Il St. Pauli vuole anche vincere

Rimane un club di culto per migliaia di tifosi, in Germania e non, ma ora è anche una buonissima squadra di calcio.

«Ad Amburgo è già tempo di zuppa di lucci e il freddo inizia a farsi sentire». È l’incipit di un post su Instagram con cui il St.Pauli ha comunicato che sabato 7 ottobre 2023, nel piazzale antistante alla Curva Sud dello stadio Millerntor, avrebbe avuto luogo una raccolta di vestiti e coperte per le persone più povere del quartiere. È solo una delle tante iniziative di un club che contiene moltitudini, diverso dagli altri. E non deve sorprendere: la società — una delle massime espressioni del modello tedesco fondato sull’associazionismo — è i suoi tifosi. Il St.Pauli è St.Pauli. Ma dal suo sobborgo portuale, col vento in poppa e il vessillo del Jolly Roger a prua, è approdato un po’ dappertutto. Il vento è quello impetuoso di Amburgo, la bandiera è il teschio con le tibie incrociate, simbolo del club dagli anni Ottanta, ovvero da quando il quartiere è rifiorito grazie all’onda punk, a un nuovo spirito politico, un rinnovato senso di comunità. St.Pauli era stato ghetto di prostitute e senzatetto, teatro di massicci scioperi, seme della resistenza anti-nazista, zona malfamata. Si è rigenerato, senza tradire le sue contraddizioni, identificandosi nel temperamento proletario e nell’indole ribelle, facendo battere nuovamente il suo cuore musicale.

Un ruolo chiave, in questa rinascita, l’ha ricoperto proprio il St.Pauli FC. Soprattutto per merito dei suoi “nuovi” tifosi: giovani attivisti espressione di quel momento storico, ragazzi che in quegli anni occupano le case disabitate sulla Hafenstrasse — la via del porto — e riempiono gli spalti del Millerntor. Lo stadio, appunto, diventa il fulcro delle attività del quartiere, lo spazio per un nuovo modo di intendere il tifo. Tra l’altro tutto questo avviene in opposizione alla infiltrazioni – sempre più frequenti – di gruppi neonazisti nelle altre curve tedesche, che portano con sé una massiccia dose di razzismo, sessismo e omofobia. Nasce così, tra le gradinate, il culto del St.Pauli.

Il 7 ottobre 2023 è anche il giorno della partita. Tre ore dopo l’inizio della raccolta benefica, c’è il fischio d’inizio di St.Pauli-Norimberga. Il St.Pauli vince 5-1 e va da solo in testa alla classifica dopo nove giornate, con 19 punti, staccando Kaiserslautern e Amburgo. È la seconda volta in stagione che la squadra segna cinque gol, e quindi il risultato comincia a stupire un po’ meno. Come poche altre volte nella sua storia, infatti, il St. Pauli è un club che non arretra di un centimetro rispetto alla sua anima, un club dichiaratamente e attivamente anti-fascista, anti-razzista, anti-sessista, schierato a sostegno dei diritti LGBTQ+ e di quelli dei migranti, attento alla sostenibilità ambientale. Ma è anche una buonissima squadra di calcio, una storia di calcio che vale la pena raccontare.

L’allenatore Fabian Hürzeler, per dire, ha soltanto trent’anni, è nato a Houston, Texas, da padre svizzero e madre tedesca. È stato chiamato a risollevare una squadra che, dopo aver sfiorato la promozione nel 2022, un anno fa era finita nella burrasca della zona retrocessione. Il cambio in panchina con Schultz, arrivato durante i Mondiali in Qatar, viene inizialmente contestato dai tifosi: Hürzeler, infatti, era il vice di Schultz e viene promosso in maniera del tutto inattesa. Solo alcuni mesi dopo Google aggiornerà la sua definizione: da allenatore in seconda ad allenatore. Ma intanto il St. Pauli di Hürzeler, alla ripresa dopo la Coppa del Mondo, vince le prime dieci partite di fila, superando un record che resisteva del 1986. Non basterà per il ritorno in Bundesliga, ma il seme è stato piantato. In Germania Hürzeler viene definito «antieroe»: si mostra umile, evita proclami. In un’intervista rilasciata a The Athletic dichiara che la prima sfida è stata ridare fiducia e identità alla squadra, mostrare ai giocatori, uno per uno, il loro potenziale inespresso. Giocatori di cui, inevitabilmente, è praticamente coetaneo: Hürzeler ha detto di non aver potuto negare la stranezza della situazione, neanche parlando con loro. Ma in ogni caso li ha invitati a esprimersi al riguardo, per poi rivendicare una gerarchia non aprioristica, ma fondata sulla condivisione: «Voglio convincerli con le mie idee», dice Hürzeler.

Ma quali sono queste idee? Intanto va detto che sono state plasmate già al tempo dell’esperienza condivisa con Emre Can — che già allora ne aveva preconizzato una brillante carriera in panchina — nelle giovanili del Bayern Monaco, e perciò si basano sulla volontà di comandare sempre il gioco, sulla costruzione dal basso, sull’intensità, sulla riaggressione. La realtà spigolosa della Zweite Liga ha preso tutti questi concetti li ha resi princìpi, non dogmi, che in campo si traducono in un 3-4-3 che ora appare diverso rispetto a quello di un anno fa, più fluido, più mutevole. Hürzeler, però, ha mantenuto alcune costanti. Per esempio quella relativa al centrale di difesa, lo svedese Smith, che in fase di possesso avanza a centrocampo trasformando gli interni in mezzali di inserimento: una è il capitano, l’australiano Jackson Irvine, secondo miglior marcatore della scorsa stagione; l’altra è il tedesco Marcel Hartel, capocannoniere della squadra con sei reti: non un caso. Un altro pilastro del tecnico del St. Pauli riguarda la prima punta (Eggestein o Albers, in attesa del nuovo acquisto Zommer) che può retrocedere di qualche metro e liberare lo spazio per i due esterni offensivi, Saad e Afolayan.

In estate Hürzeler ha potuto lavorare in continuità con la scorsa annata: il mercato non ha rivoluzionato la squadra, sebbene gli addii di Medic e Paqarada siano stati pesanti da digerire. Anche perché chi è andato via è stato rimpiazzato attuando la solita politica dei costi contenuti: Mets, costato 450mila euro, e Whal, arrivato gratis, rappresentano due terzi della difesa titolare. Forse è anche per questo che le prime nove giornate di Zweite sono scivolate via in modo piuttosto strano: il St. Pauli ha vinto nell’esordio di Kaiserslautern, poi ha messo insieme tre 0-0 di fila e un altro pareggio per 1-1. Il 5-1 del 17 settembre all’Holstein Kiel ha però stappato la squadra di Hürzeler, che ha poi battuto anche Schalke ed Hertha (all’Olympiastadion) e oggi è prima in diverse classifiche: quella generale, come detto, ma anche quella dei tiri tentati e dei gol subiti, soltanto sei. E con 18 gol segnati ha anche il secondo miglior attacco del campionato.

La penultima partita prima della sosta: Hertha-St, Pauli 1-2

«Penso che Guardiola voglia sedersi con Fabi!». Fabi è Hürzeler, e a scrivere è Leart Paqarada, ex capitano della squadra, sotto al post con cui i Kiezkicker — letteralmente i giocatori del quartiere — hanno celebrato la vittoria sul Norimberga. Perché si può andare via dal St.Pauli, ma difficilmente il St.Pauli andrà via da te. Sul Millerntor cade una pioggia sottile, che non infastidisce, e il campionato ha una sola capolista. Nel resto della città parecchi storcono il naso, altri sorridono ma lo fanno con amarezza. Sono i tifosi dell’Amburgo, i potenti con la bacheca piena, la nobile decaduta relegata da cinque anni in Zweite. Da quel pomeriggio del 12 maggio 2018 che ha fermato l’orologio del Volksparkstadion, la rivalità cittadina potrebbe aver assunto un nuovo significato. I rapporti di forza erano troppo squilibrati, almeno fino ad allora, sul piano sportivo. Anche dal punto di vista politico non c’era grande astio: l’HSV è un club non schierato, non esistono gruppi preponderanti che intacchino lo status quo – sì, anche la curva dell’Amburgo ha vissuto le infiltrazioni dell’estrema destra, in Germania si è scritto di alcuni clamorosi cambi di sciarpa da parte di tifosi che, vicini ai valori del St.Pauli, ne sono diventati sostenitori, ma in ogni caso sono dei casi rari. Il derby, quindi, era uno scontro più concettuale, una disputa su cosa sia il tifo, su come vivere il calcio. Anche questo, però, ora potrebbe cambiare. Perché, semplicemente, è arrivato il momento in cui HSV e St. Pauli lottano per lo stesso obiettivo. Il primo incrocio della stagione è ancora lontano — si giocherà il primo dicembre — ma stavolta, dopo l’assaggio dell’anno scorso, le due squadre della città potrebbero giocarsi la promozione in Bunes, non solo il dominio della Reeperbahn – la via che si dividono tra Nord e Sud.

«Nessuna persona è illegale». La scritta in tedesco, uno dei motti del club, campeggia in un edificio della Hefenstrasse e nella Curva Sud dello stadio Millerntor, già tutto esaurito per le prossime due partite. Tra due mesi, le migliori luci di Amburgo — quelle del Dom, celebre luna park adiacente allo stadio — la illumineranno da un lato, mentre dall’altro si poseranno sul derby. Forse indirizzerà la stagione, forse sarà cambiato tutto e l’HSV non sarà più così vicino in classifica. Sarà allora che verrà fuori la differenza: primo o ultimo, in Bundesliga o in 3.Liga, il St.Pauli continuerà ad auto-prodursi maglie ecosostenibili, si professerà anti-fascista nel giorno dell’elezione di un Premier di destra in Italia, licenzierà un calciatore simpatizzante di Erdogan, finanzierà la sua squadra di rifugiati, l’Fc Lampedusa St.Pauli, si allenerà sotto gli occhi dei bambini che frequentano un asilo costruito dentro lo stadio, per tenere fede al patto di responsabilità sociale con la gente del posto, interromperà i rapporti con agenti e procuratori dei calciatori delle giovanili, trattando solo con le loro famiglie, pretenderà spiegazioni dalla polizia per l’eccessiva forza usata contro i tifosi prima di un derby movimentato, sfilerà al Pride di Amburgo. E prenderà tutto questo, ne farà un brand e lo esporterà, per rispondere all’esigenza che caratterizza ogni piccolo club: sopravvivere. Ma nel frattempo può anche pensare di crescere, di diventare più grandi, in campo. Pare che possa succedere anche al St. Pauli, finalmente.