E se fosse davvero l’anno del Leverkusen?

Al Bayer c'è Xabi Alonso in panchina, ma anche una nuova mentalità: la rivoluzione è stata costruita dall'interno, e ora vincere non è più un'utopia.

In giro per il mondo, il Bayer Leverkusen è noto come  con il nickname di Neverkusen, che in Germania diventa “Vize-kusen”, e di traduzioni non ce n’è bisogno. Poche squadre, infatti, hanno appiccicata addosso un’etichetta di eterna seconda più resistente e quindi più fastidiosa, diventata per altro worldwide dal 2002 in avanti: in quell’anno, infatti, il Bayer perse la finale di Champions per quel gol meraviglioso di Zidane che si vede in ogni striscia promozionale dell’Uefa, poi la finale di Pokal contro lo Schalke 04 e infine anche la Bundesliga, regalata al Dortmund dopo aver dilapidato cinque punti di vantaggio nelle ultime tre giornate.

Certo, non è affatto escluso  che anche quest’anno possa finire più o meno allo stesso modo, con qualche acrobatico suicidio sportivo, ma la sensazione è che il vento in riva al Reno stia cambiando. Tanto che, dopo quasi tre mesi di stagione, non è folle – anzi: è addirittura credibile – pensare e affermare che il Bayer sia il principale antagonista del Bayern Monaco. Ci sono voluti più di vent’anni, nonché l’approdo di Xabi Alonso, un’icona del calcio contemporaneo, per pensare di ribaltare la reputazione che il Bayer si è fatto in tutti gli universi: quella della squadra divertente, bella, imprevedibile, capace di sviluppare talenti incredibili e poi di rivenderli facendoci pure soldi a palate, ma che non vince mai. In effetti gli elogi storici si sprecano, le figure che hanno spiccato il volo partendo dalla BayArena son tantissime. Alcune formazioni sono rimaste di culto: il 3-4-3 del 2002, il 4-4-2 iper offensivo di Schmidt, il 4-3-3 di Bosz con Brandt e Havertz mezzali. Eppure è dal 1993 che a Leverkusen non si vede l’ombra di un trofeo. Neanche una Coppa nazionale, una Supercoppa, una tazza qualsiasi che possa arricchire una bacheca che finora è ferma alla Dfb-Pokal vinta appunto trent’anni fa – per altro al termine di un’assurda finale contro la seconda squadra dell’Hertha Berlino, battuta solo 1-0 grazie a un gol del mitico Ulf Kirsten – e alla Coppa Uefa del 1988, conquistata in finale contro l’Espanyol ai rigori dopo aver ribaltato il 3-0 subito all’andata.

Perché al Bayer non si vince? Anzitutto perché c’è una pressione diversa, perché stiamo parlando di un club che non vive con l’obbligo di dover accontentare una tifoseria esigente come quella di altre città. In fondo Leverkusen ha 160mila abitanti che non vivono per il calcio: la BayArena fa 30mila spettatori, non è neanche tra i 15 stadi più grandi della Germania, e allora l’esigenza di mettere a repentaglio il proprio status provando ad alzare il livello non è mai stata prioritaria. Altre squadre che ci han provato sono finite male. Amburgo e Schalke, giusto per dirne un paio.

Il contesto in cui il Bayer fa calcio, si può dire senza mezzi termini, è tradizionalmente perdente, O meglio: parliamo del quarto club per percentuale di vittorie in Bundes dopo Bayern, Dortmund e Lipsia, davanti a grandi storiche come Werder, Stoccarda, Colonia, Gladbach; parliamo di una squadra che non è mai stata retrocessa dopo aver conquistato il suo posto nel massimo campionato tedesco, anno 1979. Eppure, quando arriva il momento importante, anche un grande Leverkusen finisce per diventare Neverkusen. E alla fine riesce sempre a perdere.

Com’era inevitabile aspettarsi, alla lunga questa etichetta è diventata un peso. Così, quando la società si è ritrovata a dover individuare il successore di Gerardo Seoane, la scelta è caduta su Xabi Alonso. Evidentemente la volontà era quella di creare una mentalità vincente dentro il club, qualsiasi cosa significasse, a maggior ragione dopo l’addio di un pilastro come Rudi Völler. Così è arrivato un personaggio enorme, un allenatore promettente ma soprattutto uno dei calciatori più vincenti di sempre. E quindi un professionista che vivrebbe come una sconfitta una stagione senza titoli, ma soprattutto vissuta senza ambizioni.

«La falsa partenza della scorsa stagione ci ha chiamato a fare analisi ancora più approfondite: non volevamo più trovarci in quella situazione, nei bassifondi della classifica» ha spiegato Fernando Carro, Ceo del Bayer dal 2018. «Un anno fa abbiamo capito che forse ci mancava esperienza: siamo sempre stati bravi a lavorare coi giovani ad alto potenziale, ma mancava l’equilibrio nella rosa». In realtà il Bayer viene costruito in modo diverso fin dall’arrivo di Carro: se prima il lavoro di scouting si incentrava quasi esclusivamente sui giovani di prospettiva, quelli da reclutare per farci la plusvalenza, la pianificazione della squadra oggi prescinde dalla carta d’identità. La sessione trasferimenti dell’estate 2023 è una testimonianza di questa svolta, visto che son stati acquistati quelli che oggi sono il primo, il secondo e il quarto giocatore di movimento più anziani della rosa. Si tratta, nell’ordine, di Jonas Hofmann, Granit Xhaka (entrambi classe ’92) e Alejandro Grimaldo (nato nel 1995). Dopo 13 partite stagionali gli ultimi due sono anche i più utilizzati in termini di minutaggio, mentre Hofmann è al sesto posto di questa classifica interna.

Insomma, chissenefrega di quanti anni hanno. E anche di quanto costano  – Xhaka, per intenderci, ha firmato un contratto di cinque anni. L’importante è che siano utili alla causa. E la causa, da quest’estate, non è solo partecipare, ma anche vincere. E infatti il Leverkusen ha iniziato la stagione vincendo 13 delle prime 14 partite giocate in tutte le competizioni, anche se paradossalmente quella più significativa è l’unica che non ha vinto. Certo, a volerla analizzare con la giusta dose di realismo, si potrebbe dire che un 2-2 in casa del Bayern Monaco vale ben più di un 3-0 al Colonia, di uno 0-3 a Mönchengladbach o di un 2-1 alla BayArena contro il Friburgo.

Il cambiamento in atto non ha cancellato l’essenza del Bayer. L’ha solo diluita un po’. Perché, a guardarla bene, la rosa della prima squadra continua ad avere un’anima giovane: Boniface, per esempio ha solo 23 anni. Il punto è che ormai anche gli altri talenti in divenire del Leverkusen, proprio come Boniface, sono giocatori pronti per vincere: Wirtz, Hincapié, Frimpong stanno trascinando la squadra di Xabi Alonso, e hanno firmato tutti il rinnovo del contratto. Anche questo è un segnale di discontinuità rispetto al passato: la grande promessa non si vende alla prima offerta, ma si cerca di costruire intorno a lui. Certo, va anche detto che tutto questo non sarebbe stato possibile senza le grandi cessioni degli anni scorsi, si pensi ai vari Brandt, Havertz, Bailey. Il punto è che «ora abbiamo più esperienza, più professionalità, più disciplina», racconta Carro. «Per questo abbiamo acquistato giocatori anche sopra i trent’anni: non vogliamo perdere la linea giovane, ma dobbiamo aggiungere i pezzi giusti alla nostra squadra».

È arrivato il momento di fare la vostra conoscenza con Victor Boniface

In realtà anche quest’estate è stato fatto un grande affare in uscita, e cioè la cessione di Moussa Diaby all’Aston Villa per una cifra compresa tra i 50 e i 60 milioni di euro. In realtà era una mossa inevitabile: i soldi arrivati da Birmingham hanno finanziato tutti gli altri movimenti di mercato, a cominciare dall’operazione-Boniface, costata 20 milioni, passando per tutti i grandi rinnovi annunciati nelle ultime settimane. Nei fatti, dunque, la rivoluzione nella mentalità è avvenuta quasi a costo zero. Nell’era in cui la gara a chi spara la cifra più grossa, il Bayer Leverkusen e la Bundesliga si confermano una mosca bianca: bilanci in salute, squadra che gioca bene che compete per vincere in Germania e a livello continentale – perché l’Europa League è un obiettivo più che tangibile.

Gli accorgimenti tattici di Xabi Alonso hanno provveduto a fare il resto: a volte i grandi campioni sanno essere anche grandi allenatori, ma bisogna saperli scegliere. E chi prende le decisioni a Leverkusen spesso ci azzecca, soprattutto in tempi recenti. Gli uomini chiave sono due: Kim Falkenberg, 35 anni, l’uomo deputato alla pianificazione della rosa e alla direzione dell’area scouting; Simon Rolfes, 41 anni, amministratore della parte sportiva nonché ex capitano del club e colonna del centrocampo. Insieme a Xabi, proprio Rolfes è l’uomo simbolo della nuova era del Bayern: il sui progetto è iniziato quando era responsabile del settore giovanile e poi direttore sportivo, oggi lo porta avanti dietro una scrivania ancora più grande, ancora più importante. In campo ha vissuto il Bayer Leverkusen bello ma perdente, il massimo del Neverkusen. Il suo obiettivo, ora, è di trasformarlo in qualcosa di diverso. Sarebbe anche ora.