Poco meno di quindici mesi fa, la Nazionale italiana era stata esclusa dai Mondiali. Ancora. Era successo nel modo più inaspettato, con la Macedonia del Nord a buttarci fuori. Rispetto al 2017, era diverso. Faceva ancora più male: com’era possibile che la squadra che aveva brillantemente trionfato agli Europei, soltanto qualche mese prima, si riscopriva così impaurita, così impotente? Era di nuovo il tempo dei processi e degli interrogativi. L’Italia, il talento, le ambizioni: le perplessità di sempre. Il futuro, appeso a un filo. Ci sarebbe stato un domani per la Nazionale? Federico Dimarco è spuntato fuori nel momento del bisogno. Ha debuttato in azzurro nel giugno del 2022, contro la Germania, nel girone di Nations League, quando il ricordo dell’eliminazione dalla corsa al Qatar era ancora fresco. Ha giocato la sua prima partita da titolare in Inghilterra, qualche giorno dopo. Una manciata di mesi più tardi, nello scorso settembre, è stato tra i migliori in campo nella doppia vittoria in successione contro Inghilterra e Ungheria, decisive per l’approdo alla Final Four di Nations League. In Ungheria, Dimarco ha fatto a fette la difesa avversaria e ha segnato il suo primo gol con la maglia della Nazionale. Insieme ad altri giocatori come Gnonto, Frattesi, Scalvini, l’esterno interista rappresenta il futuro. Di una squadra, di un movimento. Di una nazione.
È una fortunata sovrapposizione che la miglior stagione in carriera di Federico Dimarco, che di anni ne ha compiuti 25 a novembre, coincida con la riscossa dei club italiani in Europa: cinque squadre alle semifinali e tre alle finali delle competizioni europee, tra cui la sua Inter in Champions League. È un segnale, al momento difficile da dire se soltanto episodico o sostanziale anche nel medio termine, ma pur sempre di riscossa si tratta: del campionato e del movimento calcistico italiano, che con Dimarco, ma anche con i suoi compagni di squadra Barella e Bastoni. C’è un domani, allora.
Quando Dimarco ripensa a com’è andata la stagione che lui chiama della svolta, che gli ha permesso di guadagnarsi lo status di pilastro irrinunciabile dell’Inter e della Nazionale, ripensa proprio a quelle due partite di settembre in azzurro in cui si è preso la scena: «Mi hanno cambiato, e ci aggiungo anche quella contro il Barcellona nello stesso periodo. Sono state partite che mi hanno reso un giocatore completamente diverso. Quando giochi sempre, fai partite importanti, acquisisci fiducia e consapevolezza nei tuoi mezzi. Per me è stata una svolta, a livello mentale, a livello di prestazioni. Per arrivare a certi livelli devi farne tante di quelle partite. Quando le giochi, ti rendi conto di dove sei».
Dov’è Dimarco adesso? I numeri parlano per lui: in 50 gare stagionali ha segnato sei gol e servito dieci assist. Ha mostrato una crescita irresistibile sotto il punto di vista della qualità delle prestazioni, garantito solidità nelle due fasi e diventato elemento fondamentale per l’Inter e per il suo modo di giocare. Tra le reti realizzate, pure qualcuna decisamente pesante: in Supercoppa contro il Milan e nella semifinale di Coppa Italia contro la Juventus. È difficile rendersi conto dell’ascesa folgorante di un calciatore se non si fa un passo indietro, analizzandone l’insieme. E l’insieme di Federico Dimarco evoca una specificità di calciatore moderno, in grado di assumere varie forme su un campo di calcio: «Non mi sento un giocatore unico, ma lavoro per esserlo», sottolinea. «Però i giocatori del mio ruolo sono diversi rispetto al mio modo di giocare. Ho delle qualità che la maggior parte non ha, e viceversa». Anche questo è sintomo di futuro: un futuro che è già arrivato, quello di un calcio che al giorno d’oggi si aggiorna continuamente, perché la concorrenza è spietata, scientifica. Migliore.
L’evoluzione calcistica passa anche da giocatori come Dimarco: nato terzino classico, diventato esterno di centrocampo, abile a destreggiarsi anche in una difesa a tre. E poi: piede sinistro eccellente. «Il mio ruolo è cambiato molto negli ultimi tempi», osserva Dimarco, che ha in Marcelo il punto di riferimento a cui si è ispirato nei suoi anni di formazione. «Prima i terzini erano visti come giocatori che si occupavano prevalentemente della fase difensiva, poi, soprattutto con il primo Guardiola a Barcellona, si sono diffusi i terzini di spinta, che accompagnano l’azione, oppure vengono a giocare dentro il campo. O magari vedi braccetti di una difesa a tre che giocano da mezzali… il modo di giocare è cambiato completamente».
Per definirlo, Dimarco utilizza un aggettivo preciso: “interscambiabile”. «A me piace molto. Ti capita di non ritrovarti nel tuo ruolo, di essere in parti del campo che non ti aspetti. Per esempio, quest’anno ho segnato contro il Bologna mentre mi trovavo sulla fascia destra». Da lì, appena entrato in area di rigore, ha sterzato per saltare l’avversario e portarsi la palla sul sinistro, e con una conclusione a giro ha battuto il portiere.
Pochi giorni dopo la nostra intervista, Dimarco ha eliminato la Juventus dalla Coppa Italia accarezzando il pallone con l’esterno sinistro: si trovava a tu per tu con Perin. In posizione di attaccante, comportandosi da attaccante. È un gioco diverso perché anche i calciatori sono responsabilizzati di più: a comprendere, a interpretare, ad agire. Il talento incanalato in un sistema: non penalizzato, ma esaltato. Dimarco ha una predilezione chiara, e la sottolinea: «Guardo tantissime partite di calcio. Quest’anno soprattutto Arsenal e Manchester City: mi piace come giocano, mi diverto nel vedere le loro partite».
Sarebbe facile dire: l’erba del vicino è più verde, e quella della Serie A è tristemente spelacchiata. Ma non è così secondo l’esterno interista: «Ci sono degli aspetti per cui i campionati esteri, probabilmente, sono migliori di quello italiano. I ritmi, per esempio. Quelli della Premier sono molto simili a quelli della Champions, ed è qualcosa che avverti tantissimo da giocatore. Ma alla fine si tratta di realtà diverse, con caratteristiche diverse, e non avrebbe senso portare qualcosa di un campionato come la Premier qui in Italia. E poi, quest’anno il Paese che ha portato più squadre nelle semifinali europee siamo proprio noi…».
Vuol dire che la Serie A è cresciuta? «Penso proprio di sì», dice Dimarco. «E poi credo che oggi tanti giocatori stranieri vogliano venirci. In Italia di giocatori bravi ne abbiamo, poi è normale che se arrivano calciatori bravi dall’estero, ben vengano. Il livello del campionato si alza, tutti ne beneficiamo, è un’occasione di crescita. Portano valore. Anche nei dettagli, anche in quelli che con il campo hanno poco a che fare, come l’esigenza di curarsi a livello fisico, una corretta alimentazione… sono diversi fattori che aiutano un giocatore a mantenere una costanza di rendimento e prestazioni sempre al top».
Si torna a parlare di calcio europeo: «In Champions ogni anno incontri avversari diversi, che non sei abituato ad affrontare. L’anno scorso mi ha impressionato moltissimo il Real Madrid. Quest’anno il Bayern, è stata veramente dura contro di loro. Nello spezzone che ho giocato nell’andata contro di loro, marcare Gnabry non è stato semplice. Mi ha colpito anche un giocatore esperto come Müller. Ma a proposito di giocatori imprendibili, star dietro a Dembélé non è stata una passeggiata…».
In un calcio italiano che in campo europeo si è preso una rivincita importante, non si può essere inermi di fronte ai problemi. Uno ha toccato in prima persona l’Inter e in particolare un suo giocatore: Romelu Lukaku. Gli echi razzisti nei confronti del belga piovuti dalla curva dello Juventus Stadium, in occasione dell’andata della semifinale di Coppa Italia, sono stati insopportabili e amplificati da quello che è successo dopo: l’esultanza dell’attaccante nerazzurro sanzionata con il doppio giallo. Roc Nation Sports International, l’agenzia che segue Lukaku e da quest’anno anche Dimarco, ha preso subito posizione, difendendo il suo assistito e chiedendo al calcio italiano di prendere provvedimenti, e di farlo con urgenza. La Juventus ha dimostrato grande sensibilità e maturità sul tema, collaborando perché venissero individuati i responsabili di quei cori di matrice razzista: nei giorni successivi, la Questura torinese ha emesso 171 Daspo. Lukaku, nel frattempo, è stato “graziato” dal presidente Figc Gravina, con la cancellazione della squalifica per il match di ritorno.
Punire i colpevoli e non voltare le spalle: è questa la strada giusta, e Dimarco lo sa bene. «Che nel 2023 accadano ancora queste cose, è inammissibile. Finché le persone che insultano i giocatori in modo razzista non vengono espulse dal calcio, non vengono allontanate dagli stadi, non cambierà nulla. Perché si cambi, bisogna adottare provvedimenti seri». Lukaku è proprio uno dei giocatori con cui Dimarco ha legato di più all’interno della squadra: «Ci vediamo molto spesso al di fuori del campo, eravamo in contatto anche quando io ero a Verona. Abbiamo un ottimo rapporto, con lui si parla molto di calcio, ma anche ovviamente di vita privata. E la sera ci sfidiamo alla Play…». Il calcio è onnipresente, ma non è tutto: «Quando non sono in ritiro, voglio godermi il tempo con la mia famiglia. La prima cosa a cui penso, quando mi sveglio la mattina, è come stanno i miei figli. E poi… cosa dovrò fare in allenamento. Ma cerco di vivere serenamente la mia professione… a parte quando c’è il derby».