Una lista di cinque giocatori che hanno animato questo mercato in tono minore e che meriterebbero un investimento – al Fantacalcio, ovviamente – anche solo per l’hype generato dall’attesa per quello che potrà essere il loro percorso e quello delle loro squadre. Nessuno di loro può dirsi una certezza, tutti si portano dietro quel coefficiente di curiosità che potrebbe rendere ancora più fremente l’attesa per la nuova stagione di Serie A.
Mateo Retegui
Ci ha messo trentadue secondi, Mateo Retegui, per segnare il suo primo gol ufficiale con la maglia del Genoa, contro il Modena in Coppa Italia. Quindi circa novanta in meno di quelli che servirono a Krzysztof Piatek per realizzare il primo dei quattro gol con cui cinque anni fa annichilì il Lecce. Vale a dire il giorno in cui iniziò una storia d’amore lunga cinque mesi con tutti i fanta-allenatori italiani che decisero di puntare su di lui dopo quell’exploit, ripagati da 13 reti in 19 partite prima di vedersi spezzare il cuore dal passaggio al Milan a gennaio.
Diversamente da quel che accadde con Piatek, di Retegui sappiamo già tutto fin dallo scorso marzo, quando Roberto Mancini lo rese trend topic su Twitter convocandolo per le prime due partite del girone di qualificazione a Euro 2024 contro Inghilterra e Malta – gol contro entrambe, ovviamente. Quindi sappiamo anche perché varrebbe la pena impegnare su di lui un buon numero di crediti nell’anno in cui il capocannoniere della Serie A, oltre che il giocatore più pagato di ogni asta, sarà impegnato per quasi un mese nella Coppa D’Africa che si disputerà in Costa d’Avorio tra gennaio e febbraio. Retegui, infatti, è un giocatore da fantacalcio in senso stretto, un centravanti vecchio stampo, uno di quelli per cui non ci sogneremmo mai di spendere il termine associativo, che sa fare una cosa e sa farla bene, a prescindere dal numero di palloni che tocca. Nel caso dell’ex Tigre, anzi, sembra quasi che meno è coinvolto nel flusso della partita più è in grado di risultare letale negli ultimi 16 metri, come dimostra la rete agli inglesi dopo i primi 45’ di nulla assoluto.
In una squadra come il Genoa di Gilardino, incardinata sui principi del 3-5-2 e che si affiderà alle combinazioni tra le due punte e all’attacco delle seconde palle per risalire il campo, uno come Retegui ha perciò perfettamente senso: la titolarità quasi indiscussa promette di essere la base per una stagione dalla doppia cifra comoda, con la possibilità di ritrovarsi un rosa un attaccante da potenziali 15/20 gol.
Lucas Beltrán
Mentre in Italia si era ancora tutti intenti ad onorare la tradizione della grigliata, Roberto “El Pampa” Sosa ha deciso di augurare buon Ferragosto twittando che Lucas Beltrán, comprato dalla Fiorentina per oltre 25 milioni di euro – l’acquisto più caro della storia del club, appena due anni dopo i 24 milioni spesi per Nico Gonzalez – «è meglio di Julian Alvarez».
Che si tratti di una previsione eccessivamente ottimistica, l’ex giocatore del River Plate può già essere considerato il segreto meno segreto del calciomercato viola. Così come Retegui, anche Beltrán è un giocatore perfetto per il sistema di gioco in cui sarà chiamato ad inserirsi, e in fretta: parliamo, infatti, di un attaccante molto mobile, adatto ad occupare tutti gli slot di un attacco a tre e in grado di generare superiorità numerica e posizionale nell’ultimo terzo di campo, agendo da finto esterno o da trequartista ibrido alle spalle della seconda linea di pressione. In questo senso è facile immaginarsi Beltrán come complemento ideale di un sistema offensivo privo di punti di riferimento fisici, in cui lui, Nzola e lo stesso Gonzalez si alternano nei tagli esterno-interno e nell’attacco della profondità senza palla.
Se ne facciamo una questione di distribuzione dei bonus portati da gol e assist, uno come Beltrán potrebbe non garantirne in abbondanza in un contesto in cui non è – o, almeno, non ancora – il centro tecnico ed emotivo. Il rischio, quindi, è quello di trovarsi a spendere parecchi crediti per un giocatore in potenza, uno di quelli da inserire nei nostri discorsi di talent scout wannabe quando un domani ricorderemo quella stagione in cui decidemmo di puntare su di lui all’asta perché ci avevamo visto lungo, e poco importano gli appena 3 gol in 35 presenze sulla scia del Pastore 2009/10 o il Dybala 2012/13. Dybala che, non a caso, ha cercato di convincerlo fino all’ultimo a trasferirsi a Roma: «Ho parlato tanto con lui ma alla fine il mio passaggio alla Roma non si è concretizzato. Andrò alla Fiorentina che ha comunque un bel progetto» ha detto in una recente intervista a Tyc Sports.
Houssem Aouar
Aouar è stato acquistato dalla Roma a parametro zero e i principali highlights del suo pre-campionato sono stati l’assist (delizioso) per Dybala nell’amichevole contro L’Estrella Amadora e la sostituzione che non era nella partita disputata contro il Partizani a Tirana, quando Mourinho ha preferito disputare con un uomo in meno gli ultimi minuti piuttosto che rischiare di perdere per infortunio il suo centrocampista. Cosa è successo, da quando, nel 2020, Aouar era una delle stelle principali del Lione, al punto da essere annoverato tra i principali talenti della sua generazione? Una regressione tecnica a tratti inspiegabile, la scelta di giocare per l’Algeria due anni e mezzo dopo la prima e unica partita disputata con la Nazionale Francese (7 ottobre 2020, 30’ nel 7-1 all’Ucraina), la perdita progressiva di centralità all’interno della squadra dove era nato e cresciuto fino a esserne relegato ai margini ad appena 25 anni, quindi teoricamente all’apice del prime tecnico fisico e psicologico.
Dettagli che fanno di Aouar il giocatore da considerare per chi non ha mai smesso di credere che possa ancora diventare uno dei centrocampisti più fantasiosi e completi della nuova generazione. E con buone ragioni: Aouar rischia di essere, in un senso e nell’altro, l’ago della bilancia della terza Roma di Mourinho, il discrimine tra una stagione in cui ambire a qualcosa di più del quarto posto o un’altra in cui vivacchiare nella speranza che quelle davanti sbaglino qualcosa. E il fatto che il tecnico portoghese ci punti così tanto da volerlo salvaguardare dagli infortuni anche in questa maniera grottesca e caricaturale significa che non ci saranno mezze misure: o l’anno che ce lo restituisce come la mezzala totale che ci siamo sempre immaginati o l’ultimo passo verso l’oblio di ciò che poteva essere e non è stato. Ci avete creduto fino ad oggi, perché non dovreste farlo ancora?
Charles De Ketelaere
Di Aouar, a testimonianza di una grandezza passata e di una speranza di una rinascita futura, abbiamo immagini, racconti, video. Di Charles De Ketelaere, appena un anno dopo il suo arrivo in Italia, sembra che non più abbiamo nulla, nemmeno il ricordo delle tre folgoranti stagioni con il Club Bruges. Come se tutto fosse stato un grosso equivoco, una gigantesca allucinazione collettiva dalla quale abbiamo fatto tutti fatica a svegliarci, come se quel promettente ragazzino belga non fosse stato altro che la proiezione mentale di un qualcosa che nella realtà non esiste. Colpa di un calcio isterico dalla memoria sempre più corta, per cui vale sempre tutto e il suo contrario senza vie di mezzo, e in cui il talento da solo non basta più, anzi impiega pochissimo a perdersi, anestetizzarsi, finire in panchina, farsi dimenticare.
Non ci sono motivi per cui un giocatore da appena un assist – questo, a Leao, nella prima giornata dello scorso campionato – in 32 partite (appena 9 da titolare) possa essere considerato un buon investimento. Però perché non affidarsi all’irrazionale, al precedente beneagurante per cui l’ultimo indolente mancino di talento che Gasperini ha allenato quando sembrava che non lo volesse più nessuno si chiamava Josip Ilicic, all’idea che viaggiare in direzione opposta alla corrente renderà più appagante e significativo l’approdo alla terra promessa della zona premi. Ed ecco, quindi, come De Ketelaere diventa un vero e proprio feticcio, un atto di fede, la scommessa che vale la pena fare.
Daichi Kamada
Non ce ne voglia Nicolò Rovella che possiede tutto ciò che serve per poter diventare l’ennesimo centrocampista che in una squadra di Maurizio Sarri tocca “150 palloni a partita”, così come riuscì a Jorginho; se c’è un giocatore della Lazio che in sede di asta merita un rilancio quello è Daichi Kamada, arrivato a parametro zero dall’Eintracht Francoforte al termine della miglior stagione della carriera – 16 gol e 7 assist in 49 partite.
Nella versione estrema e radicale del sarrismo senza compromessi ammirata a Napoli nelle prime due stagioni del post Higuain, il giapponese sarebbe stato l’erede naturale di Marek Hamsik, l’uomo ovunque in grado di agire da mezzala, esterno di manovra e addirittura finto nueve, grazie alla naturale propensione al gioco sul corto e alla grande qualità di trovare e occupare gli spazi attaccando la linea difensiva dal lato debole; oggi invece, in una squadra che, complice l’inamovibilità di Ciro Immobile, è chiamata ad essere più diretta e verticale di quel Napoli, Sarri dovrà trasformare Kamada nello shadow striker dal gioco essenziale e dal peso specifico comparabile a quello che Milinković-Savić ha avuto nella passata stagione nell’ultimo terzo di campo, soprattutto dal punto di vista realizzativo: «Il calcio italiano è molto sviluppato tatticamente e infatti in allenamento c’è tantissimo da imparare. Per questo ho deciso di trasferirmi qui, perché credo di poter crescere e diventare un giocatore migliore: credo di poter giocare meglio come numero 8, come centrocampista interno o mezzala» ha dichiarato nel video postato sul sito ufficiale del club.
Proprio quest’interpretazione minimalista del ruolo rende Kamada un giocatore da prendere per chi cerca bonus facili provando a massimizzare l’impatto tra spesa e resa: non aspettatevi un centrocampista da picchi elevati di rendimento, ma un solido elemento di sistema in grado di garantire un buon numero di gol e assist grazie alla sua qualità negli inserimenti senza palla e a una capacità balistica, soprattutto nei calci piazzati, troppo spesso sottovalutata.