Quattro acquisti che già ci piacciono molto

Siamo gasati da Weah, Loftus-Cheek, Szoboszlai e Thuram.

Quanto gasa Szoboszlai al Liverpool
Dominik Szoboszlai non ha ancora 23 anni, eppure è molto tempo che sentiamo parlare di lui. E per tutto questo tempo – in cui, va detto, ha alternato grandi magie a momenti di blackout– non abbiamo fatto altro che immaginare quale potesse essere il top club giusto per lui, l’allenatore e il progetto in grado di esaltare il suo talento esplosivo e un po’ anarchico, una classe prussima che si è sempre espressa al di là della collocazione tattica. In questo senso, Szoboszlai ha anche pagato la sua storia e quindi la sua natura di uomo-Red Bull: dopo gli esordi in Ungheria, si è trasferito al Liefering – che si potrebbe definire come la cantera della multiproprietà austriaca – e poi ha fatto l’intera trafila, il Salisburgo, il Lipsia, ha giocato da interno e da finto esterno nel 4-2-4 che sta nel dna di tutte le squadre del gruppo, insomma era difficile immaginarlo fuori da quel sistema così peculiare, così estremo.

A pensarci oggi, che l’abbiamo già visto con la maglia red addosso, Dominik Szoboszlai doveva andare al Liverpool: doveva avviare il reboot o il remake della squadra di Klopp dopo la prima stagione di magra, anzi a questo punto è inevitabile coltivare la suggestione per cui il fantasista ungherese possa essere il simbolo di un nuovo Liverpool, di un kloppismo più originale e più vicino alla versione zero – e cioè più selvaggio, più aggressivo, più radicale – rispetto a quello diluito degli ultimi anni. È un matrimojnio filosoficamente e culturalmente perfetto, anche perché l’anno prossimo i Reds non faranno la Champions League, allora potranno (dovranno) ricostruire la loro credibilità ai massimi livelli, e allora perché non farlo intorno al miglior prodotto Red Bull degli ultimi anni, a un numero dieci che corre come un furetto e che calcia la palla – di destro o di sinistro, che sia un tiro da lontano o un passaggio tra le linee, è indifferente – in modo sublime? Esatto, non c’è bisogno di rispondere a questa domanda: possiamo solo aspettare che si cominci a giocare, così da poter capire se abbiamo fatto bene a gasarci così oppure è stata solo una bellissima illusione di mezza estate. (Alfonso Fasano)

Tim Weah, la Juve come la NFL

Alla Juventus, il 9 maggio 1999, George Weah segnò i due gol più importanti della sua carriera milanista, che valsero un bel pezzo del sedicesimo scudetto; sempre alla Juventus, nella stagione in cui ricorrerà il venticinquesimo anniversario di quella doppietta, Weah ritroverà il figlio Timothy, acquistato dal Lille per 12 milioni di euro. Non è ancora chiaro se e quanto Weah jr. possa considerarsi il primo colpo alla Giuntoli, più facile capire perché i bianconeri abbiano deciso di puntare su di lui: l’americano è un giocatore che dà il meglio di sé quando può attaccare gli spazi in verticale senza palla, e che può ricoprire tre ruoli in diversi sistemi di gioco.

Proprio quello relativo alla multidimensionalità è l’aspetto più interessante: l’ultima stagione, con Paulo Fonseca in panchina, ha fatto in modo che un attaccante esterno di ultima generazione, dinamico e ipercinetico ma anche poco efficace sotto porta, si trasformasse in un più che affidabile terzino di una difesa a quattro – sia a destra che a sinistra – oltre che in un potenziale esterno a tutta fascia di un centrocampo a cinque, vale a dire la base dell’ottava Juventus allegriana. Weah è l’equivalente di un wide receiver della NFL, un calciatore da corse profonde, da attacco furioso delle tracce in verticale, da azionare in situazione dinamica e senza aspettarsi che crei superiorità numerica e posizionale partendo da fermo; un elemento di sistema, il perfetto omologo di Kostic sulla fascia opposta, uno di quelli che non cambia le prospettive collettive a medio-lungo termine, ma che, nella nuova Juve, ha perfettamente senso, tanto come “nuovo Cuadrado” (pur se con caratteristiche diverse) che come upgrade di De Sciglio. (Claudio Pellecchia)

Come gioca Tim Weah

Con Loftus-Cheek, il Milan colma un buco

L’acquisto di Ruben Loftus-Cheek dal Chelsea rischia, se possibile, di polarizzare ancora di più il dibattito attorno alla nuova strada intrapresa dalla proprietà del Milan. Ma come, potrebbe pensare qualcuno, un mese dopo tornano su un nome individuato da Maldini? E ancora: è coerente con il progetto RedBird pagare 20 milioni di euro, più almeno quattro netti a stagione al giocatore, per un ventisettenne in esubero dalla Premier League? In un mondo che non è solo tutto bianco né solo tutto nero, l’acquisto di Loftus-Cheek da parte del Milan ha una sua utilità, al di là della paternità dell’affare e delle cifre spese per portarlo a termine. Il centrocampista inglese andrà a colmare il buco lasciato in rosa dalla partenza di Franck Kessié direzione Barcellona e, anzi, la sensazione è che Loftus-Cheek arrivi a Milano con un anno di ritardo, che fosse necessario a prescindere dalla partenza di Tonali e dall’infortunio al ginocchio di Ismaël Bennacer. Loftus-Cheek al Chelsea ha ricoperto tutto i ruoli del centrocampo, dal mediano alla mezz’ala al trequartista di quantità, e potrà tornare molto utile a Stefano Pioli a seconda di come vorrà schierare il Milan l’anno prossimo.

Nella sua prima partita da allenatore del Milan, il 20 ottobre 2019 contro il Lecce, Pioli fece una mossa semplice ma decisiva per il futuro dei rossoneri: spostò Kessié da mezz’ala destra a mezz’ala sinistra del centrocampo a tre per fargli coprire, con la sua forza, gli spazi lasciati dalle cavalcate in avanti di Theo Hernández. Nell’anno dello scudetto, con una fascia sinistra ancora più sbilanciata in attacco per l’inserimento di Rafael Leão, il lavoro di Kessié era diventato ancora più oscuro e prezioso. Nella sua miglior stagione di sempre al Chelsea, nel 2018/19 con Maurizio Sarri in panchina, Loftus-Cheek ha giocato proprio da mezz’ala sinistra in un centrocampo a tre completato da N’Golo Kanté mezz’ala destra e Jorginho regista. L’unica incognita è legata alla sua condizione fisica: proprio nel 2018/19, pochi giorni prima della finale di Europa League vinta 4-1 contro l’Arsenal, Loftus-Cheek si è rotto il tendine d’Achille della gamba sinistra. (Francesco Caligaris)

Marcus Thuram, un nuovo prototipo offensivo per l’Inter 

Con Marcus Thuram l’Inter si assicura tre qualità rare tra gli attaccanti della Serie A: il francese porta un dinamismo difficilmente pareggiabile per qualsiasi difensore, un set di movimenti senza palla di primo livello e una ferocia nel pressing che nel calcio di oggi sembra indispensabile – e che di certo i nerazzurri non avevano in Lukaku né in Dzeko. Se a inizio carriera sembrava dovesse svilupparsi come un esterno offensivo, in questa fase – dopo l’infortunio ai legamenti del ginocchio – Thuram è diventato un centravanti fatto con lo stampo della Bundesliga, che preferisce allargarsi per poi puntare la porta ad altissima velocità e concludere le sue azioni dentro l’area, in una tensione verticale tipica della scuola tedesca.

Sarà interessante scoprire come si inserirà in un calcio fatto di combinazioni meccaniche di precisione fordista, quelle a cui l’Inter ci ha abituato sotto Conte e Inzaghi: Thuram non garantisce quel livello nel gioco spalle alla porta, non è un attaccante che pensa da 10, né è particolarmente brillante nelle letture, e anche per essere un nove non è uno che vive di e per il gol. Il suo impatto sulla Serie A sarà determinato da come imparerà a convivere con un attaccante come Lautaro, con cui condivide pregi e difetti, e con un eventuale nuovo centravanti (un altro ritorno di Lukaku?), ma anche da quanto Inzaghi saprà metterlo in condizione di sfruttare la sua esuberanza fisica senza costringerlo in un calcio che non è nelle sue corde. (Alessandro Cappelli)

Pillole dall’ultima stagione di Marcus Thuram