Quattro acquisti di agosto che ci hanno fatto venire l’acquolina in bocca

Pavard all'Inter, Ansu Fati al Brighton, Lindstrom al Napoli e Joåo Félix al Barcellona.

Pavard e l’Inter: un matrimonio che sembra perfetto
È arrivato in Serie A un campione del mondo per Nazionali e della Champions League, uno dei giocatori con più trofei vinti negli ultimi cinque anni. L’acquisto di Pavard da parte dell’Inter arricchisce il campionato oltre che la sua squadra, non a caso è l’acquisto più costoso della Serie A in questa sessione estiva. E per l’Inter, certo, è già uno dei potenziali protagonisti della stagione: la qualità in impostazione, l’attenzione difensiva, l’esperienza ad altissimi livelli ne fanno un titolare sicuro e affidabile.

Sono quelle qualità che l’Inter aveva cercato in Azpilicueta a inizio mercato, con il vantaggio che Pavard è più giovane dello spagnolo di sette anni e non sembra un calciatore a fine corsa. Ma non solo. L’ex Bayern Monaco si è sempre definito un centrale prestato alla fascia laterale, si sente difensore puro nonostante abbia evidenti limiti nell’uno contro uno difensivo.

Da braccetto di destra, Pavard spunta tutte le caselle e permetterà a Simone Inzaghi di osare anche sul piano organizzativo – strategico prima ancora che tattico: adesso l’Inter ha un elemento speculare a Bastoni dall’altro lato della difesa, almeno per la qualità nel gioco lungo e nella capacità di superare linee di pressione con un passaggio. Infine Pavard permette di restituire a Darmian uno status più suo, perché quello del titolare inamovibile in una difesa senza riserve del tutto affidabili probabilmente gli sarebbe stato largo. Insomma, con l’acquisto di Pavard guadagnano tutti, dai singoli giocatori all’intero campionato. (Alessandro Cappelli)

La riscoperta di Ansu Fati parte da Brighton

L’epifania di Lamine Yamal – da intendersi nel senso greco del termine, quindi come manifestazione o apparizione – e tutto ciò che ne consegue, è un qualcosa che avevamo già visto. Sempre a Barcellona e sempre per un giocatore de La Masía destinato a raccogliere l’eredità tecnica e spirituale di Lionel Messi. Era la tarda estate del 2019, Lamine Yamal si chiamava Ansu Fati e Ansu Fati era semplicemente tutto ciò che immaginavamo fosse il calcio nel futuro, qualcosa che era già di Kylian Mbappé e che non era del tutto di Erling Haaland.

Viviamo un calcio che brucia, anzi che fagocita il talento a una velocità a tratti persino insostenibile, in cui quattro anni sono un’era geologica. Lo sappiamo e abbiamo imparato ad accettarlo; eppure il fatto che siano bastati solo quattro anni, appunto, per fare di Ansu Fati il vecchio da riciclare che deve far spazio al nuovo che avanza ci sembra comunque il cortocircuito finale, il bug di sistema di questa rivoluzione in perenne divenire per cui è del tutto normale che per un giocatore che deve ancora compiere 21 anni il meglio della carriera sia già alle spalle. E che un anno in prestito al Brighton sia già il punto di non ritorno, quanto di meglio il mondo ha da offrire a chi non è riuscito a mantenere le premesse e le promesse degli esordi pure se per colpe non sue.

Tutto questo non può essere scomparso nel nulla

Tutto è connesso all’età di Ansu Fati, al fatto che siamo naturalmente portati a considerare giovani per sempre – e quindi meritevoli di una seconda, terza e quarta occasione – tutti quei giocatori che esordiscono quando sono poco più che adolescenti, eppure questa stagione sotto De Zerbi potrebbe davvero essere ciò che serve per vedere sbocciare il suo talento, per ricominciare dove ci eravamo lasciati, per continuare su un percorso diverso ma non per questo meno intrigante. Perché si può essere Ansu Fati senza dover essere per forza l’erede di Messi a Barcellona. E quale posto migliore di Brighton, e quale campionato migliore della Premier League, per scoprirlo? (Claudio Pellecchia)

João Félix, riscatto o dannazione

La carriera di João Félix sembra un romanzo. Malinconico, struggente. Come certe parabole che sembrano destinate al sublime, e poi si attorcigliano e crollano a pezzi, con i protagonisti appesantiti e scalfiti dalle brutture, dalle ingiustizie, da sensi di inadeguatezza che non avrebbero dovuto appartenergli, e invece. Potrebbe essere avventato affibbiare un ruolo del genere a un giocatore che deve ancora compiere 24 anni, ma la realtà è che in questo primo scorcio di carriera importante João Félix ha dovuto lottare con le attese – enormi quanto legittime – e con le difficoltà che di volta in volta gli si ponevano di fronte: una certa allergia al rigido schematismo di Diego Simeone, l’incastro impossibile in un’utopia sgangherata come quella del Chelsea.

Il passaggio al Barcellona, sotto queste premesse, non è più soltanto un’intrigante mossa di mercato: acquisisce le dimensioni del riscatto per la carriera del portoghese, ma contempla anche la possibilità di un eventuale – e forse definitivo – naufragio. In casa Atlético non era certo ignorato – e per nulla sopportato – il malcontento di João Félix, che ha voluto in ogni modo vestire di blaugrana in estate: c’è anche questo aspetto, nei prossimi mesi che scandiranno il futuro calcistico dell’ex Benfica, che l’Atlético pagò circa 120 milioni di euro. João Félix ha scelto il proprio destino, e come ogni eroe romantico si trascinerà addosso tutto il peso di questa responsabilità, nel bene o nel male.

È certo che la nuova avventura porta con sé un grado di eccitazione altissimo: nel Barcellona di Xavi, João Félix troverà un contesto decisamente più consono rispetto a quelli che ha vissuto negli ultimi anni, in una squadra che già abbonda di qualità e che sulla pietra della qualità è stata forgiata. Il lavoro di Xavi la scorsa stagione ha modellato una squadra credibile, funzionale, non dogmatica. L’inserimento di João Félix non appare problematico, e il Barcellona potrebbe davvero rivelarsi la scelta migliore fatta in carriera. (Francesco Paolo Giordano)

Jesper Lindstrom, il Napoli e la rivoluzione dell’adrenalina

In tutti i suoi videoskill su YouTube, Jesper Lindstrom dà la sensazione di indossare sempre dei pattini in linea: va più forte di chiunque altro ma riesce anche a muovere le gambe senza manifestare goffaggine, si infila in mezzo agli avversari ma non rallenta, anzi ci riesce proprio perché accelera e nessuno riesce a tenerlo. Le sue azioni possono dare una scarica di adrenalina pura alla sua squadra, a una partita. Serve, però, che si verifichino alcune condizioni: Lindstrom ha bisogno di campo da attaccare, di spazi ampi in cui galoppare, la sua sensibilità tecnica è di buon livello ma è decisamente meno efficace se non si esprime in velocità, o comunque in situazione dinamica.

E allora bisogna partire da qui, più che dai ruoli – Lindstrom può giocare e ha giocato in tutti gli slot offensivi dietro la prima punta, sia nel Brondby che nell’Eintracht Francoforte – che può ricoprire, per analizzare e comprendere l’operazione fatta dal Napoli: acquistare Lindstrom ha avuto e avrà un significato importante, è una grande scommessa (siamo nell’ordine dei 30 milioni tra prestito e riscatto, secondo le notizie di mercato) su un calcio meno ragionato e più elettrico, meno orizzontale e più verticale, più vicino a Rudi Garcia che a Luciano Spalletti. È una mossa che in parte rinnega il passato, ma è soprattutto un investimento sul futuro. Un futuro immaginato e costruito partendo da Osimhen e Kvaratskhelia, innescati però in un modo nuovo: sfruttando l’esplosività e l’imprevedibilità di Lindstrom.

Sì, esatto: esplosività e imprevedibilità

Rudi Garcia, anche alla luce della bruciante sconfitta con la Lazio, avrà bisogno di tempo per la sua transizione-rivoluzione. La società, però, ha dimostrato di credere nel suo lavoro, in un’idea di cambiamento che trasuda ambizione, spregiudicatezza, forse anche un pizzico di presunzione. Ma che ha solide basi: se Lindstrom dovesse accendersi sul serio, il Napoli avrebbe dato vita a un tridente potenzialmente atomico per la Serie A. La vera sfida sarà rendere sostenibile un attacco del genere, sarà costruire una squadra aggressiva e iper-verticale ma anche equilibrata. Non sarà facile, di certo sarà divertente. (Alfonso Fasano)