Il modello Lecce è la novità del calcio italiano

Giocatori giovani e solo di proprietà, un settore giovanile che vince e che rifornisce la prima squadra, un rinnovato entusiasmo in città: intervista a Pantaleo Corvino, che è tornato a casa e sta costruendo un modello interessante di fare calcio.

Quando vuole convincere un giocatore ad accettare l’offerta del Lecce, Pantaleo Corvino gli scrive su WhatsApp e gli manda degli allegati: le foto delle spiagge che si susseguono lungo la costa salentina, i video catturati nel centro storico di Lecce, un elegante labirinto barocco che racconta storie millenarie. Questo aneddoto ha tutta l’aria della leggenda costruita per alimentare la mitologia di Corvino dirigente ruspante, ma non è così: è una cosa che succede davvero. A confermarlo è lui stesso, il responsabile dell’area tecnica del Lecce, in un’intervista esclusiva a Undici: «Le tecnologie moderne mi aiutano nel mio lavoro», dice Corvino. «Prima il calcio si faceva con i gettoni telefonici, noi direttori vivevamo alla ricerca delle cabine. Ora è tutto diverso, ci sono dei nuovi strumenti e io li utilizzo. Ad esempio mando qualche foto e qualche video per cercare di attrarre i calciatori: gli mostro le bellezze del territorio, i luoghi dove verrebbero a stare con le loro famiglie, le meraviglie che potrebbero godersi dal vivo». 

In fondo, a pensarci bene, Corvino è sempre stato un abile seduttore – calcistico, ma pur sempre un seduttore. Lo era ai tempi di Vernole, Scorrano, Casarano, i paesi della provincia in cui ha cominciato a fare calcio negli anni Ottanta, e lo è ancora oggi. Il segreto sta nelle competenze e nella credibilità che ha acquisito in quarant’anni di carriera, in quelle referenze che gli permettono di ammaliare tutti i suoi interlocutori proponendogli delle cose concrete, allettanti: un modello operativo che garantisce ritorni tecnici ed economici, se si interfaccia con un presidente; opportunità di crescita e fiducia totale, se tratta con i calciatori e/o con i loro procuratori; una reale prospettiva di risultati, quindi di felicità, se si rivolge ai tifosi. Quest’ultimo aspetto, quello relativo ai tifosi, è piuttosto importante: Filippo Verri, giornalista del sito e canale Twitch pianetalecce.it, racconta che «Corvino ha avuto e ha un impatto enorme su tutto l’ambiente. Da quando è tornato, nell’estate 2020, si è riacceso l’entusiasmo. E ora c’è una nuova generazione che si sta innamorando del Lecce. Ce n’era bisogno, visto che i sei anni vissuti in Serie C, dal 2012 al 2018, avevano creato un certo distacco tra la squadra e la città». 

In effetti il Lecce compare pochissimo nelle viuzze strette del centro storico che confluiscono tutte in Piazza Sant’Oronzo: al di là di uno store ufficiale, le uniche tracce del club giallorosso, e della sua tifoseria, sono alcune scritte fatte con i pennarelli sui pali della luce. Oppure sono appiccicate, in forma di adesivo, su qualche cartello che segnala il divieto di sosta. Inoltre i chioschi di giornali e souvenir vendono la maglia e le sciarpe del Lecce accanto a quelle di Juventus, Milan, Inter e Roma. La situazione cambia un po’ uscendo dalle mura costruite in età messapica, romana e medievale: a pochi passi da Porta Napoli, uno degli accessi storici alla città vecchia, c’è un murales in cui Samuel Umtiti è stato disegnato con una corona in testa; nel quartiere periferico della 167, a pochi passi dallo stadio Via del Mare, compaiono delle grosse scritte Ultras Lecce e altri murales – tutti realizzati negli ultimi cinque anni – dedicati a Ernesto Javier Chevantón e poi a Michele Lorusso e a Ciro Pezzella, due calciatori della squadra giallorossa morti nel 1983 in un incidente stradale. 

Insomma: dopo averla esplorata, la sensazione è che Lecce non si sia ancora fatta travolgere davvero dal suo rinascimento calcistico. Non tutta, quantomeno. Forse è per questo che nel 2019, all’indomani della promozione in Serie A, Saverio Sticchi Damiani – avvocato di fama nazionale diventato presidente del Lecce dal 2017, due anni dopo l’ingresso in società – disse che «se tifi Lecce, tifi Lecce e basta». Forse è per questo che Sticchi Damiani e i suoi soci, tutti salentini, hanno insistito così tanto perché Pantaleo Corvino tornasse a lavorare a Lecce: c’era davvero bisogno di riaccendere l’entusiasmo. E Corvino l’ha fatto, a dirlo sono i fatti: l’anno scorso il Via del Mare ha accolto 24.654 spettatori in media per match, una quota pari al 78% della capienza omologata; un paio di mesi fa, la campagna abbonamenti per la stagione 2023/24 si è conclusa con 21mila tessere vendute, record assoluto nella storia del Lecce. 

I numeri dello stadio sono un buon inizio, ed è un discorso che vale per qualsiasi club. Ma, se andiamo al di là del nuovo amore percepito dai tifosi, come si misura il successo di un modello di business sportivo quando non è possibile accumulare trofei? La risposta è che si passa inevitabilmente dai risultati ottenuti, solo che va fatta la tara delle potenzialità di partenza. E allora gli obiettivi realistici del Lecce erano la promozione in Serie A, la salvezza, ma anche restituire una percezione di stabilità ad alti livelli: sono stati centrati tutti nel primo ciclo triennale avviato nel 2020. Se di mezzo c’è Corvino, però, si deve tener conto di un altro aspetto: le cose che succedono nel settore giovanile. Le sue parole, quando spiega questa parte del suo lavoro, sono evidentemente cariche d’orgoglio: «È cambiato tutto rispetto alla fine degli anni Novanta, quando sono venuto a Lecce per la prima volta. Ma i nostri risultati sono stati gli stessi: con la prima squadra abbiamo raggiunto la Serie A e poi siamo riusciti a salvarci. Con la Primavera abbiamo conquistato un’altra promozione e poi abbiamo conquistato lo scudetto. Esattamente come era successo vent’anni fa».

Il Lecce è l’unico club del Sud Italia che ha vinto più di un titolo nazionale categoria Primavera: ne ha conquistati tre (2003, 2004 e 2023), e tutte le volte Pantaleo Corvino era nell’organigramma. Non può essere una coincidenza, tre scudetti fanno una prova. Una prova bella solida, anche. Il punto è che Corvino guarda oltre il singolo successo sul campo, ne fa una questione di modello. Lui lo definisce metodo: «Quando sono arrivato mi è stato chiesto di dare un equilibrio finanziario al club. Non è facile farlo quando dietro di te non hai sceicchi, magnati, fondi stranieri. La proprietà del Lecce fa tanti sacrifici, ci mette passione, ma ha un’altra dimensione. E quindi per noi non c’era altra soluzione che patrimonializzare il capitale tecnico partendo dalla ricerca dei talenti, sia per la prima squadra che per le giovanili. Noi dovevamo cercare delle potenzialità, più che delle qualità conclamate. E l’abbiamo fatto bene, infatti il nostro è un metodo sostenibile».

A questo punto è inevitabile dare un po’ di numeri. Sono ufficiali, nel senso che sono gli stessi snocciolati da Corvino in due conferenze stampa che si sono tenute a giugno 2023, pochi giorni dopo la conquista della prima salvezza in Serie A dopo 12 anni: per la stagione 22/23, il Lecce ha investito poco meno di 23 milioni di euro nella prima squadra, con 16,9 milioni destinati agli ingaggi; per la Primavera, invece, il costo aziendale complessivo è stato di 517mila euro. Sono cifre piuttosto basse, nel contesto del campionato italiano. Eppure i risultati sono arrivati, sia sul campo che sul mercato. Anche in questo caso, ovviamente, a parlare sono i numeri. Numeri che si accoppiano a dei nomi: Morten Hjulmand, arrivato per 150mila euro nel gennaio 2021, è stato ceduto allo Sporting per 20 milioni; Gendrey, Krstovic, Rafia e Banda hanno meno di 24 anni e hanno già dimostrato di avere tutto ciò che serve per seguire lo stesso percorso di Hjulmand; se consideriamo soltanto le ultime due stagioni, González, Burnete, Dorgu e Corfitzen hanno giocato in prima squadra dopo essere passati dalla Primavera, mentre Borbei, Samek, Berisha e Samooja – anche loro, in origine, sono stati presi per la Primavera – vengono stabilmente convocati da D’Aversa e sono pronti a esordire in gare ufficiali. È solo questione di tempo. 

Cos’hanno in comune tutti questi calciatori? Intanto appartengono al Lecce, nessuno escluso. È un punto cardine del modello-Corvino ed è un’anomalia per la Serie A, un ecosistema che praticamente si regge sui trasferimenti a titolo temporaneo: mentre nella rosa del Lecce ci sono solo tre giocatori (Piccoli, Touba e Almqvist) di proprietà altrui (e per altro tutti e tre gli accordi prevedono il diritto e/o l’obbligo di riscatto alla fine di questa stagione), Frosinone ed Empoli vanno addirittura in doppia cifra, con dieci e undici prestiti in entrata. L’altra cosa che accomuna tutti i giocatori citati finora è che non sono italiani. Secondo Corvino, il suo Lecce non può fare diversamente. Per diversi motivi. Il primo è la scarsità di talenti local, un problema che riguarda Lecce, il Salento, l’Italia intera: «Prima il calcio era l’unico sport che si poteva fare», spiega Corvino, «e quindi tantissimi ragazzini ne erano attratti. Si giocava per strada, ora non si fa più. Ci sono molte discipline da poter praticare, i giovani fanno anche altro, allora le infrastrutture sul territorio non si sono sviluppate». E poi c’è la solita questione economica: «Ci sono società che possono andare a prendere le migliori promesse italiane perché hanno un fatturato superiore al nostro. Sono tante, più di quelle che pensiamo: ci sono quelle che fatturano 400 milioni di euro, ma anche quelle che ne fatturano 70, e sono comunque più ricche rispetto al Lecce. Se vogliamo competere, quindi, dobbiamo rivolgerci ad altri Paesi per scovare talenti da sviluppare e poi portare in prima squadra».

Eccola la chiave di tutto: Corvino vede la Primavera come se fosse una lunghissima panchina per la prima squadra, per lui il travaso dei giocatori attraverso le giovanili non prevede step intermedi, se non è proprio necessario. È una strategia per abbattere i costi che può rivelarsi virtuosa, ma solo se si possiedono «le idee, la creatività e il coraggio che servono per mettersi sugli aerei, sui treni, per scegliere i campi e le persone giuste da andare a vedere». Corvino ha detto queste parole qualche mese fa di fronte ai giornalisti, nello stesso giorno in cui ha rivelato che il Lecce ha soltanto due osservatori a stipendio, uno per la prima squadra e uno per le giovanili. Ha confermato tutto anche parlando a Undici: «Io e Stefano Trinchera, direttore sportivo del Lecce, abbiamo solo due figure nell’area scouting. Utilizziamo anche le nuove tecnologie, ma personalmente credo che certi strumenti possano aiutarti fino a un certo punto. Alla fine, nel calcio, bisogna fare quello che si è sempre fatto. E io voglio toccare la pelle dei giocatori». Non a caso, viene da dire, l’intervista che leggete in queste pagine è stata organizzata soltanto al ritorno da un lungo viaggio che Corvino ha fatto all’estero. 

Il Lecce è stato attaccato in modo trasversale per la sua politica di mercato, anche se in realtà non c’era nessun regolamento che vietasse di giocare – e di vincere – il Campionato Primavera con una squadra composta da oltre 20 giocatori stranieri. Dopo le critiche si è mossa la Federcalcio, riscrivendo le norme: dalla stagione 2023/24, le squadre iscritte al torneo Primavera 1 devono inserire in distinta almeno cinque calciatori italiani, più altri cinque già allevati nel vivaio; queste soglie cresceranno, arriveranno fino a 10+10 alla vigilia del campionato 2025/26. Corvino si è difeso in modo strenuo, poi ha contrattaccato: ha detto che il titolo nazionale vinto dal Lecce ha dato fastidio, che acquistare stranieri a basso costo resta l’unica strada percorribile per far crescere la sua società, che lavorare in questo modo ha generato entusiasmo pure intorno al settore giovanile. E in effetti i tifosi che vanno al Via del Mare per le gare di Serie A conoscono i nomi di giocatori della Primavera, dicono – gridano – a D’Aversa di farli entrare in campo, li riconoscono e li salutano per strada. Non ci sono stati caroselli per lo scudetto in Piazza Mazzini, lo slargo che ospita le feste per le promozioni e le salvezze della squadra senior, ma duemila persone hanno assistito a Lecce-Olympiacos di Youth League, lo storico esordio casalingo del club giallorosso in competizioni Uefa.

Pantaleo Corvino sa benissimo che tutto questo è un patrimonio virtuale che potrebbe diventare reale, così insiste e rilancia: «Noi siamo sicuri di quello che dobbiamo fare, abbiamo le idee chiare. Ogni dirigente calcistico ha la sua strada per arrivare a Roma, io ho la mia. Nel mio Lecce continueremo a seguire la stessa progettualità, partiremo sempre dalla patrimonializzazione dei giocatori. Poi passeremo a fare altro: daremo sempre maggiore importanza al vivaio, soprattutto ci concentreremo sulle strutture, infatti il nostro prossimo passo sarà dotare la prima squadra e le giovanili di un centro sportivo di proprietà. E sottolineo che lo faremo. Perché il nostro obiettivo è costruire tanti altri González, ovvero giocatori acquistati per la Primavera che poi crescono, si sviluppano, alla fine arrivano a fare 35 presenze in Serie A. E contribuiscono alla salvezza del Lecce». 

Nella mente di Pantaleo Corvino è tutto molto chiaro: il Lecce deve diventare una società in cui i migliori giovani vogliano trasferirsi. Per crescere, per diventare grandi, per affermarsi. Godersi dal vivo la costa salentina e il centro storico, quei luoghi splendidi immortalati nelle foto che si ritroveranno nella galleria del loro smartphone, dovrà essere solo un gustoso condimento. 

Da Undici n° 53