La speranza di essere un esempio, intervista a Manuela Nicolosi

Come è diventata un'assistente arbitrale di livello internazionale, come vede il suo futuro e quello delle altre donne che vogliono dirigere le partite nel calcio maschile.

Quando, nel 2019, Manuela Nicolosi è stata scelta per far parte della terna arbitrale della finale di Supercoppa Europea maschile tra Liverpool e Chelsea, non si è tirata indietro. Nel ruolo di assistente, al fianco di Stephanie Frappart, ha dimostrato come tre donne possano dirigere tranquillamente una partita di calcio maschile così prestigiosa. Ricorda così quella chiamata: «Sapevamo di essere sotto osservazione e che dalla nostra prestazione sarebbe dipeso un po’ il futuro del mondo arbitrale femminile. Però ci sentivamo pronte dal punto di vista fisico, mentale, tecnico e non vedevamo l’ora di scendere in campo. D’altronde avevamo arbitrato una finale da poche settimane (quella del Mondiale femminile in Francia, ndr) e ogni settimana dirigevamo match maschili».

Poi, la partita: «Per fortuna andò tutto bene», racconta lei, «e dopo quella finale un po’ tutte le federazioni iniziarono ad aprirsi sempre di più al mondo arbitrale femminile. Non a caso Stephanie Frappart è stata chiamata anche per arbitrare durante l’ultima Coppa del Mondo maschile in Qatar». Proprio l’arbitro francese è la grande compagna di viaggio di Manuela Nicolosi, ormai da quasi dieci anni: «Dal Mondiale femminile in Canada del 2015 siamo cresciute praticamente insieme e abbiamo vissuto tutte le maggiori competizioni internazionali. Stephanie è una collega che motiva, sprona, ti trasmette la sua ambizione e voglia costante di migliorarsi».

Prima di arrivare ai massimi livelli nel mondo arbitrale, però, Manuela Nicolosi è partita dal basso. Una smisurata voglia di stare su un campo da calcio, innanzitutto: «Fin da piccola amavo il calcio, la prima volta che ho messo piede in uno stadio avevo quattro anni ed è stato amore a prima vista. Il mio desiderio era quello di diventare calciatrice, ma mio papà non voleva perché diceva fosse uno sport per maschi. Io, però, avevo troppa voglia di stare nel mondo del calcio e per questo decisi di sfruttare un’occasione», racconta. Poi, anche l’aiuto di un pezzo della famiglia: «Avevo un cugino arbitro, che mi segnalò che stavano aprendo anche alle donne la possibilità di arbitrare. Così ho iniziato a fischiare nelle categorie inferiori del Lazio, fino a diventare la prima donna a dirigere un match nel campionato di Eccellenza della mia regione. Poi sono arrivati gli anni universitari, ho fatto uno scambio culturale in Francia e lì ho trovato lavoro. Nonostante la mia nuova professione, non volevo lasciare il campo e ho iniziato ad arbitrare per la Federazione calcistica francese, nella sezione di Parigi. Man mano sono stata promossa a vari livelli, fino a diventare arbitro internazionale nel 2010».

Il destino, però, ha voluto che i posti come direttore di gara per la sezione di Parigi fossero già occupati, e l’unico slot libero fosse per il ruolo di assistente arbitrale. Manuela ha deciso di accettare lo stesso. Di conseguenza, sono arrivati i cambiamenti: «Ci sono tante differenze tra un arbitro e un assistente, soprattutto a livello di preparazione atletica. L’assistente fa molti più sprint e deve essere tanto allenato sulla velocità. Inoltre la sua è una corsa innaturale, non dritta, ma sempre girata verso il campo per avere una visione periferica». Si capisce quanto sia fondamentale per un arbitro la preparazione atletica, che da sola, però, non basta: «Il fisico è importante, così come la mente però. Io lavoro tantissimo sull’aspetto mentale prima dei match, per ridurre al minimo il numero di errori. Cerco di stare concentrata sulla gara, senza farmi distrarre da situazioni esterne. In maniera pratica mi ripeto nella mente la parola focus, per ricordarmi di mantenere la testa sulla partita.

Se un arbitro comincia a pensare all’ambiente che lo circonda perde la concentrazione, il controllo sulla gara e il suo numero di errori salirà», spiega lei. Proprio sul come affrontare gli sbagli, poi, dice: «Durante la partita non ripenso alle decisioni che prendo e tento di resettare immediatamente per focalizzarmi su quello che viene dopo. Se la mente rimane su qualcosa di passato non sarà pronta per le situazioni presenti. Questo approccio l’ho sviluppato con l’esperienza, perché ovviamente a inizio carriera ogni sbaglio lo prendi sul personale e ti fa star male. Naturalmente dopo il fischio finale riguardo la partita, mi rendo conto dei possibili errori, delle cose migliorabili».

Mente e corpo sono i primi ingredienti per il successo. A tutte le ragazze che intendono iniziare la carriera arbitrale, Nicolosi suggerisce di investire tempo e voglia nella propria preparazione e di perseverare, per essere pronte quando conta: «Siamo ancora davvero poche ad alti livelli. Spero che la mia presenza, quella di Stephanie e di altri direttori di gara donna, possano ispirare sempre più ragazze a iniziare la carriera arbitrale. So che non è facile perché, soprattutto agli inizi nelle categorie inferiori, spesso si è vittime di insulti di genere o provocazioni da parte anche di alcuni dirigenti o allenatori. Ma se si ha in testa un obiettivo bisogna provarci e rimanere sempre concentrate sul suo raggiungimento».

Da Undici n° 51