Quattro acquisti di luglio che ci sembrano davvero intriganti

Ci aspettiamo molto da Okafor, Castellanos, Arthur e Hojlund.

Scopriamo insieme Taty Castellanos
Tu immagina dare a un allenatore come Sarri un attaccante abituato a un calcio associativo, che sa attaccare lo spazio, sa fare gol in area e muoversi sulla trequarti per spostare i difensori avversari. Valentín “Taty” Castellanos alla Lazio vorrebbe essere il colpo di mercato più interessante della stagione, solo che il colpo di mercato più interessante della stagione non può essere una riserva, un panchinaro. Perché Immobile è titolarissimo e perché Castellanos non è certamente il centravanti perfetto – anzi, meriterebbe ancora un lavoro di pulizia tecnica e dovrebbe migliorare sulla continuità, capita che non veda la porta per settimane. Però sta maturando rapidamente e sembra il profilo giusto per una Lazio che progetta un presente con Immobile e un futuro senza: Taty può stare in panchina un anno, approfittare degli spazi che trova – magari non pochi, con la Champions, con possibili problemi fisici di Immobile – e candidarsi a un posto da 9 titolare l’anno prossimo.

Il fisico non ne fa il modello ideale del centravanti, non arriva al metro e ottanta e non schiaccia i difensori nel corpo a corpo, però Taty è quell’attaccante argentino a cui piace segnare in tutti i modi possibili – quante volte in questi giorni si è parlato dei quattro gol in 72 minuti al Real Madrid? – e ormai lo fa da anni: con il Girona nell’ultima Liga ha segnato 13 gol in 35 partite, veniva da una mezza stagione in Mls con i New York City in cui aveva segnato quasi un gol a partita, e l’anno prima aveva vinto campionato e titolo di capocannoniere con 19 gol e otto assist in 32 partite, più tre gol tutti decisivi ai playoff. «Castellanos l’ho pagato un botto», ha flexato Claudio Lotito. E ha ragione, ha speso 15 milioni di euro più cinque di bonus: a quelle cifre uno come Lotito non può comprare solo una riserva. (Alessandro Cappelli)

La rivelazione di Taty Castellanos

Noah Okafor è il gemello di Leão, ma non solo

In questa sessione di mercato il Milan sta operando un po’ come potreste fare voi durante l’asta del fantacalcio. Dovendo riempire più caselle, e alzare il livello medio della squadra che mai come nei mesi finali della stagione scorsa ha mostrato una netta sproporzione di valori tra i titolari e le riserve, invece di spendere 100 milioni per un solo giocatore ha preferito prenderne cinque, sfruttando i contratti in scadenza nel 2024, a una media di circa 20 milioni l’uno: Chukwueze, Reijnders, Pulisic, Loftus-Cheek e Okafor. Si è parlato tanto del famigerato metodo Moneyball, ma una delle sue possibili applicazioni nel calcio è proprio questa: scovare i profili giusti, e a prezzi onesti, per offrire alla squadra caratteristiche utili che prima mancavano.

E quindi cosa porta in dote Noah Okafor, 23 anni, acquistato per 14 milioni dal Salisburgo, fermo dalla metà di aprile per una frattura al metatarso del piede destro? Martedì alla Gazzetta ha detto di poter giocare «a sinistra, a destra e da attaccante al centro», ma difficilmente partirà come titolare nelle gerarchie di Pioli, anche perché le sue qualità più evidenti – confermate dalla heatmap della sua ultima stagione – sono quelle di un’ala sinistra di piede destro a cui piace dribblare e venire verso il centro del campo. Praticamente come Leao, di cui non a caso si è definito il «gemello», ma naturalmente non ancora a un livello tale da panchinare il portoghese.

Però con la sua duttilità Okafor prenderà il posto di “jolly” lasciato libero da Rebic, ceduto al Besiktas (e il saldo non potrà che essere positivo, visto che Rebic nel 2022/23 ha contribuito alla produzione offensiva del Milan solamente con tre gol e due assist), e soprattutto, se schierato in posizione centrale, permetterà alla squadra di Pioli di attaccare in maniera diversa rispetto a Giroud, ancora più verticale, ancora di più alla ricerca della profondità palla a terra. C’è stata un’azione, durante la recente amichevole contro la Juventus, in cui Reijnders ha ricevuto palla prima della linea di centrocampo, si è liberato di due marcatori avversari con una finta di corpo e ha condotto in progressione per una ventina di metri prima di servire un filtrante a Giroud, purtroppo leggermente lungo e sul piede destro dell’attaccante francese. Ecco: ora provate a immaginare la stessa azione, ma con Okafor su quel pallone. (Francesco Caligaris)

Rasmus Hojlund, veloce come il vento

Quando pensiamo a Rasmus Højlund pensiamo a quell’azione contro la Lazio, a quei 70 metri palla al piede corsi come farebbe l’ultimo frazionista di una 4×100 in una finale olimpica: Patric, Hysaj e Luis Alberto non hanno neanche il tempo di provare a opporre una minima resistenza, perché il vento non si può fermare e in quel momento Højlund rappresenta quella folata improvvisa che ti sorprende mentre stai passeggiando sul lungomare in inverno, quando non puoi far altro che metterti le mani in tasca, stringerti nelle spalle e aspettare che passi sperando di non essere travolto. Solo Provedel ci ha impedito di assistere a un credibilissimo cosplay di questo gol di Ronaldo Nazário contro il Valencia di quasi trent’anni fa, ma nulla ha potuto qualche minuto dopo, quando Højlund ha rifatto praticamente la stessa cosa, partendo dalla sua metà campo, attaccando lo spazio in verticale, passando in mezzo a quattro laziali che riescono nemmeno a vederlo e toccando il pallone una volta soltanto, per appoggiare in rete l’assist di Lookman.

Prova a prendermi

La notizia del suo acquisto da parte del Manchester United, poi, ci fa pensare oltre. A questa sua brutalità declinata all’interno di un sistema costruito su una tensione verticale perenne, ai verdi prati della Premier League incendiati da una nuova 4×100 completata da Rashford, Antony e Sancho e innescata da Bruno Fernandes, al modo in cui Erik ten Hag cercherà di trasformarlo in un giocatore da almeno 20 gol a stagione nell’epoca in cui l’epitome dell’attaccante veloce e strapotente che viene dal nord è rappresentata da Erling Haaland.  Ci fa pensare, quindi, a Rasmus Højlund: a quello che già è, a quello che potrebbe ancora diventare. (Claudio Pellecchia)

Arthur, la Fiorentina e la resurrezione

Nella nostra mente, Arthur Melo – noto semplicemente come Arthur – indossa sempre la maglia blaugrana e sta ancora zampettando intorno al centrocampo del Camp Nou, lungo l’asse immaginario e immaginifico che univa Sergi Busquets e Leo Messi. Era il 2019, Arthur era considerato uno dei talenti più luccicanti al mondo e nessuno aveva niente da ridire su questa cosa, le 22 presenze accumulate con la Nazionale brasiliana lo confermavano in modo chiaro. Oggi siamo nel 2023, Arthur è arrivato a quota 26 anni e nel frattempo ha buttato le ultime quattro stagioni in tre squadre diverse: il Barça di Quique Setién, la Juventus di Pirlo e quella dell’Allegri-bis, il peggior Liverpool di Klopp. Ecco, dopo aver letto questo elenco si può sottolineare – si deve sottolineare – come Arthur non sia stato proprio aiutato dai contesti, dalle congiunture. Allo stesso tempo, come dire, va anche ricordato che la sfortuna e lo stesso Arthur ci hanno messo del loro: dal 2019 a oggi, il centrocampista brasiliano ha subito due interventi chirurgici, ha accusato diversi problemi fisici transitori e non è mai stato davvero brillante quando è riuscito ad andare in campo. Al Liverpool, per dire, ha giocato una partita da titolare e una da subentrato in tutta la stagione.

Quando si è diffusa la notizia del suo passaggio alla Fiorentina, tutti quelli che hanno visto giocare il vero – o il migliore? – Arthur, e che si ricordano il tipo di calciatore che era, hanno pensato che potesse essere la scelta giusta. Per tutti loro (noi) è stato un attimo, la paura per le delusioni vissute finora ha azzerato rapidamente l’entusiasmo e l’ottimismo, ma quell’attimo è stato bellissimo: abbiamo immaginato una partita della Fiorentina 23/24 e c’era Arthur – quello del Barcellona di Valverde e quello del Brasile campione sudamericano nel 2019 – che zampetta intorno al centrocampo di una squadra come quella di Italiano, Arthur che va a facilitare l’uscita tra i triangoli costruiti da Biraghi, Bonaventura, Dodô e Nico González, Arthur che si muove tra le linee e muove il pallone in modo ricercato, solo apparentemente elementare.

Se la guardassimo col senno del 2019, l’operazione Arthur-Fiorentina dovrebbe essere considerata come un evidente downgrade, per il giocatore. Oggi, quattro anni dopo, la squadra di Italiano potrebbe essere invece la sua ultima speranza, l’ambiente giusto per lui. Di tattica pura abbiamo parlato, ma poi c’è anche altro: meno pressioni, più spazio da titolare, la possibilità di studiare da leader tecnico e carismatico. Insomma, c’è tutto per iniziare a pianificare una resurrezione in grande stile. Magari non è ancora troppo tardi. (Alfonso Fasano)