Per caso, o per motivi che adesso mi sfuggono, mi sono trovato a San Siro il giorno dell’ultima partita giocata con il Milan da Franco Baresi. Per caso, sì, pur essendo stato Baresi uno dei miei calciatori preferiti, quel giorno – come è capitato tante volte nei miei anni milanesi – sono andato allo stadio perché mi piaceva andarci, è sempre stato bello andare al Meazza, arrivarci a piedi, e quel giorno, il primo giugno del 1997, si giocava Milan-Cagliari, una partita irrilevante per il pianeta calcio, ma rilevante per i tifosi rossoneri, commossi e giustamente in lacrime (o così mi parve) per tutta la partita. A un certo punto ho pure abbracciato uno seduto di fianco a me, come a dirgli: non c’entro niente ma ti capisco. E lo capivo davvero perché quando smette Franco Baresi (quel giorno smetteva anche Mauro Tassotti, la fine di un’epoca) è come quando smette Maradona, è come quando smette Zidane, è come quando smetterà Messi, finisce qualcosa, qualcosa di unico e prezioso che non tornerà più, non nella stessa maniera. Insomma, un Milan deludente che perde, segnerà Muzzi, ma Baresi che smette di giocare – ci sarà poi la partita tributo, con le lacrime ufficiali a ottobre dello stesso anno – ma lì, quel giorno, la Serie A smette di essere la casa di Franco Baresi e diventa qualcos’altro, non meno bello, ma di diverso. In ogni caso, anche quel giorno, il libero rossonero regala un salvataggio sulla linea, e un anticipo in semirovesciata molto bello da vedere e da rivedere. Il Milan ritirerà la 6, noi invecchieremo.
Tra i gesti da salvare del gioco del calcio metto sempre l’uscita palla al piede di Franco Baresi dall’area di rigore, l’eleganza, il controllo, la velocità. Che meraviglia. Oggi mi ritorna in mente tutto, anche che fosse l’avversario più temuto dal mio Maradona, anche il più corretto secondo Diego, quello che a fine partita si scusava per un fallo magari troppo duro; mi ritorna mentre leggo il bellissimo Da bambino ho visto un Ufo. Franco Baresi, Milano e io, di Stefano Simonetta (ed. Clichy, 2023), perché è sì un libro di un tifoso del Milan che racconta un giocatore simbolo, ma è anche la storia di un bambino, ragazzo, adulto e il suo rapporto con il pallone, con il tifo, con lo stadio, con la città; si tratta di un libro che mi somiglia così (come ho scritto una volta in una poesia) come mi somiglia Milano.
Un libro su Baresi e sull’essere tifoso del Milan non può non essere anche un libro su Milano. La Milano del quartiere dello stadio: il parco di Trenno la domenica mattina per giocare a pallone, il calcio giocato a Piazzale Brescia, le scuole di via Carlo Dolci. La strada da casa a San Siro, andarci quasi sempre, non andarci quasi mai. Il rapporto di Simonetta con Milano è un rapporto d’amore, ma è un legame reso ancora più forte dal fatto che Milano ha avuto a che fare con il Milan (e anche con l’Inter, certo) e con Franco Baresi. Leggendo le pagine di questo libro, che in fondo è un romanzo, si ha la sensazione che una certa Milano esiste, un certo modo di guardarla sopravvive, perché in quella città ha vissuto e ha giocato Franco Baresi.
Simonetta ci racconta vent’anni di calcio e di città, di come cambiano le cose dall’andare allo stadio con il proprio genitore a quando si cambia settore perché si cresce, perché ci si va con gli amici. E il genitore lo sa, ma è anche un tradimento. Tradimento, una parola che non si potrebbe mai usare per Franco Baresi che è il calciatore che c’è sempre stato, in B dopo il calcioscommesse, nelle delusioni, nelle sofferenze e dopo nei trionfi, nelle coppe vinte, nei campionati dominati. Franco Baresi, l’uomo che ha guidato la rivoluzione di Arrigo Sacchi. L’uomo della tattica del fuorigioco, l’uomo degli anticipi, delle chiusure impossibili, dei gol salvati all’ultimo respiro, l’uomo quasi infallibile dal dischetto. Sì, lo sappiamo, il rigore di Usa ’94, e sappiamo anche che la grandezza di Franco Baresi (e il suo straordinario recupero dopo l’infortunio subito in quel Mondiale) e di Roberto Baggio fa sì che tutti dimentichino che sbagliò un rigore anche Massaro quel giorno, figlio per sempre di un errore minore al cospetto dei due fuoriclasse, quelli che non avrebbero dovuto sbagliare.
Eppure, anche in quella finale, come centinaia di altre volte, Franco Baresi è stato il migliore in campo. Franco Baresi, sempre testa alta, sempre. Lo spiega bene l’autore in questo passaggio: «E quando vidi lui, il mio Franco, sollevare la “coppa dalle grandi orecchie” ed essere a sua volta sollevato e portato in trionfo dai compagni, a soli sette maggio di distanza dalla partita di Cesena, pensai che finalmente avrei potuto appendere in camera il poster con un’immagine che, sino a poco tempo prima, sarebbe apparsa pura fantascienza – come le foto degli UFO, appunto».
Stefano Simonetta parla di sé, delle manie da tifoso, torna indietro fino a Calloni, soprattutto fino a Gianni Rivera, alle delusioni come Joe Jordan o come Luther Blissett, le speranze tipo Hateley o Wilkins, spiega bene le sofferenze delle annate tristi, quelle in cui l’amore si vede davvero, in cui la follia di tenere per una squadra può essere davvero spiegata, compresa non lo sappiamo. Stefano Simonetta è nato poco distante da San Siro, là abitava, là un giorno che sembrava come un altro ha visto un ufo, era Franco Baresi. I fuoriclasse quasi sempre appaiono, dal nulla. Anche Paolo Sorrentino dice che Maradona è apparso, e non è così?
Ci sono le relazioni sentimentali, gli esami universitari, le amichevoli estive, le trasferte, le grandi vittorie, le delusioni più grandi, e un’idea romantica e malinconica che si fa largo quando le cose finiscono. La gioia e la tristezza, sempre condivise. In queste pagine che a volte suonano per la capacità di evocare dell’autore, c’è anche della musica vera, in fondo alle nostre giornate c’è sempre una canzone. E nei nostri ricordi, se fortunati, c’è un calciatore più di altri, così importante, così forte da far impazzire un regista come Herzog – che ne parla ogni volta che può; calciatore che quando smette ritirano la maglia perché quel numero nessuno più potrà usarlo. Il 6 a Milano non c’è più, né allo stadio né fuori, non mi pare ci siano tram – c’è il 5 e c’è il 7 – o bus con quel numero, dubito si arrivi a fare la linea 6 della metropolitana.