media (Gregory Shamus/Getty Images)

E quindi SLAM Magazine ha avuto ragione. Paolo ha dominato sui nostri feed social, con gli highlights delle sue giocate. E continuerà a farlo anche oggi che ha scelto di non giocare per l’Italbasket, oggi che finalmente abbiamo smesso di fare l’esegesi delle sue parole e non staremo più a cercare in ogni post, in ogni storia, in ogni tweet, qualcosa in grado di alimentare la speranza che uno così possa davvero unirsi a Gallinari e compagni. Questo perché Banchero rappresenta il futuro così come siamo abituati a viverlo e raccontarlo negli anni Venti del Duemila, cioè qualcosa che sarà domani ma che è anche oggi, che vive sull’idea della predestinazione, della ricerca incessante della prossima next big thing, del talento che cresce e che brucia giorno dopo giorno, partita dopo partita. Un talento che si manifesta in ragazzi che sembrano nati, anzi che sembrano essere stati progettati per accompagnarci in una nuova era che loro hanno già visto e vissuto e che noi, invece, abbiamo solo potuto immaginare in quei sabati pomeriggio di inizio millennio, in cui le immagini sfocate e i colori sbiaditi della pay tv restituivano la distanza fisica e culturale con una realtà lontana ben più delle sette ore di volo intercontinentale.

“Built for this”, non a caso, è anche il titolo che nel novembre 2021 ancora SLAM Magazine scelse per una delle sue cover. Un anno e mezzo dopo quel video e a poche ore dal suo debutto da collegiale, 22 punti contro Kentucky al Madison Square Garden di New York, Paolo Banchero era sulla copertina di una delle più importanti riviste di settore e sempre con una maglia azzurra addosso: questa volta quella di Duke University, che in estate aveva battuto la concorrenza di Kentucky e Washington e lo aveva portato alla corte del leggendario coach Mike Krzyzewski. Da quel giorno è apparso chiaro che sarebbe stata solo questione di tempo, di quando e non di più di se: Banchero si è preso velocemente un mondo che va veloce e che è costruito su
misura per quelli come lui, dei freak atletici e tecnici totalmente fuori scala che sono il risultato della rivoluzione antropologica del gioco, l’ultimo stadio di un’evoluzione resa possibile da quelli che Paolo Banchero ha visto e imitato quando era solo un ragazzino che collezionava sneakers ed era ancora indeciso tra football e basket. Guardarlo stoppare e schiacciare in corsa come LeBron James, costruirsi un tiro alla maniera di Kevin Durant o Carmelo Anthony, passarla come farebbe Steph Curry, significa proprio questo, significa entrare nel futuro dalla porta principale mentre assistiamo a un passaggio di consegne che da ideale diventa reale.

Da Undici n° 50