Provare a spiegare Ansu Fati, descrivere il suo impatto con il calcio professionistico, significa fare i conti con elementi vecchi e nuovi che rendono potenzialmente unica la parabola del sedicenne del Barcellona – originario della Guinea-Bissau. Da un lato c’è il racconto ormai classico del giovane di talento, che si nutre dell’idea di predestinazione, dell’abbattimento di ogni record di precocità, di un’aneddotica passata che ha riflessi anche sul presente – una storia familiare singolare, Victor Valdés che gli compra gli scarpini durante un torneo in Russia, il ruolo fondamentale di Bakero, quasi esautorato dalla commissione sportiva blaugrana pur di impedire il passaggio del giocatore a West Ham, Siviglia o Real Madrid. Ci sono anche parti negative, ad esempio l’inevitabilità dei paragoni con Messi, sulla scia di quanto avvenuto a suo tempo con Bojan Krkic – il giocatore cui Fati ha tolto il primato di marcatore più giovane della storia del Barcellona nella Liga dopo la rete contro il Valencia – e con altri dopo di lui.
Poi ci sono i significati nuovi, originali: Fati, come ha notato Sid Lowe sul Guardian, «non è una di quelle cose che accadono come se fossero coincidenze o un fenomeno che ci si limita ad osservare e basta, piuttosto qualcosa che ti porta con sé, ti trascina, esattamente come fa lui con i difensori in campo». Il gioco di Fati è moderno eppure già visto, come sarebbe logico attendersi nella generazione dei calciatori supersonici, la generazione di Kylian Mbappé e/o di Jadon Sancho – atleti che hanno progressivamente normalizzato l’idea che i teenager siano in grado di fare la differenza fin da subito in un contesto fisico e tecnico solo apparentemente sovradimensionato. Proprio per questo, diversamente da quanto accaduto con gli stessi Mbappé e Sancho, di Fati sappiamo già che si tratta della naturale evoluzione di una specie già evoluta di suo, qualcosa con cui eravamo (e siamo) pronti a fare i conti.
Eppure non possiamo fare a meno di sorprenderci se, come scrive ancora Sid Lowe sul Guardian, «la partita di Fati contro il Valencia è stata eccezionale: ogni decisione è stata corretta, ogni appoggio giusto, così come tutte quelle giocate che gli altri trovano difficili e che per lui, invece, appaiono facili». Fati gioca un calcio audace, propositivo, corre molti rischi con la palla tra i piedi eppure contro il Valencia ha concluso con successo l’80% dei passaggi tentati e completato positivamente tutti i duelli individuali in dribbling. Con Fati e i suoi coetanei, siamo entrati in un’era in cui non è tanto importante la questione di “vedere il meteorite” che sta arrivando, ma di capire quando e come impatterà. Perché è solo una questione di tempo, quasi mai di nome conosciuto o meno. Questa condizione accomuna l’esterno del Barcellona ad altri suoi coetanei, primo tra tutti Eduardo Camavinga, 16enne centrocampista angolano del Rennes perfettamente a suo agio nel personale “battesimo del fuoco” con il Psg.
Contro il Valencia al Camp Nou un gol e un assist in sette minuti: a 16 anni e 318 giorni, più giovane giocatore di sempre a mandare a referto un gol e un assist nella stessa partita nella storia della Liga oltre che il più giovane titolare in una partita di campionato con la maglia del Barca
Indipendentemente da quello che sarà il suo percorso di crescita e il suo successo ad alto livello, Fati è il figlio ideale di un calcio in cui ipotizzare i margini di crescita di un potenziale fuoriclasse è diventato superfluo. L’esterno offensivo del Barcellona è probabilmente un giocatore già fatto e finito, anche se il suo profilo è inevitabilmente grezzo, legato all’istintività e all’immediatezza. Lo abbiamo visto, lo stiamo vedendo, lo vedremo anche nelle settimane e nei mesi in cui si troverà a dover fare i conti con quello che negli Stati Uniti chiamano “rookie wall”, e che adesso sembra quasi un dettaglio trascurabile nel ribaltamento del rapporto tra consuetudine e anomalia. «Giocare nel Barcellona è difficile per tutti e non è normale segnare e fare un assist in questo modo» si è affrettato a dire, non a caso, l’allenatore blaugrana Valverde. «Tutto però si normalizzerà, il nostro obiettivo è farlo diventare un calciatore e capirà da solo quanto è dura. Ha grande qualità, sappiamo che ora c’è grande eccitazione ma dobbiamo tenerlo coi piedi per terra e proteggerlo».
Se risulta così così difficile inquadrare Fati all’interno delle logiche di un percorso di crescita organico e strutturato è perché la realtà mostra altro, sta mostrando altro. E non si tratta delle iperboli tipiche di quel sensazionalismo giornalistico che ha portato Marca a scrivere che «la storia della Champions League lo attende», come se debuttare da titolare nella massima competizione europea per club, contro il Borussia Dortmund e a 17 anni ancora da compiere, fosse la cosa più naturale del mondo. Se riteniamo plausibile che Fati possa contendere legittimamente il posto a due terzi dell’attacco di una delle squadre favorite alla vittoria finale della Champions League, è perché lo ha già fatto, lo sta già facendo. È evidente che Fati abbia standard di eccellenza già definiti. E che ora, quindi, le sue ambizioni debbano essere poste ancora più in là. Magari dandogli, come ha suggerito Victor Valdés (che lo ha allenato nell’Under-19) quella «libertà di cui ha bisogno, senza ingabbiarlo all’interno di schemi».
In questo senso, forse, la sua probabile partecipazione al prossimo Mondiale Under-17 con la maglia della Nazionale spagnola non è considerata un’ipotesi negativa dal Barcellona, nonostante l’eventuale convocazione significherebbe dover rinunciare al giocatore per un mese chiave in questo inizio di stagione. Un’esperienza di questo tipo non rappresenterebbe un’evitabile perdita di tempo. Anzi, potrebbe anche portarlo in una dimensione diversa, lontana dalle pressioni di una delle squadre più forti del mondo. Una condizione che ha innescato un inevitabile meccanismo di protezione da parte dei suoi compagni. «È molto giovane. Sappiamo di che cosa è capace, sappiamo che cosa sta facendo e vediamo l’entusiasmo dei tifosi che lo stanno già paragonando a tanti grandissimi campioni. Il nostro compito è sostenerlo perché sappiamo che verranno tempi difficili. Lui comunque ha qualità, ha una buona testa e lavora sodo. Spero che questo possa essere l’inizio di una lunga storia qui». Queste parole sono di Sergi Busquets. Cioè uno dei leader del Barcellona ha parlato di Fati volgendo lo sguardo soprattutto al futuro, guardando a quello che Fati sarà. Solo che Fati è già qui, già ora. E ha impattato come un meteorite sul Barcellona.