Scioccati da Matias Soulé

Sapevamo che potesse diventare un calciatore forte, ma non pensavamo già così forte.

Vedendo la doppietta di Matías Soulé contro il Cagliari, ho pensato a una scena del film A Futile and Stupid Gesture, incentrato sulla vita del fondatore della rivista comica National Lampoon: c’è uno degli autori della rivista che sta incautamente tenendo in mano una bomba spedita in redazione per rappresaglia. Mentre i colleghi cercano di convincerlo a posarla a terra e lasciare che gli artificieri la disinneschino, uno di questi, Brian McConnachie, commenta dicendo: «Sapevo che sarei morto per della dinamite inviata in un ufficio, ma non così». Questo per dire che sì, sapevamo che Soulé fosse forte, avendo dalla sua un talento e una potenziale in grado di far immaginare grandi cose, ma non immaginavamo che potesse essere così forte. Troppo presto, dite? Da una goccia d’acqua stiamo tirando fuori un oceano? Forse. Ma sognare è legittimo. Anzi, di questi tempi è doveroso. E Soulé stesso, in primis, può permettersi di farlo in grande, perché la realtà sta legittimando quello che tutti si aspettano da lui. Se pensate che si stia esagerando sull’onda di quella hero culture che in questi anni ha rovinato più talenti di quanto non abbia generato idoli, e che ha un po’ inflazionato la definizione stessa di fuoriclasse, vi capisco. Conservatori come siamo noi italiani in materia di calcio, è naturale approcciarsi alle cose belle con cautela e scetticismo. Preferiamo andare alla ricerca del trucco dietro il numero di magia, anziché rimanerne stupiti o, sia mai, credere che la magia esista davvero.

Insomma, nel nostro Paese siamo incapaci di goderci i momenti belli. In questo forse siamo più spallettiani dello stesso Spalletti, che tiro in ballo perché sembra fortemente intenzionato a portare Soulé tra i suoi Azzurri. Spalletti che incarna alla perfezione i tratti che noi desideriamo vedere nel ct della nazionale: non solo un fine e preparato conoscitore del gioco, ma un guida paterna in grado di unire sagacia, pragmatismo e quel pizzico d’impunita furbizia tipicamente italiana. Qualcosa di solido da contrapporre all’aleatorietà del realismo magico sprigionato dalle giocate di un ragazzo di appena vent’anni. Ma, dato che di Spalletti ci fidiamo, allora possiamo e dobbiamo fidarci del talento di Soulé. E di quello che ha dimostrato finora: sono ancora pochi bagliori, certo, ma già accecanti.

Mentre ne scrivo, la formidabile rimonta del Cagliari sta culminando in qualcosa di epico grazie al secondo gol di Pavoletti, al 96esimo minuto di gioco. Una vittoria pazza che va ad arricchire il ricco palmares d’imprese impensabili di Sir Claudio Ranieri. Andando memoria, la mia debole memoria, di partite recenti di Serie A vinte 4 a 3 in rimonta mi viene in mente solo Lecce-Milan, con tripletta di Boateng e gol finale di Mario Yepes. Andando a ricontrollare, invece, riscopro un Genoa-Roma del 2011, e a trionfare furono i rossoblu. Anche in quella partita Ranieri era presente. Questo Cagliari-Frosinone si unisce a una cerchia che resta in ogni caso ristretta, e verrà ricordato come l’ennesimo manifesto dell’imprevedibilità del calcio, un ulteriore perla di quella collana di rimonte insperate che esprimono la potenza diegetica del pallone. Non passerà alla storia, insomma, come la partita della doppietta di Soulé. Fino alla fine del primo tempo lo era, pareva destinata a esserlo. Invece i due lampi dell’argentino hanno finito col rivelarsi corpo di una sottotrama. Ma se si sposta il punto di nuovo di vista narrativo sul solo Matías Soulé, ecco che quanto successo a Cagliari, nel suo complesso, può essere interpretato come una delle tappe dell’archetipico viaggio dell’eroe.

Scrivo “il solo Matías Soulé” anche perché su quella fascia, in quella che è la sua zona preferita, talvolta mi dà l’impressione di sentirsi solo, benché sia circondato da una squadra, il Frosinone di Eusebio Di Francesco – che, a dirla riduttivamente, gioca per lui. Del resto, Di Francesco ha sempre proposto un gioco che esalta le ali come Soulé, e Soulé stesso interpreta il ruolo con freschezza e personalità, miscelando le diverse estrosità dei connazionali che immagino abbiano ispirato e ispirino tuttora il suo rapporto con la palla. Parlo di lui in termini di solitudine anche perché oggigiorno, nel campionato italiano, i giocatori che amano dribblare e che possono permettersi il lusso di farlo con la sua stessa confidenza sono pochissimi. Roba che se Kaoru Mitoma volesse approfondire i suoi studi sul dribbling, dovrebbe dedicare un capitolo a parte al modo in cui lo fa Soulé.

Soulé non ha gli strappi di Leão, sebbene quando si muova palla al piede sembri animato dalla stessa infantile purezza, dallo stesso identico gusto per qualcosa che dalla sua prospettiva non è mero strumento, ma arte. Né ha la carica cieca di Chiesa, che porta palla con violenza. Al contrario di questi, il dribbling di Soulé, che anche quando sterza e apre orizzonti agisce con la cura degli esteti, è costruito su un personalissimo senso del ritmo. Un alternarsi di temporaggiamenti, affondi e pause che deliziano e restano impressi negli occhi come un sogno che tarda a svanire. E proprio come i sogni più belli, i suoi dribbling non sono mai fini a sé stessi, ma servono a creare la realtà.

Lo ha dimostrato oggi poco prima di trovare il secondo gol, quando rientrando sul destro ha spezzato la difesa avversaria con un tocco morbido e letale. Un tocco che sembrava il preludio a un tiro col suo piede forte, il sinistro. Quel sinistro che pochi minuti prima aveva utilizzato per portare in vantaggio la sua squadra, dopo aver recuperato un pallone sulla trequarti, sfoggiando una tenacia atipica per un giocatore che stereotipo vorrebbe tutto fronzoli e mollezza, troppo bello per sporcarsi. Nel mezzo, ha ingenuamente causato il rigore poi fallito da Mancosu. Fino alla ripresa sembrava insomma che gli dèi del calcio lo stessero proteggendo, indirizzando il corso degli eventi a favore suo e del Frosinone. Ma la realtà creata da Soulé si è poi accartocciata sulla orgogliosa reazione del Cagliari. Il sogno di una vittoria netta si è trasformato in un incubo. La squadra di Di Francesco ha pagato con gli interessi il favore del dio dei legni. E mentre il Frosinone cadeva sotto l’assedio sardo, Soulé era lì nel suo angolo di mondo, derubato delle luci del palcoscenico, risucchiato anche lui dall’ombra della beffa collettiva. Solo et pensoso, come direbbe il poeta. Aggrappato alla sua doppietta, già lontana e inutile come i ricordi più belli.

Questo video è stata realizzata prima di Cagliari, eppure c’era già materiale per una bella compilation

Ma sarebbe scorretto parlare di Soulé nei termini di un turista del dolore solo perché lì in prestito o per la rocambolesca sconfitta di Cagliari. Il Frosinone, al contrario delle catastrofiche previsioni dei bookmakers nel precampionato, sta conducendo una buonissima stagione. E ci sta riuscendo non solo grazie alla mano di Di Francesco, ma anche principalmente grazie ai colpi dell’argentino, un talento che già dall’anno prossimo potrebbe dire la sua su un palcoscenico più prestigioso. L’ambizione e la sicurezza nei propri mezzi sembrano non mancargli, come testimoniano le scelte di carriere compiute fin qui, e i suoi numeri. Non ultima la statistica che lo vede tra i giocatori più prolifici nati nel 2003. E se dopo oggi la Juventus può aspettare con ancora più fiducia il suo ritorno, noi italiani speriamo con ancora più ardore che Soulé decida di giocare per la nostra Nazionale, alla fine.

Perché, senza forzare paragoni col caso Banchero, anche Soulé è di fronte a una scelta che condizionerà inevitabilmente la sua carriera, oltre alla percezione del suo talento. Da un lato il Paese dov’è nato e cresciuto, dall’altro quello che calcisticamente lo ha adottato e nel quale sta sbocciando ad alti livelli. Per l’intensità con la quale entrambi vivono il calcio, nel peggiore dei casi potrebbe finire con l’essere rinnegato o declassato dalla Nazionale della quale rifiuterà di vestire la maglia. Ma solo se si guarda al futuro avendo negli occhi lo shock causato dalla bellezza dei suoi colpi, e lo si pensa già campione fatto e finito. Occorre invece razionalizzare, tenere presente il presente, che è un dono, un regalo come lo sono certe sue giocate. E il presente ci parla di un ragazzo che ha ancora tutto da dimostrare, anche se la bellezza non è un teorema matematico e non necessita di dimostrazioni. La bellezza del calcio di Soulé, poi, è giusto continuare a viverla attraverso le emozioni alle quali essa finora ci ha condotto: stupore, confusione, meraviglia. Senza stare troppo a guardare il contorno.

E pazienza se lui, da argentino, sceglierà d’inseguire il mito del suo idolo, un certo Lionel Andrés Messi. Voi lo biasimereste? E a posteriori avrà così importanza? E ancora: di fronte alla bellezza – un gol, un sombrero, un dribbling – ha davvero importanza il colore della maglia del giocatore che la esegue? Forse Soulé diverrà uno di quei fuoriclasse che anche i tifosi avversari non potranno fare a meno di applaudire. E chissà se e quando avverrà, lui si ricorderà – e noi ci ricorderemo – di quel pigro pomeriggio domenicale di fine ottobre, quando la sua squadra si fece rimontare di quattro gol, perse eppure l’Italia conobbe il suo talento. Fino a rimanerne scioccata, o quasi.