L’Aston Villa è la Cappella Sistina di Emery

Ottimi risultati, un gioco di qualità e un progetto proiettato nel futuro. Tutto nel nome del tecnico spagnolo, che ha trovato un habitat perfetto.

Di tutte le cose incredibili accadute all’Aston Villa in questa stagione, la più significativa, ammesso che sia possibile scegliere tra tutte, è accaduta ormai tre settimane fa. Era fine novembre e i Villans erano in trasferta a Londra, in casa del Tottenham, cioè una delle squadre più in forma della Premier League. È stata una partita molto divertente, giocata a ritmi alti, con tante giocate illuminanti e piccoli ricami tecnici. È anche una di quelle partite il cui risultato finale (1-2) racconta poco della partita stessa, non perché bugiardo, ma perché in novanta minuti a volte succede di tutto e due cifre – quelle del risultato finale – non bastano. In quel caso, per esempio, c’è stata una tripletta di Son Heung-Min. Nessuno dei suoi gol, però, è stato convalidato: per tre volte l’attaccante del Tottenham ha segnato partendo da una posizione di fuorigioco. È un dettaglio non marginale, perché aiuta a spiegare la precisione meccanica nell’impianto tattico dell’Aston Villa e fa notare la straordinarietà di alcuni dettagli – l’intesa tra i difensori, lo stile aggressivo con la linea alta, l’attenzione massima di tutta la squadra in una partita ai vertici della Premier League.

Il fuorigioco è quella parte per il tutto che aiuta a decifrare una delle squadre più brillanti e sorprendenti d’Europa. Dall’inizio della stagione nessuna squadra inglese ha messo gli avversari in offside più volte dell’Aston Villa – 70 volte, e se si conta l’anno solare 2023 doppia praticamente qualsiasi avversario. Su questa regolarità meccanica da impero asburgico si leggono i meriti enormi di Unai Emery, un allenatore a lungo sottovalutato, considerato adatto solo alla borghesia del calcio spagnolo: in Liga è andato fortissimo con Valencia, Siviglia e Villarreal, ma i fallimenti all’Arsenal e al PSG hanno messo fine ai suoi giorni sulla panchina di un grande club.

Il cortocircuito di questa categorizzazione è che le squadre migliori di Emery sono sempre state l’esatto opposto della retorica sul calcio spagnolo. Il suo Siviglia era una squadra spigolosa, cinica, armata dalla forza fisica e dall’atletismo fuori scala di quasi tutti i suoi protagonisti, esclusi pochi geni creativi (Rakitic, Banega). Anche al Villarreal il motore stava nel talento tecnico di Dani Parejo e Gerard Moreno, gli ingranaggi nel dinamismo di Foyth, Danjuma, Trigueros. Organizzazioni poco cerebrali, intrise del pragmatismo empirico dell’allenatore basco. Anche a Birmingham, Emery ha trovato la quadra con pochi principi fondamentali: è passato dal 4-3-1-2 usato da Gerrard a un 4-2-3-1 o 4-4-2; ha costruito connessioni triangolari, ha chiesto ai giocatori di più tenere il pallone tra i piedi e sviluppare il gioco in ampiezza; ha impostato una fase di non possesso basata sul pressing intensivo e l’aggressione degli avversari, anche molto lontano dalla porta.

Il risultato è un Aston Villa tornato ai vertici della Premier League dopo tanti anni, con una serie aperta di 15 vittorie consecutive in casa – la più lunga in 149 anni di storia del club – e una regolarità di risultati da top club europeo: nel 2023 ha vinto 24 partite di Premier League, con 78 punti conquistati, secondo solo al Manchester City di Guardiola (26 vittorie, 83 punti). Oggi i Villans sono terzi, a due punti dal Liverpool primo, con il terzo miglior attacco e la quarta miglior difesa. Lo stesso Emery ha vinto 31 delle sue prime 50 partite da manager dell’Aston Villa – per avere un termine di paragone, Pep Guardiola si è fermato a 29 con il Manchester City. I numeri sono tutti in quest’ordine di grandezza, si potrebbe proseguire all’infinito andando a fondo nelle statistiche avanzate.

Se le grandi squadre non lo chiamano più, allora la grande squadra, Emery, deve costruirsela da solo. All’Arsenal non si era trovato bene perché l’assetto societario era in piena trasformazione e la dirigenza gli chiedeva di fare troppe cose, troppi ruoli, mentre lui si sente e vuole essere solo l’allenatore della prima squadra. A Parigi aveva trovato un ambiente meno funzionale, meno disposto a seguirlo e ancor meno ad aspettarlo. A Birmingham invece può fare più o meno ciò che vuole. E non vedeva l’ora: Unai Emery è un allenatore che non scende facilmente a compromessi, non tanto nelle scelte di campo, quanto sui metodi di lavoro. La firma con l’Aston Villa, poco più di un anno fa, passava dalla richiesta di pieni poteri per ribaltare la situazione critica lasciata dalla gestione Gerrard. La società lo ha accontentato in tutte le sue pretese e inclinazioni, dandogli carta bianca per plasmare la squadra a sua immagine e somiglianza, circondato da uno staff tecnico e dirigenziale rinnovato con uomini che avevano già lavorato con lui. Con due in particolare ha costruito il nuovo triangolo di potere alla guida del club: il mitologico diesse ex Siviglia Monchi, come President of Football operations, e Damià Vidagany, amico intimo di Emery arrivato all’Aston Villa da assistente personale dell’allenatore e ora nuovo direttore sportivo.

Nella ricostruzione che ne fanno Jacob Tanswell e Gregg Evans su The Athletic, il club sta creando una struttura organizzativa simile a quella del Manchester City: «Emery considera l’organizzazione societaria in cui lavora Pep Guardiola al City ottimale per un allenatore. E come lui ha buoni amici nella dirigenza, con cui prende tutte le decisioni cruciali». In più, l’allenatore è entrato in sintonia con i proprietari, Wes Edens e Nassef Sawiris, e con tutti gli uomini del consiglio d’amministrazione. Al punto che l’Aston Villa ha recentemente avviato una partnership con il piccolissimo Real Unión di Irún, piccolissimo club dei Paesi Baschi di cui a giugno Unai Emery e suo fratello Igor avevano acquistato delle quote: è il club dove avevano giocato, in passato, il loro papà e il loro nonno.

Da quando è arrivato a Birmingham, Emery ha uno score di 32 vittorie, sei pareggi e 13 sconfitte in 51 gare ufficiali (James Gilbert/Getty Images for Premier League)

Una settimana fa l’Aston Villa ha fatto sembrare il Manchester City una squadra normale per 90 minuti, con una prestazione che ha limitato i campioni di tutto – ma davvero di tutto – a due tiri in tutta la partita e una produzione offensiva che ha reso l’1-0 finale un risultato parecchio generoso con i Citizens. Una vittoria costruita con un lavoro minuzioso, con interminabili ricostruzioni di diverse situazioni di gioco per assicurarsi che l’undici titolare avesse immagazzinato tutte le informazioni per sfruttare le poche vulnerabilità degli avversari. Potrebbe essere il magnum opus emeryano ma la concorrenza è alta: pochi giorni dopo si è preso una piccola rivincita personale sull’Arsenal capolista, con una masterclass dalla panchina, tra sostituzioni e aggiustamenti in corsa: «L’Aston Villa ha un allenatore che sa leggere perfettamente i flussi e i ritmi di una partita di calcio. E la vittoria è arrivata con una di quelle mosse che forse solo Pep Guardiola e Mikel Arteta avrebbero potuto disegnare sulla lavagna tattica», ha scritto il Telegraph. 

 Le storie sulla preparazione maniacale e dispotica sono un aspetto centrale del personaggio Emery, descritto dai suoi cantori epici principalmente come «ossessivo» e «video-fanatico» (qui, per citarne uno, Sid Lowe sul Guardian). Si dice che, ai tempi del Siviglia, il suo staff tecnico portasse sempre con sé, in casa come in trasferta, un telone dove venivano proiettati frammenti di partite e sessioni d’allenamento, con sedute che potevano durare anche più di un’ora. Un’abitudine che non ha mai abbandonato, e anzi usa anche negli allenamenti personalizzati con cui lavora sullo sviluppo dei singoli. Lo ha fatto ad esempio con Ollie Watkins, ormai stabilmente un attaccante da doppia cifra in Premier League ma senza particolari guizzi: lo ha costretto a tagliare alcuni orpelli nel suo gioco, come i movimenti a cercare aria sull’esterno, e lo ha catechizzato a forza di videoclip e materiale d’archivio su Carlos Bacca e Edinson Cavani – due attaccanti che Emery ha saputo valorizzare velocemente. Da agosto Watkins ha già realizzato otto gol e sei assist in Premier League, 13 gol e otto assist in 23 partite di tutte le competizioni. Sarebbe a mani basse il giocatore più migliorato della Premier nell’anno solare se non avesse la concorrenza di tanti suoi compagni di squadra: la sua parabola on è poi così distante da quella di John McGinn, Jacob Ramsey, Douglas Luiz o del Dibu Martínez. 

«La parola con la T è vietata», ha detto McGinn. Non si può parlare di title nonostante i due soli punti che separano i Villans dalla vetta. Certo, devono dimostrare di poter reggere questi ritmi sul lungo periodo e hanno ancora bisogno di migliorare in alcune cose, soprattutto in trasferta (11 punti nelle ultime sei gare lontano dal Villa Park, con differenza reti negativa), laddove è emersa una fragilità difensiva che normalmente non resiste alla prova del tempo. Però al momento l’Aston Villa è la squadra più interessante d’Inghilterra, con un’organizzazione impeccabile, un gruppo unito e la sensazione di aver fatto tutte le cose nel modo giusto. Con la consapevolezza che questa squadra potrà andare solo fin dove la porterà il suo allenatore, nel bene e nel male.