Come arriva l’Italia alla partita decisiva del suo Mondiale?

La netta sconfitta contro la Svezia ha spento un po' l'entusiasmo, ma la gara col Sudafrica è un'occasione per ripartire.

Nel calcio, anche se non è sempre una cosa giusta o piacevole, i risultati stanno al centro di tutto. Sono il centro di tutto. E allora l’Italia femminile arriva alla sfida decisiva del suo Mondiale, quella contro il Sudafrica, in una condizione psicologica molto peggiore rispetto a quella di qualche giorno fa. È una questione di risultati, appunto: perdere 0-5 fa male, molto male. Soprattutto se succede in una gara di Coppa del Mondo. Quindi non bastano più le buone indicazioni arrivate dai primi minuti della gara contro le scandinave – ne parleremo – ed è sbiadito il ricordo della vittoria ottenuta contro l’Argentina. All’Italia, giusto per rimanere in tema, servirà un risultato positivo nella terza partita. Servirà per restare in vita. Per non inciampare in un fallimento che avrebbe il sapore – e il peso – della regressione. Per non disperdere quanto di buono si è visto, quindi si è fatto, fino a questo momento.

Partiamo proprio da questo, dalle note liete. Che, come detto, ci sono. Non sono tantissime, ma ci sono. Intanto, la classifica parziale del girone: la vittoria contro l’Argentina e il successivo pareggio tra la Selección e il Sudafrica hanno messo l’Italia in una condizione tutt’altro che drammatica, per cui una vittoria contro il Sudafrica garantirebbe la qualificazione. Potrebbe bastare anche il pareggio, ma la possibilità – remota – che l’Argentina batta la Svezia e la brutta differenza reti determinata dallo 0-5 costringeranno le Azzurre a non fare calcoli. E poi, come anticipato, i primi minuti di Svezia-Italia non sono stati così nefasti: la squadra disegnata da Bertolini ha iniziato la partita in modo coraggioso se non addirittura autorevole, non ha patito l’evidente inferiorità rispetto alle svedesi ed è pure riuscita ad affacciarsi in avanti. Il tutto, non dimentichiamolo, con Giulia Dragoni (16 anni) e Cecilia Beccari (18) in campo dal primo minuto, entrambe confermate dopo l’esordio contro l’Argentina. Certo, un buon inizio di partita non fa punteggio e non fa neanche morale, se poi il risultato finale è così negativo. Ma la volontà di avviare un ricambio generazionale, di portarlo avanti nel momento e nel torneo più importanti, deve sempre avere un peso nella valutazione di una squadra di calcio.

Il problema, però, è che le notizie positive finiscono qui. La Svezia, infatti, ha assorbito con tranquillità il buon avvio dell’Italia – e il suo approccio non proprio brillante alla partita, diciamo così – e al termine del primo tempo ha travolto le Azzurre. Il termine “travolto” non è scelto a caso, ma racconta con precisione la realtà che si è percepita in campo: i gol che hanno indirizzato la partita sono arrivati nel momento in cui le giocatrici in maglia gialla hanno cominciato a far valere il loro atletismo fuori scala, ed è come se la nostra Nazionale fosse stata investita da un tornado o da un terremoto, sono bastati pochi minuti e la Svezia ha esercitato una forza che ha sgretolato ogni resistenza.

I tre gol subiti su calcio d’angolo, uno dopo l’altro come le ciliegie, sono solo una conseguenza di un gap che è parso puramente fisico, ma che a un certo punto è diventato anche psicologico. Perché a quel punto la partita era finita. E il problema, in fondo, è proprio questo: all’Italia è mancata la capacità di reagire, o anche solo di compattarsi e di non prendere l’imbarcata, una volta iniziato il momento difficile. Un momento difficile che, per altro, era da mettere in conto: la Svezia era ed è una squadra nettamente più forte e più pronta rispetto all’Italia, per questione di cultura, di blasone, di talento a disposizione; per quanto non sia nel suo miglior periodo storico, resta sempre la Nazionale che ha vinto gli ultimi due argenti Olimpici, che ha conquistato il terzo posto ai Mondiali di quattro anni fa, che agli Europei 2022 si è arrampicata fino alla semifinale.

Insomma, sono stati il volume della sconfitta e il modo in cui è arrivata, più che la sconfitta in sé, a essere scoraggianti. Anche perché il gioco, in realtà, si era visto solo a sprazzi pure nella gara d’esordio contro l’Argentina. Il miglioramento non poteva e quindi non doveva manifestarsi contro la Svezia, ed è proprio per questo che la partita col Sudafrica assume già ora un significato che va – e andrà – oltre il risultato. Perché vincere e convincere è possibile, anzi sarebbe l’unico modo per poter ravvivare un po’ la fiducia intorno a questa Nazionale. Magari reinserendo Girelli – decisiva da subentrata contro l’Argentina – e trovando un modo per farla convivere con le ragazze lanciate finora, in una sorta di squadra-cocktail (o anche squadra-compromesso) che guardi al futuro ma anche alle esigenze del presente. In questo senso sarà fondamentale il lavoro del ct Bertolini, che contro la Svezia ha rinunciato non solo a Girelli, ma anche a Valentina Giacinti. Che non ha ancora trovato l’assetto definitivo – soprattutto in avanti – e che a questo punto deve passare dal campo, e da qualche inevitabile novità, per riaccendere l’entusiasmo dentro e intorno alla sua squadra.

Il Sudafrica, poi, non è la Svezia. Va rispettato, ma non certo temuto. E allora osare potrebbe essere una buona idea, anche perché la seconda eliminazione consecutiva ai gironi, dopo quella degli Europei 2022, avrebbe un effetto negativo sulla percezione della Nazionale e quindi del movimento, non cancellerebbe il meraviglioso Mondiale 2019 ma in qualche modo lo ridimensionerebbe, lo renderebbe di colpo un exploit isolato, rimasto senza seguito. L’Italia non è ancora una rappresentativa femminile top, ma non può permettersi questo passo indietro. Per una questione di risultati, che restano il centro di tutto, che sono l’obiettivo da raggiungere. Ma anche per non interrompere un percorso che sembrava e sembra ancora promettente, che ha bisogno di shock positivi, non certo di delusioni.