Ora a Jannik Sinner mancano solo i due boss finali: Novak Djokovic e uno Slam

È uno dei tennisti più forti del mondo, ora può puntare a diventare uno dei migliori di sempre.

Le polemiche proto-nazionaliste sulla mancata partecipazione ai gironi di Coppa Davis e le parole in libertà di Nicola Pietrangeli non hanno smosso – e non sembrano smuovere – Jannik Sinner. Forse perché sono delle beghe poco più che rionali, forse perché Sinner ha altro da fare e altro a cui pensare. Tipo, per esempio, consolidarsi come uno dei tennisti più forti al mondo – perché non ha bisogno di diventarlo: lo è già. Per chi scrive, in ogni caso, questo è un (altro) merito gigantesco di Sinner: lui e il suo staff sono impegnati nella costruzione di una carriera all’altezza delle enormi aspettative generate fin dalle sue prime apparizioni tra i grandi, e quindi non si lasciano distrarre da niente e da nessuno, parlano – non rispondono, che è una cosa diversa – sul campo e solo sul campo, non partecipano ad alcuna discussione, come quando noi comuni mortali silenziamo un gruppo su WhatsApp per non essere disturbati da notifiche che ci interessano poco o niente.

Questa analisi su Sinner parte da qui, e non dalla notizia (enorme, bellissim) della sua vittoria a Pechino, perché le cose sono strettamente collegate. Anzi: sono chiaramente consequenziali. Jannik Sinner sta diventando – è diventato – un tennista top perché pensa come un tennista top, agisce come un tennista top, sbaglia e poi ripara ai suoi errori come un tennista top. Questo non vuol dire che stia fuori dalla rumba mediatica e commerciale che deve coinvolgere un grande sportivo del nostro tempo, e infatti stiamo parlando di un testimonial pubblicitario tra i più ricercati in assoluto, di un personaggio influente, che fa notizia anche quando appare alla settimana della moda. Il punto, però, è che tutto il resto delle sue energie si riversano sul campo, sull’allenamento, sullo sviluppo del suo gioco e della sua psiche. E no, non c’entra niente nemmeno la reazione ai problemi gastrointestinali accusati prima e durante il quarto di finale contro Dimitrov: Sinner ha battuto il bulgaro – e poi Alcaraz, e poi Medvedev – perché ha un fisico eccezionale e mentalmente è una specie di robot, ma soprattutto perché il suo tennis è sempre più completo ed efficace, sempre più vario e quindi difficile da arginare. Anche se le sue condizioni fisiche non sono ottimali.

Per capire la grandezza di Sinner, bisogna consultare questi dati snocciolati su Twitter da Giorgio Spalluto, telecronista di SuperTennis: nel corso della finale contro Medvedev, Jannik ha giocato 20 volte il serve & volley, vincendo 18 punti – Spalluto approfondisce ancora, ma a noi va bene così. Ecco, fino a dicembre 2021 chi pensava a un Sinner in grado di giocare a tennis in questo modo? Forse neanche lui, Jannik, ci credeva sul serio. E questo discorso è valido anche per altri aspetti del suo gioco, per altri punti deboli che dovevano essere limati. Poi però le cose sono cambiate, gli allenatori sono cambiati, gli orizzonti si sono aperti. Sinner è arrivato a Wimbledon 2022 ed era già un tennista diverso da quello che avevamo imparato ad apprezzare, ha perso contro Djokovic ma in quella sconfitta ha dimostrato che era solo questione di tempo. Se tutto fosse andato bene, ovviamente.

Ecco, quel tempo è passato e le cose sono andate bene. Il fatto che Sinner sia riuscito a battere Daniil Medvedev per la prima volta era il timbro che serviva per ufficializzare il suo passaggio di stato, il suo ingresso nell’élite del tennis mondiale. Perché ok, il quarto posto nella classifica ATP era e resta un segnale importantissimo, un risultato enorme, però a livelli così alti gli sportivi vivono soprattutto di suggestioni, di barriere da superare, di sortilegi da sfatare. Non possiamo essere noi a dirlo, ma lo sappiamo perché l’hanno raccontato proprio loro, i tennisti: nell’autobiografia (romanzata, ma vabbè) sportiva più celebrata di tutti i tempi, Open, André Agassi ha detto che «dopo che ho vinto uno Slam, ho saputo qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere».

Visto come sono andate le cose, ora si può dire: Jannik Sinner è arrivato di fronte al boss finale. Anzi: a due boss finali, che però si assomigliano tantissimo, finiscono per sovrapporsi. Stiamo parlando di Novak Djokovic, l’unico tennista top che non è ancora riuscito a battere – al momento il loro h2h dice 3-0 in favore di Nole. E stiamo parlando, proprio come ha raccontato Agassi, della vittoria di uno Slam. Certo, ci sarebbero anche le ATP Finals, ma gli Slam sono gli Slam: hanno un altro sapore, un’altra storia, vivono in un’altra dimensione.

E allora Sinner – esattamente come ha fatto Alcaraz prima di lui, ma ricordiamoci che ognuno ha i suoi tempi – ha il compito di allenarsi in funzione di questi due obiettivi, Djokovic e uno Slam. Per sé e per la sua carriera, per dare una spallata al vecchio imperatore in modo da iniziare a prendersi il suo posto, per conquistare un titolo che farebbe giustizia al suo talento e al percorso bellissimo fatto finora, per mettersi di traverso a Carlos Alcaraz. Per iscriversi al circolo esclusivo dei migliori tennisti di sempre, e non solo di questa epoca. Ci vorrà tempo, ci vorrà tanto lavoro, ci saranno momenti belli e frenate rischiosissime. Potrebbe riuscirci, ha tutto ciò che serve, poi chissà. Solo dopo, molto dopo, verranno i proclami e/o le polemiche che riguardano il suo posto nell’Hall of Fame del tennis italiano, Nicola Pietrangeli e altre beghe poco più che rionali. Ma questo Sinner già lo sa, e se ne frega. Giustamente.