Il Lecce si è inventato un nuovo modo di fare calcio, e sta funzionando

La costruzione del modello giallorosso, unico e divertente, è l'ennesimo colpo di genio nella carriera di Pantaleo Corvino.

L’inizio di stagione del Lecce è la prima cosa bella della Serie A 2023/24. È vero, il luogo comune dice che il calcio d’agosto non conta niente, che fino alla prima pausa-Nazionali non si possono trarre grosse indicazioni, in fondo il campionato dura dieci mesi e in dieci mesi può cambiare tutto, pure più volte. Solo che ogni anno le prime partite regalano qualche perla che merita di essere conservata e infilata tra highlights del campionato. E se c’è una squadra che ha già fatto vedere qualcosa di interessante, qualcosa che va oltre le attese, è quella di Roberto D’Aversa. Intanto perché ha sette punti dopo tre partite giocate contro Lazio, Fiorentina e Salernitana. In classifica ha solo Inter e Milan davanti. E poi il Lecce ha messo in mostra un gioco offensivo elettrico, furioso, che fa sembrare i giallorossi una ciurma di pirati all’assalto del vascello nemico con funi e grappini d’arrembaggio.

In entrambi i gol segnati alla Lazio, alla prima di campionato, il Lecce arriva al tiro dopo aver portato quattro uomini dentro l’area e altri tre appostati al limite e sugli spigoli per accentuare la sensazione di pericolo, di aggressione. In alcuni momenti della partita l’attacco del Lecce sembra governato dal caos, da un’energia impazzita che accelera i movimenti di Almqvist, Banda, Krstovic e di tutti gli altri. Le azioni dei giocatori di D’Aversa diventano illeggibili, certe volte anche confuse, e forse lo sono, ma su un campione così piccolo di partite possono portare gol e punti fondamentali a una squadra che dovrà lottare fino all’ultimo per non retrocedere. C’è un dato singolare, molto curioso che descrive questo modo intensivo di assaltare l’area di rigore: la squadra di D’Aversa è una delle tre in Europa, insieme a Real Madrid e Chelsea, ad aver portato tutti i giocatori di movimento, 17 su 17, a toccare almeno un pallone in area avversaria.

Il progetto del Lecce, di questo Lecce, è la Cappella Sistina di Pantaleo Corvino, ormai diesse di culto tra i diesse di culto. Il tratto più evidente è sempre nell’economia del calciomercato: in estate il Lecce ha incassato 25,7 milioni di euro dalle cessioni, ma ha reinvestito quasi tutto, quasi 22 milioni. Il grosso delle entrate è legato a Morten Hjulmand, venduto allo Sporting Cp per 18 milioni (più tre di bonus), acquistato due anni e mezzo prima per 170mila euro. Con questa liquidità entrata nel portafogli a metà agosto, Corvino si è sentito come al luna park. Pochi giorni dopo la cessione dell’ex capitano ha comprato il cartellino di Nikola Krstovic, cioè l’attaccante che segnato il gol più bello del Lecce fin qui. È una girata di testa a inizio partita contro la Salernitana: il senso dell’anticipo, la capacità di lettura della traiettoria e la tecnica con cui l’attaccante montenegrino ha anticipato Gyomber sul primo palo e girato in porta il cross di Gendrey sono doti da centravanti d’area di alto livello.

L’alternativa, come gol più bello, è il destro di Rafia a inizio secondo tempo di Fiorentina-Lecce, alla seconda giornata di campionato: un tiro di prima intenzione dal limite dell’area che racconta le qualità balistiche del centrocampista tunisino. Krstovic e Rafia sono due acquisti tipici di Corvino, quei giocatori che ogni anno il diesse sembra pescare casualmente negli altri campionati come bigliettini da un cappello, e invece finiscono spesso per essere le pedine giuste per la sua squadra. «Dicono che sia bravo a vendere, ma ho sempre ceduto giocatori da me acquistati. Quindi, senza false modestie, anche a comprare non devo essere male», dice di sé Corvino. Ma le sue doti da rabdomante del talento sono già state raccontate e sono ormai parte della mistica del personaggio.

Il Lecce si può concedere un’estate da 21 milioni di spesa anche perché sta raccogliendo i frutti degli investimenti a lungo termine fatti negli ultimi anni. In particolare quelli nel settore giovanile. Anzi, in realtà il Lecce ha investito quasi solo nella Primavera, quindi nel livello immediatamente sotto la prima squadra: nella rosa attuale del Lecce ci sono sette giocatori promossi dalla formazione che pochi mesi fa ha vinto il campionato Primavera 1, quindi lo scudetto. È quasi naturale, quindi, che dietro il terzino sinistro titolare Antonino Gallo ci sia Patrick Dorgu, classe 2004, pagato 200mila euro dalle giovanili del Nordsjaelland. Lo stesso discorso vale per il centravanti di riserva, Burnete, e per il secondo portiere, Borbei, arrivato nel 2020 per 100mila euro. Pochi giorni fa il Guardian scriveva che ormai i settori giovanili vengono usati dalle grandi squadre d’Europa per sviluppare talenti che poi devono partire se arrivano le giuste offerte, in modo da finanziare un calciomercato sempre più ricco. A Lecce, invece, i giovani della Primavera servono soprattutto per riempire le caselle libere in prima squadra, sostituendo i partenti con giovani di prospettiva che, tra cartellini e stipendi,  a bilancio pesano pochissimo. È la via più rapida per potersi permettere movimenti di mercato altrimenti impossibili con le risorse del club, come appunto i 3,8 milioni investiti per Krstovic.

Detta così sembra una cifra alta, ma poi basta guardare questo video e ci si rende conto che non è poi così alta, dopotutto

Proprio la Primavera del Lecce l’anno scorso aveva fatto discutere: ha giocato – e vinto – la finale del campionato Primavera 1 schierando una formazione mai vista prima, nel senso che tra gli undici giocatori in campo dall’inizio e i quattro subentrati non c’era nemmeno un italiano. Ora la Figc ha provato a cambiare rotta modificando il regolamento (in modo assurdo, per altro). Eppure lo schema leccese funzionava alla perfezione, permetteva a una società molto piccola di garantirsi una sostenibilità economica di medio periodo. Corvino aveva costruito una specie di All-Star della categoria: partendo da investimenti accessibili – da campionato Primavera, appunto – aveva creato un undici fuori scala che ha dimostrato di poter arricchire la prima squadra.

L’idea di puntare sulla Primavera non è dovuta a una mancanza di pazienza o di prospettiva. È una questione di opportunità: «Se c’è un ragazzo salentino di 14 o 15 anni che promette bene», dice a Undici Filippo Verri, giornalista leccese e osservatore di tutte le evoluzioni del club giallorosso, «gli osservatori di Juventus, Milan, Inter lo vengono a sapere e vengono a vederlo. Magari a prenderlo. In fondo lavorano in club che hanno più risorse e ambizioni altissime a tutti i livelli». Verri ricostruisce la strategia del DS, messa a punto dopo la stagione interrotta per la pandemia e poi ricominciata a distanza di qualche mese: «Nel 2020 il Lecce era retrocesso senza un patrimonio tecnico e con finanze sottilissime. Insomma, passa dalla A alla B con una rosa svuotata al termine dei prestiti di Saponara, Barak, Lapadula, Deiola e altri, Inoltre la condizione economica era precaria anche a causa dell’emergenza pandemica», racconta Verri. In questi casi il rischio è quello di una seconda retrocessione, dalla B alla C. Come d’altronde è accaduto alla Spal, retrocessa con il Lecce nel 2020. Così il presidente Saverio Sticchi Damiani solleva dall’incarico Mauro Meluso e richiama Corvino, l’unico in grado di navigare in acque così agitate. Il suo approccio è controintuitivo fin da subito: «Ha risorse scarse e una rosa da ricostruire», dice Verri, «ma l’unico investimento importante per la prima squadra è quello di Liam Henderson, circa 600mila euro. Il resto va alla Primavera, così prende giovani per 500mila euro totali dal campionato rumeno». Non si tratta delle solite proporzionitra prima e seconda squadra.

Corvino pensava di tornare in Serie A in tre stagioni. Ce ne ha messe due. E nel frattempo ha investito sui giovani e in un nuovo centro sportivo, così da avvicinare il Lecce all’immagine di una società più moderna e strutturata. Il percorso tracciato non è mai stato limitato alla costruzione della rosa e adesso non punta alla semplice sopravvivenza in Serie A. I dati più interessanti circolano su internet da giorni, e sono quelli sulla rosa più giovane del campionato, la seconda nei top 5 campionati europei, i 17 calciatori Under-23 a disposizione di D’Aversa il secondo monte ingaggi più basso della Serie A, con circa 15 milioni di spesa, dietro al solo Frosinone. Per avere un termine di paragone, il Genoa è salito dalla Serie B con 30 milioni di spesa per gli stipendi; il Cagliari, altra neopromossa, supera i 25. E il Lecce lo fa controllando praticamente tutti i suoi asset, infatti nella prima squadra ci sono soltanto tre giocatori in prestito. Per fare un paragone: l’Empoli ne ha undici, il Frosinone arriva a dieci, Genoa e Monza sono a sette.

Quello del Lecce è un progetto con molte ramificazioni, fondato su una visione di medio-lungo periodo che i club con risorse simili, solitamente, non possiedono. Si respira un’ambizione inedita, e gli obiettivi riguardano la crescita sportiva come quella aziendale. È per questo che il progetto del Lecce – oltre ai risultati sul campo, che potranno essere molto positivi o negativi, non conta – è interessante e da osservare prima di tutto per la ricerca, per l’idea che lo sostiene, per il modello di sostenibilità che ha costruito in tre anni e vuole portare avanti ancora, almeno per un po’.