Manolo Portanova e la Reggiana: a volte è necessario fermarsi

Per ragioni di opportunità, sarebbe giusto che un calciatore indagato (e condannato in primo grado) per stupro di gruppo non andasse in campo.

Venerdì 21 luglio la redazione di Tuttoreggiana era seduta attorno al tavolo di un bar di Guastalla, un paesone gonzaghesco che allunga verso il Po la parte alta della provincia di Reggio Emilia. Sul tavolo c’erano cinque telefoni, tre ipa, due gin tonic e una questione spinosa da discutere. Dovevano decidere come il loro sito di aggiornamenti dedicati alla Reggiana avrebbe affrontato il meteorite mediatico piovuto sui granata tre giorni prima, martedì 18, quando era stata resa ufficiale una notizia già nell’aria da qualche settimana: Manolo Portanova, il calciatore del Genoa condannato in primo grado a sei anni per violenza sessuale di gruppo e lesioni dolose, si aggregava alla rosa con cui Alessandro Nesta stava preparando il ritorno della Regia in Serie B.

Il motivo che aveva spinto le firme di Tuttoreggiana a vedersi per una riunione di redazione straordinaria era il diffondersi in città e in provincia di un clima teso accompagnato dal rumoroso silenzio della società che ancora non si era – e tuttora non si è – espressa riguardo alla sua scelta. Ci sono state le prese di posizione delle esponenti del PD di Reggio Emilia, seguendo il polveroso canovaccio che vede la violenza sulle donne come un tema da delegare a voci femminili. Ci sono stati gli ultras che hanno risposto al partito cittadino rinfacciandogli di aver svenduto il loro stadio ai modenesi del Sassuolo, colpa che gli toglie ogni diritto di parola sulle scelte del club. C’è stata la manifestazione in piazza Prampolini organizzata dal movimento Non una di meno e dall’associazione NonDaSola. C’è stata l’insegnante reggiana Liusca Boni che, come tanti altri, ha chiesto alla società il rimborso dell’abbonamento con una lettera arrabbiata – […] So benissimo che ogni individuo è innocente fino a sentenza definitiva ma viviamo in un paese che non è a misura di donne, quindi credo che non fosse opportuno. A queste condizioni non mi è possibile venire allo stadio a incitare i vostri colori […] – che le ha attirato le decine e decine di insulti sul suo profilo Facebook.

Ci sono state le minacce arrivate al quotidiano online Reggio Sera, che si era espresso contrario all’arrivo di Portanova. C’è stato lo striscione delle Teste Quadre appeso alla rete del campo di Cavola, appennino reggiano, durante l’amichevole contro i dilettanti del Baiso, con lo spray nero che diceva: “Nella vita come allo stadio, fino al terzo grado nessuno è condannato”. Una frase che, per quanto maldestra, racchiude il senso profondo di questa vicenda. Quale peso va dato a una condanna di primo grado, e non di terzo, per stupro di gruppo?

La fisica ci spiega che una massa critica è una soglia quantitativa oltre la quale si innesca un cambiamento qualitativo. Immediatamente dopo la sentenza del Giudice Ilaria Cornetti, i principali quotidiani sportivi hanno raccontato che i tifosi genoani si sono compattati in una grande quantità di richieste convinte alla società con cui chiedevano che Portanova non indossasse più la sua maglia rossoblù numero 90. Secondo gli stessi articoli ancora disponibili nella loro versione online, ci erano riusciti, erano stati una massa critica. Riportano che il club, ancora in cerca della migliore soluzione per il contratto del giocatore, aveva compreso che nel frattempo era più opportuno evitare fin da subito, da dicembre, di far scendere in campo il suo centrocampista. Un mese dopo la chiusura in Liguria, ecco un’apertura in Puglia. Il Bari, a gennaio, era sul punto di ingaggiarlo quando un’altra massa critica di altri tifosi in rivolta – raccontata da altre cronache giornalistiche pubblicate in quei giorni – aveva fatto cambiare idea al club. La presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva è un fatto, certo. Un fatto lo sono pure la gravità della prima sentenza e i dettagli usciti dalle testimonianze e dagli atti del processo.

Dopo la trafila nel settore giovanile della Juventus e l’esordio in Serie A con i bianconeri, Portanova si è trasferito al Genoa. In totale, con la squadra rossobli, ha accumulato 43 presenze e due gol in gare ufficiali (Getty Images)

Ora invece la Reggiana. A distanza di pochi mesi, la scena assume contorni molto diversi e la massa non è stata in grado di diventare critica, di compattarsi così numerosa contro il ritorno in campo di Portanova. A differenza di dicembre a Genova e gennaio a Bari, luglio a Reggio Emilia ha portato giudizi più aperti sulla condanna in primo grado. Alcuni dicono che non è definitiva, “aspettiamo le prossime due sentenze prima di giudicare”, dicono, “e nel frattempo facciamolo tesserare, facciamolo giocare, poi si vedrà quando arriveranno le altre sentenze”. Per altri invece la prima condanna è troppo ingombrante, e sostenere che è solo il primo grado gli sembra la pagliuzza che non si accorge della trave.

Ma il carico dell’episodio e delle motivazioni della condanna dovrebbero far riflettere ogni direttore sportivo che imposti una trattativa per metterlo sotto contratto. Invece no. Non è accaduto al Bari, dove, secondo i giornali e secondo alcuni fedeli della curva nord del San Nicola sentiti per questo pezzo, solo le proteste dei baresi hanno bloccato tutto, e non sta accadendo alla Reggiana. Più di uno tende a sbagliare la posizione dell’avverbio “però”, e finisce per uscirsene con dei: “Sì, è stato condannato, però non è ancora una condanna definitiva” piuttosto che dei: “È un bravo calciatore, però la condanna e gli atti del processo non possono essere ignorati per tutto il peso che hanno”.

Proprio la Reggiana, nell’autunno del 2019, aveva temporaneamente sospeso il suo portiere Matteo Voltolini perché ripreso a sua insaputa nei bagni di un locale di Rubiera mentre faceva sesso con una ragazza. Sesso consensuale, che arrivare a doverlo specificare fa molto pensare. In poche ore il video era stato diffuso ovunque. Per opportunità – sempre lei, l’opportunità – la società aveva trovato più corretto e più sano fermare il giocatore. Perché no, anche per proteggere il ragazzo stesso. Quattro anni dopo, per un altro calciatore e sulla base di oggettività profondamente differenti, l’opportunità consiglierebbe allo stesso club di percorrere la stessa direzione. Di tenere un atleta lontano dal calcio giocato per un preciso periodo di tempo. Il tempo che servirà alla giustizia per raggiungere i suoi successivi gradi di giudizio. Il tempo che servirà al pubblico per ricordarsi che il motivo per cui Portanova ancora non può giocare è un motivo che riguarda un tema ingombrante, a cui si fatica a non pensare. Il tempo per maturare la consapevolezza collettiva che una condanna in primo grado per stupro di gruppo è una cosa che, sia pur non definitiva, è sufficientemente seria da evitare di scendere in campo in diretta tv una volta a settimana. Il tempo per constatare che, in attesa dei prossimi passi in tribunale, sia più opportuno così.

Portanova non è il primo nome del calcio professionistico coinvolto da accuse e processi per violenze sessuali. Per Robinho l’Italia ha chiesto al Brasile prima l’estradizione e, dopo il rifiuto, la reclusione per nove anni. Per Benjamin Mendy in queste settimane si è concluso un iter giudiziario di un paio d’anni. Arrestato ad agosto 2021 da terzino titolare del Manchester City, a luglio 2023 l’ultima giuria popolare lo ha assolto dall’ultima delle otto imputazioni per stupro che pendevano su di lui. In molti colleghi gli hanno fatto avere messaggi di solidarietà, qualcuno si è chiesto chi gli restituirà ora il tempo perduto come calciatore e come uomo. Comprensibile. Tuttavia devono restare lampanti la differenza tra i due casi. Mendy è stato sospeso dal Manchester City dopo le prime accuse, Portanova è vicino al tesseramento dopo una condanna. Mendy giudicato da una giuria popolare, Portanova da un procedimento giudiziario. Il punto non è entrare nel merito della giurisprudenza e non è nemmeno mettere in dubbio che in un Paese come il nostro si debba rispettare il garantismo, il diritto a difendersi, il diritto ad avere una vita sufficientemente libera fino a quando il giudizio non è definitivo. Il punto è, ancora una volta, l’opportunità.

Articolo modificato lunedì 7 agosto