Se il calcio e lo sport femminile vivono il loro periodo di riscatto, di presa di coscienza collettiva, viene naturale pensare che gli impianti sportivi possano e debbano essere adeguati di conseguenza, sia per le atlete che per il loro pubblico. A fare da apripista a un nuovo modo di pensare il rapporto fra sport femminile e spazi per la sua pratica c’è lo studio internazionale di architettura Populous, uno dei più grandi e noti al mondo nel campo della progettazione di arene, stadi e impianti sportivi.
Oltre ai 24 uffici sparsi nel globo, all’interno di Populous si sviluppata una in-house think-tank particolare, un gruppo di lavoro dedicato e composto da sole donne – chiamato “Women in Sport & Entertainment Design (WISE Design)” – impegnato a capire come le strutture sportive possano e debbano cambiare per accogliere lo sport femminile. «Il nostro primo obiettivo è progettare strutture che siano adatte a tutti», dice Silvia Prandelli, Senior Principal di Populous Italia. «Il principio di partenza è non limitarci più alla progettazione di stadi con un target limitato, solo al maschile e solo su una fascia d’età specifica». D’altronde, di recente, l’Olimpico di Roma ha ospitato 40mila persone per assistere alla partita della Roma femminile contro il Barcellona, mentre le ragazze del Barça a marzo 2022 avevano portato al Camp Nou oltre 90mila persone per il match di Champions League contro il Real Madrid.
«Bisogna partire da un assunto: quello che serve non sono impianti sportivi “per donne”, ma lo sforzo progettuale va fatto per rendere questi luoghi utilizzabili da entrambi i sessi in modo uguale, così come lo sport professionistico è tale sia a livello maschile che femminile e le sue necessità di performance sono paritarie», prosegue Prandelli. In particolare, sono proprio gli spazi interni quelli dove il cambiamento può essere più sostanziale. Tutto parte dalla athlete journey, l’esperienza dell’atleta donna nel giorno di gara, che consigliano più privacy negli spogliatoi, docce e toilette adeguate, postazioni con specchi per sedersi, truccarsi e asciugarsi i capelli ma anche una gestione consapevole, con regolamentazioni precise nel caso di squadre giovanili.
In Italia, ma anche nel resto d’Europa e nel mondo, le atlete si esibiscono in impianti spesso di dimensioni ridotte, magari nel campo principale dei centri d’allenamento locali – e sono rare le uscite nei grandi stadi, come la splendida finale dell’Europeo 2022 fra Inghilterra e Germania davanti agli 87mila di Wembley. Le esigenze però devono cambiare, perché lo richiede il pubblico e lo richiedono i media. Può nascere l’idea di impianti che abbiano aree rivolte a tre utilizzatori: squadre maschili, squadre femminili, squadre giovanili. Una progettazione e una gestione mirate fin dall’inizio garantirà di radunare tutte queste squadre nello stesso Training Centre, migliorando la coesistenza e la cultura sportiva e sociale. «Spesso sono gli stessi club che ci chiedono cosa possono fare per migliorare i loro stadi», afferma Prandelli. «Se gli stadi sono microcosmi di passione, dove le persone vivono insieme e a stretto contatto esperienze e sentimenti forti, è naturale pensare a una buona progettazione che coinvolga e accolga tutti, con soluzioni sempre più ampie di equity e accessibilità».
Questi ragionamenti portano infatti con sé anche uno sguardo all’inclusività. Questo apre a qualcosa di più ampio sul design degli spazi, sul loro potenziale utilizzo e sull’accessibilità: i tifosi vanno ancor di più messi al centro della progettazione. E ancora, contenuti attrattivi per un pubblico misto e più eterogeneo, meno coincidente con il tradizionale pubblico calcistico. Spazi food and drink migliori e, perché no, proposte che riescano a mettere in relazione la cultura con lo sport: negli Stati Uniti, la squadra femminile Angel City di Los Angeles (finanziata anche da attrici come Jennifer Garner e Nathalie Portman) ha creato una formula che unisce eventi sportivi e culturali (per esempio, unire i biglietti di un concerto e di una partita) e che sta riscontrando un ottimo successo, coinvolgendo il pubblico a supporto della squadra.
«Il concetto di inclusività segue la stessa linea di quello della cosiddetta matchday experience: per il tifoso/visitatore tutto inizia dall’esterno dell’impianto, ben prima di arrivare sugli spalti – una dinamica che fra l’altro va garantita in tempi brevi, inferiori ai 15 minuti. In futuro il pubblico dello sport sarà formato sempre più da molto giovani, molto anziani, donne e famiglie, quindi gli stadi dovranno essere ben collegati, ben illuminati, con percorsi e spazi confortevoli e facili da utilizzare. Per attrarre e coinvolgere un pubblico più eterogeneo servono servizi più eterogenei e un approccio decisamente più virtuoso rispetto al semplice schema classico del tifoso in gradinata – e a questo si aggiungono tutte le soluzioni tecnologiche (campi retrattili, settori di gradinate mobili, eccetera) che contribuiscono a rendere questi edifici sostenibili per il futuro», per Prandelli. Populous sta già lavorando attivamente su questi spunti in Australia, negli Stati Uniti e in Inghilterra dove sta realizzando una serie di interventi mirati: è in lavorazione il progetto del centro d’allenamento della Nazionale femminile di calcio australiana, che sarà anche a uso misto per le attività sportive giovanili dello Stato del Victoria.
Negli USA è stato disegnato il centro d’allenamento delle squadre di basket maschile e femminile della Vanderbilt University, Nashville, con l’integrazione fra loro degli spazi sportivi, degli uffici, dell’area medica e della suddivisione fra Prima Squadra e giovanili. «Non dimentichiamoci che l’inclusività non è solo una questione di genere: la progettazione equa si applica anche alle diverse età delle persone e, ovviamente, alle diverse abilità di ciascuno di noi. Per il Tottenham Hotspur Stadium, a Londra, abbiamo progettato una Sensory Suite, una sala che offre un ambiente confortevole per bimbi, ragazzi e persone con disturbi dello spettro autistico o con disabilità sensitive (un’iniziativa già molto diffusa fra i club di calcio britannici e fra alcune franchigie degli sport americani, nda)». Il calcio femminile diventa quindi il caso-studio di partenza, una spinta ulteriore alla ricerca di una progettazione consapevole dei luoghi dello sport, allargando poi lo sguardo a tutto il pubblico e aumentando la sensibilità verso il tifoso e verso gli spazi che deve vivere durante l’evento.