Se la Real Sociedad è agli ottavi di Champions, il merito è quasi tutto del suo vivaio

La squadra basca lavora benissimo sul mercato, ma la sua crescita è legata a uno dei migliori settori giovanili d'Europa. E a un modello che fa di tutto per valorizzare il talento locale.

La Real Sociedad ha vinto il girone di Champions League partendo dalla quarta fascia del sorteggio. Si tratta di un risultato enorme, se consideriamo che nessuno ci è riuscito nelle ultime quattro stagioni – l’ultima squadra a compiere l’impresa era stata il Lipsia – e che il club basco non partecipava al torneo da dieci anni esatti, cioè dalla stagione 2013/14. Il punto, però, è che la Real Sociedad ha compiuto i suoi enormi progressi attuando un modello di lavoro unico nel suo genere, fondato sui giovani e sulla valorizzazione del talento. Più precisamente: sulla valorizzazione del talento locale, vale a dire dei giocatori nati nei pressi di San Sebastián, la città rappresentata dal club. Anche qui i numeri sono incredibili: ieri sera, nella gara contro l’Inter, l’allenatore Alguacil – anche lui è cresciuto, come calciatore e poi come tecnico, alla Real Sociedad – ha schierato addirittura sette calciatori cresciuti nel vivaio del club; se guardiamo al minutaggio relativo alle gare di Liga, le proporzioni sono le stesse: i talenti allevati nella Zubieta, nome del centro sportivo della Real, sono andati in campo per il 45,4% del tempo disponibile.

Ma chi sono questi calciatori allevati in casa? È una domanda legittima e intelligente, perché non è soltanto una questione di numero, c’entra anche la qualità. E allora rispondiamo: si tratta di Igor Zubeldía, Mikel Oyarzabal, Martín Zubimendi, Aihen Muñoz, tutti schierati dal primo minuto nella notte di San Siro; dalla panchina, poi, sono subentrati Aritz Elustondo, Beñat Turrientes e Jon Magunazelaia. Non è tutto: contro l’Inter, in panchina, c’erano anche Álvaro Odriozola, Jon Ander Olasagasti, Jon Pacheco, Urko González de Zárate, Unai Marrero e Alberto Dadie, tutti cresciuti alla Zubieta. E non dimentichiamoci di Ander Barrenetxea, esterno offensivo di qualità assente per infortunio, e di Robin Le Normand, che formalmente è cresciuto nel Brest, ma che ha cominciato il suo percorso nella Real dalla squadra Under 19. Non c’è bisogno di essere dei grandi esperti di calcio europeo per conoscere determinati calciatori, per sapere che si tratta di profili importanti. Poi è chiaro: molti di questi non diventeranno grandi campioni, non tutti arriveranno ai livelli di Oyarzabal, Le Normand e Zubimendi. Ma costruire una squadra del genere, con questa politica, e portarla fino agli ottavi di finale di Champions League è una specie di miracolo sportivo. No, in realtà il termine è sbagliato: non è un miracolo, ma il frutto di una progettazione coerente, di un lavoro portato avanti com competenza e convinzione.

Alla Zubieta tutto comincia più tardi rispetto a molti altri club: Luki Iriarte, direttore della formazione della Real Sociedad, ha detto – in un’intervistaRelevo – che «qui da noi vogliamo che i bambini si godano l’infanzia, quindi monitoriamo i loro progressi nelle scuole e nelle scuole calcio della zona e poi li inseriamo nel club a partire dall’Under 13». Ma se le altre società spagnole iniziano prima e poi vengono a Gipuzkoa, la provincia di cui San Sebástian è capoluogo, a fare razzia di talenti? «Questo è un pericolo costante», spiega Iriarte. «Dobbiamo lavorare molto per convincere le famiglie che Gipuzkoa è il posto giusto in cui stare, che la Real Sociedad ha un progetto importante, che è meglio far crescere i bambini con le loro famiglie, a pochi chilometri da dove sono nati». Insomma, il lavoro sul territorio e i rapporti con le istituzioni locali sono fondamentali. Anche perché una delle regole – autoimposte – nel vivaio della Real Sociedad è che almeno l’80% dei giocatori del vivaio debba essere originario di Gipuzkoa.

L’obiettivo di questo progetto è quello più scontato e immediato, quello che dovrebbe essere seguito da tutti i vivai di tutti i club del mondo (ma non è sempre così): allevare dei giocatori fino a portarli in prima squadra. Iriarte lo spiega con orgoglio: «La nostra vittoria si determina quando un ragazzo del settore giovanile arriva a esordire in prima squadra. Vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro su di lui, che abbiamo evitato di perderlo per strada. Purtroppo succede con tanti talenti. Anzi, la stragrande maggioranza non ce la fa». Anche perché, nel frattempo, la Real Sociedad ha affinato anche un altro aspetto del suo modello: quello relativo allo scouting sui mercati internazionali. Come spiega Il Foglio in questo articolo, il club ha deciso di puntare su un gruppo formato da giovani “cresciuti” essenzialmente sul web, come match analyst o anche come blogger/giornalisti, tra cui Abel Rojas (fondatore della rivista Ecos del Balón), David León (anche lui ha lavorato con Ecos), Xabi Esnaola (The Tactical Room) Guillermo Valverde e Tomas Martinez (Marcador Internacional). Anche il direttore sportivo, Roberto Olabe, ha una storia particolare: ex allenatore e poi dirigente della Real, è stato nominato diesse per la prima volta nel 2016; prima, però, aveva guidato l’Aspire Academy del Qatar. La sua prima esperienza a San Sebastián si è esaurita in otto mesi, quando ha accettato un’offerta proveniente dall’Independiente del Valle, probabilmente il club sudamericano più innovativo degli ultimi trent’anni, quantomeno nello scouting. Olabe, infine, è tornato a “casa” nel 2018.

Questo team con idee e competenze miste ha permesso alla Real Sociedad di fare dei grandi affari all’estero: Isak è il colpo più importante, visto che è stato preso pr 15 milioni di euro e poi è stato rivenduto per 70 milioni; anche gli acquisti di Brais Méndez, Sadiq e Kubo hanno funzionato piuttosto bene, e siamo ancora in attesa di scoprire il reale valore di Zakharyan e i margini di recupero di Odriozola, i due arrivi dell’ultima sessione estiva. Il punto, però, è che questa crescita sul mercato passa inevitabilmente in secondo piano rispetto al vero core business della Real Sociedad: il lavoro per e con le formazioni giovanili. Da questo punto di vista a Zubieta e a San Sebastián non temono confronti. A dirlo è stata la Champions League, e non c’è bisogno di aggiungere molto altro.