Grazie a Che Flores, arbitro trans e non binario, la Nba ha rotto l’ennesima barriera

Flores ha spiegato chi è in un'intervista rilasciata a GQ, rivoluzionando per sempre la lega e forse anche lo sport.

È appena iniziata una stagione Nba che avrà un enorme impatto storico. Perché la lega sta cambiando, sta provando a diventare ancora più grande, più ricca, attraverso la creazione di un nuovo torneo che si sovrapporrà alla regular season. Allo stesso tempo, però, l’annata 2023/24 sarà ricordata come quella in cui la Nba è diventata la prima lega sportiva della storia ad accogliere un arbitro dichiaratamente trans e non binario: si tratta di Che Flores, che sta per iniziare il suo secondo anno nella lega e che ha rilasciato una lunga intervista-confessione rilasciata a GQ in cui spiega chi è, in cui ha raccontato la sua storia: a settembre scorso, Flores ha comunicato ai suoi colleghi – e quindi anche alla Nba – che si presenta come una persona trans e non binaria, e che utilizza il pronome “loro” per identificarsi.

Flores è un arbitro di assoluto livello: ha diretto oltre mille partite in oltre 14 anni di carriera, ed è il primo arbitro ad aver lavorato contemporaneamente per NCAA, G League e WNBA. Poi, come detto, ha avuto accesso alla Nba e ha diretto 12 gare di regular season. Nell’intervista a GQ ha detto che «quando ho iniziato ad arbitrare, dovevi apparire in un certo modo. Adesso mi sento a mio agio, sento di poter esprimere la persona che sono senza dovermi preoccupare. Nessuno sapeva come mi identificavo, e quando ero vittima di misgendering – l’errore più o meno involontario di riferimento di genere per le persone trans, nda – era un colpo difficile da sopportare».

La Nba, insomma, ha già rotto l’ennesima barriera. Lo pensa anche Flores: «Non sto sfruttando la lega a mio vantaggio», ha detto. «La scelta che ho fatto è un modo per far sapere a tutti le persone queer là fuori che possono/possiamo esistere, e possono/possiamo avere successo in quello che facciamo». La storia sportiva e quindi professionale di Flores, in fondo, non è altro che una storia di successo: ha iniziato a giocare a basket al college, in California, e poi ha iniziato il percorso da arbitro dopo la laurea, innamorandosene «fin dalla prima volta che ho indossato la divisa a strisce». Quando Flores ha cominciato ad arbitrare, c’era un solo arbitro donna in Nba: Violet Palmer. I tempi cambiano, per fortuna, e quindi è cambiata l’idea stessa di inclusività. Anche nel settore arbitrale. È così che per dieci anni, tra il 2012 e il 2022, ha lavorato per NCAA, G League e WNBA: «Arbitravo cinque giorni alla settimana, ero sempre in volo», ha raccontato. «La mia preoccupazione era quella di non sovrapporre le partite». Poi nel 2020, come detto, ha iniziato a lavorare contemporaneamente per tutte e tre le leghe.

Siamo ormai ai giorni nostri: prima la chiamata in Nba, ora il coming out. Un evento accolto benissimo dalla lega, intesa come istituzione e come ambiente di lavoro: l’arbitro donna Lauren Holtkamp-Sterling ha detto che «il fatto che Che si presenti come persona trans e non binaria sia una testimonianza importante, per noi arbitri: dimostra che il genere non c’entra niente con la competenza»; Monty McCutchen, attivo come arbitro da trent’anni, ha aggiunto che «quando sei in grado di dire pubblicamente chi e cosa rappresenti, non puoi fare a meno di crescere in forza e coraggio. E noi dobbiamo crescere insieme a Che, che in qualche modo ci mostrerà se e dove ci sono problemi da risolvere a livello di inclusività, integrazione, comunicazione». È il modo giusto, il modo migliore, per cambiare davvero le cose.