La Uefa si sta opponendo ai recuperi extralarge voluti dalla Fifa

I dirigenti del calcio europeo dicono di voler preservare la tenuta fisica dei calciatori.

Durante l’ultima Coppa del Mondo, in Qatar, abbiamo dovuto abituarci a un nuovo modo di vivere il calcio. Tutta colpa – o merito, a seconda dei punti di vista – dei lunghissimi recuperi voluti dalla Fifa, in modo da contrastare – o comunque compensare – le perdite di tempo dei calciatori in campo, che siano più o meno intenzionali. Il match della fase a gironi tra Inghilterra e Iran, per esempio, è durato 117 minuti; la sfida tra Usa e Galles è terminata dopo 104 minuti. Lo stesso è accaduto nel corso del recente Mondiale femminile, disputato poche settimane fa in Australia e Nuova Zelanda: la durata delle partite ha superato quasi sempre i 100 minuti e in alcuni casi sono andate oltre; Zambia e Giappone, per esempio, è arrivata fino al minuto 109′; Colombia-Corea del Sud si è fermata a quota 108′. Questa disposizione Fifa è stata in qualche modo recepita anche nei campionati nazionali. Ecco qualche esempio estrapolato dalle primissime giornate di Serie A e Premier League: Hellas Verona e Roma sono rimaste in campo 107 minuti, e anche la sfida tra Manchester United e Nottingham Forest è finita al 107′.

È chiaro, insomma, come direttori di gara stiano applicando un nuovo metodo incoraggiato dalla Fifa e del comitato arbitrale internazionale, che hanno detto chiaramente di voler favorire la fluidità del gioco e che ci siano sempre più minuti con il pallone in movimento. Di conseguenza, le leghe europee – tra cui la Premier League e la Serie A – hanno imposto ai loro arbitri di considerare qualsiasi perdita di tempo quando arriva il momento di calcolare e assegnare i minuti di recupero: i direttori di gara, dunque, hanno incominciato a tener conto dei minuti passati a protestare, di quelli spesi per esultare dopo un gol, di quelli impiegati per effettuare una sostituzione o per valutare un episodio al VAR.

Non tutti, però, sono d’accordo con queste nuove disposizioni. La Uefa, per esempio, ha manifestato subito un profondo dissenso nei confronti dei recuperi extralarge introdotti dalla fine dello scorso anno. Nello specifico l’organo di governo del calcio europeo teme che prolungare le partite di così tanto possa influire negativamente sulla tenuta fisica dei giocatori e di conseguenza sulle loro prestazioni in campo durante la stagione. Zvonimir Boban, Head of Football Uefa, ha spiegato che «con questi recuperi di 12,13,14 minuti stiamo allungando troppo le partite. Per i calciatori è una specie di piccola o grande tragedia. E posso parlare per esperienza. Gli ultimi 30 minuti di gioco sono quelli più faticosi, se poi arriva qualcuno e aggiunge altri 15 minuti da passare in campo diventa durissima». L’ex centrocampista del Milan ha motivato la posizione del suo organo e ha annunciato che le gare delle coppe europee saranno gestite diversamente: «Con recuperi così lunghi durante i match alcuni giocatori arriveranno a giocare anche 500 minuti in più a stagione, una cifra pari a sei partite. È pazzesco, è troppo e quindi non lo faremo. Le nostre linee guida sono diverse».

Anche Roberto Rosetti, presidente del comitato arbitrale Uefa, si è espresso sulla stessa frequenza di Boban: «La Champions League piace tanto alla gente perché è intensa, rapida e i giocatori non si fermano mai. Per far sì che ciò accada però bisogna metterli n condizione di poterlo fare. Con partite troppo lunghe diventa impossibile. I calciatori dopo due partite da 110/115 minuti in pochi giorni arrivano stanchissimi alla terza». Come fare, perciò, a risolvere il problema delle perdite di tempo in campo: «Al posto che allungare le partite noi diciamo ai nostri arbitri di accelerare la ripresa del gioco», ha spiegato Rosetti. «Dobbiamo educare giocatori e allenatori a protestare meno e a portare più rispetto alle decisioni degli arbitri: in questo modo ci sarebbero meno interruzioni e più minuti con il pallone in movimento».