Dove si nasconde la bellezza di un gol?

Coast to coast, slalom giganti, tiri da lontano: ci sono infinite possibilità di stordire i tifosi, come dimostra il premio di Gol dell'Anno al Gran Galà del Calcio.

Quando Cristiano Biraghi ha realizzato il gol del 3-0 al Verona nessuno, tranne i tifosi presenti al Bentegodi, ha capito cosa fosse realmente successo. Persino i telecronisti di Dazn sono stati colti inizialmente colti di sorpresa, “richiamati” dal boato del pubblico mentre erano intenti a commentare il replay di un dimenticabile contatto a metà campo, di quelli che se ne vedono almeno un centinaio in ogni campo e in ogni partita. Nemmeno loro avrebbero potuto immaginare che una situazione così uguale a tante altre avrebbe potuto originare qualcosa di così unico e potenzialmente irripetibile, un momento raro e prezioso come il passaggio di una cometa che è tanto più bello quanto più è alto il rischio di perderselo mentre il nostro sguardo è rivolto altrove, a casa così come allo stadio o in una postazione di commento.  

Nell’era della tecnologia esasperata ed esasperante e delle mille telecamere che dovrebbero permetterci di non perdere nemmeno un secondo dell’evento partita, la velocità di piede e di pensiero di Biraghi ha battuto l’occhio umano e quello virtuale, ricordandoci che la prima regola per non perdersi un gol impossibile è quella di aspettarsi l’inaspettato anche quando non ce ne sarebbe motivo. Anzi, soprattutto in quel caso: «Dalla panchina avevo notato che il portiere dell’Hellas stava molto alto sulle punizioni. Quando sono entrato, appena ho visto che c’era la possibilità di colpire, ho calciato senza neanche guardare Montipò. È andata bene ma si sa… la differenza tra un genio e un pazzo sta nel successo», ha dichiarato il terzino della Fiorentina, qualche tempo dopo, al Corriere dello Sport.

Il gol di Biraghi

Nella stagione 2022/23 in Serie A sono stati realizzati 974 gol in 380 partite, con una media di 2,56 a gara. Quello di Biraghi è stato considerato uno dei dieci più belli in assoluto del campionato, un serissimo candidato al titolo di “Gol dell’Anno” che verrà assegnato il prossimo 4 dicembre in occasione del Gran Galà del Calcio AIC, l’evento in cui i riconoscimenti annuali dell’Associazione Italiana Calciatori vengono assegnati con i voti di allenatori, arbitri, giornalisti, tifosi. Ma soprattutto dei giocatori stessi.   

Come ogni anno, quando si parla di gol più o meno belli il dibattito finisce per diventare una questione filosofica che ruota intorno al concetto stesso di bellezza e alle sue molteplici declinazioni. La domanda è sempre la stessa: è possibile individuare un certo numero di gol che siano oggettivamente belli? Forse. O forse no. Di certo uno dei temi ricorrenti dell’edizione 2023 è quello dell’importanza della citazione, della capacità dei giocatori di farci emozionare con qualcosa che abbiamo già visto però declinato in maniera del tutto personale, come se il calcio non fosse altro che un lunghissimo ponte generazionale che unisce antico e moderno, tradizione e innovazione, passato e presente. Senza dimenticare che ciò che tiene tutto assieme è quel mix di istinto e incoscienza che spinge qualcuno a correre un rischio che altri non correrebbero semplicemente perché ne vale la pena, perché qualche volta osare ha più senso di giocare sul sicuro: «Il calcio è divertimento, bisogna divertirsi e provare qualsiasi cosa venga in mente perché prima o poi ci si riesce» disse Mattia Destro ai microfoni di Sky dopo aver segnato al Torino in rovesciata. Sarebbe stato il suo primo e unico gol in campionato ed era riuscito a renderlo speciale per il solo fatto di averci provato senza pensare troppo alle conseguenze. 

Talvolta si dice che in una citazione ben fatta si celi la vera essenza dell’argomento di cui si sta parlando; nel caso dei calciatori della Serie A, reinterpretare alcuni dei grandi classici della storia più o meno recente del campionato ha significato dare un senso nuovo a dei capolavori che rischiavano di andare perduti tra le nebbie di un’epoca in cui tutti andiamo talmente di fretta da riuscire a normalizzare lo straordinario, dando per scontate anche quelle manifestazioni di talento per cui dovremmo essere grati ogni giorno senza la necessità che arrivi qualcuno a ricordarcelo. Il telecronista di Verona-Fiorentina dopo aver “recuperato” la prodezza di Biraghi ha parlato di «gol alla Iličić», che tre anni prima aveva avuto la stessa idea meravigliosa in un Torino-Atalanta finito 0-7. Che, poi, è stata quella che ha avuto anche Teun Koopmeiners al 78’ di Atalanta-Monza dello scorso 4 giugno, ultima piovosa giornata di campionato illuminata da una tripletta e da un arcobaleno lungo quaranta metri e cinque secondi. E alzi la mano chi al gol di Fagioli contro il Lecce o a quello di Candreva all’Olimpico contro la Roma non è tornato con il cuore e con la mente ad Alessandro Del Piero, ai suoi tiri a giro sul secondo palo e a questa prodezza contro il Piacenza realizzata vent’anni fa, pochi giorni dopo la scomparsa di Gianni Agnelli.

C’è stato poi chi, come Theo Hernández, è riuscito ad auto-citarsi, riproponendo contro la Lazio lo stesso identico coast-to-coast con cui l’anno prima aveva affettato in due difesa e centrocampo dell’Atalanta, votato come il gol più bello della stagione 2021/22: otto tocchi in dodici secondi, correndo palla al piede per oltre 70 metri ai 23 all’ora e mantenendo la lucidità di fermarsi un attimo prima di calciare di collo-esterno, quel tanto che basta che gli serve per individuare l’angolo cui Provedel non potrà mai arrivare. 

Da una porta all’altra. Letteralmente.

A proposito di gol for the ages realizzati all’Atalanta. Quello di Kvicha Kvaratskhelia, più che una citazione, è una finestra spalancata su un futuro che forse non siamo ancora pronti a vivere, il portale verso una dimensione diversa e ulteriore in cui giocatori come il georgiano non saranno più l’eccezione ma la regola, al punto che magari una rete come quella dell’11 marzo ci sembrerà né più né meno di un appoggio a porta vuota. Per fortuna, però, viviamo ancora nell’era in cui segnare in un’area intasata da altri sei giocatori avversari più il portiere rappresenta ciò che Spalletti ha definito «un gol alla Maradona» – normale quando segni così con la maglia del Napoli nello stadio che fu di chi queste cose era abituato a farle – ma anche l’espressione di una tecnica in velocità di livello superiore, che può appartenere solo a chi «ha frequenza di tocchi nello stretto, non sai mai dove può andare, ti sdraia per terra e con la coda dell’occhio può anche assistere un compagno se lo volesse». Il futuro, appunto, che si manifesta davanti ai nostri occhi sotto forma di calcio supersonico dominato da calciatori in grado di fare cose pazzesche, imprevedibili e bellissime apparentemente senza sforzo, cioè senza perdere nulla in termini di velocità d’esecuzione, efficienza, efficacia, praticità.     

Un gol, quindi, può essere bello in tanto modi diversi perché è l’idea stessa di bellezza a essere varia e multiforme come l’ingegno di Ulisse, soprattutto se facciamo riferimento a un gesto uguale a un altro ma solo in apparenza. Prendiamo, ad esempio, i gol realizzati da Barella contro la Cremonese, da Berardi contro il Lecce e da Oudin contro il Bologna: in tutti e tre i casi si tratta di un tiro al volo, quindi dello stesso fondamentale, che però viene interpretato in modo diverso eppure ugualmente bello nei piccoli dettagli che li differenziano. La rete di Barella colpisce l’immaginazione perché il centrocampista dell’Inter sembra calciare quasi da fermo, traendo la forza per la sua conclusione di collo-esterno dalla gamba d’appoggio perfettamente in asse; in quella di Berardi, invece, si apprezza la pulizia tecnica, la qualità del calcio, il fatto che il numero 10 del Sassuolo sembri quasi calcolare a mente in una frazione di secondo il punto, l’altezza e l’angolo d’impatto con il pallone; infine Oudin e la brutalità di un sinistro in corsa e in controtempo che infrange la barriera del suono inchiodando Skorupski – che riesce ad alzare le mani solo quando la palla è già alle sue spalle. 

E allora è meglio un coast-to-coast che taglia il campo e l’altra squadra da nord a sud o un tiro da fuori improvviso che si abbatte sulla porta come un meteorite? Una rovesciata o un lob da metà campo che spiazza portiere, spettatori e cronisti? O, ancora, l’equivalente di uno slalom speciale in cui i tuoi avversari sembrano quei pattinatori alle prime armi che non riescono a stare in piedi o la riproposizione di una delle signature move più iconiche della storia? Beh, scegliete voi.