Il CEO del Borussia Dortmund ha detto che non vuole soldi dall’Arabia Saudita

Carsten Cramer ha parlato dell'identità del suo club, dello sviluppo del calcio, delle proteste dei tifosi gialloneri contro la Uefa.

Nello stesso girone di Champions del Milan, ci sono PSG, Newcastle e Borussia Dortmund che si stanno giocando il passaggio agli ottavi. Il club tedesco ha già affrontato per due volte il Newcastle, ma c’è un argomento ancora caldo in Germania: il finanziamento dei club di calcio da parte di investitori provenienti dai Paesi arabi. È un discorso che si colloca in uno scenario più ampio, quello relativo al rapporto ormai indissolubile tra sport e business, sia per quanto riguarda le società che le istituzioni sportive: in questo senso la tifoseria del BVB, pochi giorni fa, si è espressa in modo molto duro nei confronti dell’Uefa e del nuovo format della Champions League, esponendo uno striscione in cui i vertici della Confederazione Europea sono stati accusati di «pensare solo ai soldi».

Carsten Cramer, co-amministratore delegato del Borussia, ha parlato di questi temi in un’intervistaNZZ: sugli investimenti sauditi o qatarioti è stato nettissimo, si può dire implacabile, infatti ha detto chiaramente che «noi al Dortmund prestiamo attenzione alla provenienza del denaro. E quindi no, non vogliamo soldi da certi Paesi, escludiamo che organizzazioni di Arabia Saudita e Qatar possano essere parte dei nostri sponsor». E il “no” era scritto in maiuscoletto: NO. Per quanto riguarda le critiche della tifoseria verso il nuovo format della Champions League, Cramer ha una posizione meno intransigente: «Creare un nuovo torneo era l’unica possibilità per evitare la Super League. E poi sei degli otto gruppi dell’edizione di quest’anno hanno già emesso i loro verdetti con largo anticipo. I dubbi sul tabellone attuale, quindi, sono giustificati. Secondo noi il calcio del futuro dovrà essere più equo e meritocratico, meno influenzato dal sorteggio, e in questo senso la nuova Champions League ci fa essere ottimisti». Sull’atteggiamento dei gruppi organizzati allo stadio: «Noi siamo un’associazione democratica, ci sta che alcuni tifosi abbiano timore per il futuro. Però vorrei che avessero un atteggiamento più positivo, più comprensivo: abbiamo bisogno di soldi per essere competitivi, e nel calcio tedesco questo passaggio non può avvenire con interventi dall’estero».

Su questo aspetto – parliamo della controversa regola del 50+1, per cui la maggioranza delle azioni dei club tedeschi devono appartenere ai loro soci, quindi ai tifosi – Cramer è chiaro: «Noi vogliamo proteggere il 50+1, ma dobbiamo anche rafforzare la concorrenza interna. Per farlo dobbiamo lavorare sul marketing. Allo stesso tempo, però, per noi il calcio deve rimanere accessibile e conveniente: 28mila biglietti per le nostre partite, ogni partita, hanno un costo medio di 15 euro». E allora un club del genere deve coltivare un’identità: «Stiamo portando avanti tante iniziative contro il razzismo e l’antisemitismo», aggiunge Cramer. «Viviamo un’era complicata, in cui tante cose – la religione, la politica, la cultura – stanno perdendo popolarità, fanno fatica a unire le persone. Anzi, finiscono per dividerle. A volte anche in modo drammatico. A parte la musica, il calcio è forse l’unico collante sociale che ancora unisce le masse, indipendentemente dall’origine, dall’età o dalla classe sociale. È un ambiente che ha molto a che fare con la storia, i rituali, la tradizione. In Formula Uno, per esempio, si guarda molto meno al passato. Noi dobbiamo trovare il modo per crescere: alla fine il nostro concorrente non è il Real Madrid, piuttosto Netflix. Con questo voglio dire che dobbiamo trovare nuovi modi perché i ragazzi si interessino al calcio».