Tu lo sai come si fa un campo da tennis?

Non tutte le superfici hanno le stesse caratteristiche, nemmeno le varie tipologie di “cemento”: ne abbiamo parlato con chi se ne occupa.

In principio furono pattini e bastoni. Il Pala Alpitour di Torino, anche noto come PalaOlimpico o PalaIsozaki, dal nome dell’architetto giapponese che l’ha progettato, è stato costruito per ospitare i tornei di hockey su ghiaccio delle Olimpiadi invernali 2006. Fu inaugurato il 13 dicembre 2005 con un’amichevole tra Italia e Canada: nel Blue Team, così è chiamata la Nazionale italiana maschile, tornò a giocare a sorpresa Lucio Topatigh, 40 anni compiuti da un paio di mesi, senza dubbio l’hockeista italiano più forte di sempre, oggi fornaio. La medaglia d’oro maschile andò alla Svezia al termine di una memorabile finale contro la Finlandia, quella femminile al Canada che batté agevolmente la Svezia. Il primo concerto fu invece un festival, “Volumi all’Idrogeno”, con i Subsonica e altri gruppi musicali torinesi. Poi in questi anni si sono succeduti artisti internazionali come i Pearl Jam, Bruce Springsteen, i Depeche Mode, i Muse, i Metallica, gli U2, Bob Dylan, i Red Hot Chili Peppers, i Green Day, Lady Gaga, Shakira, Madonna, Rihanna, Ed Sheeran, Ariana Grande e i Kiss; musical come Notre Dame de Paris e il Cirque du Soleil; spettacoli comici e orchestre dirette da Ennio Morricone. È tornato lo sport, con il torneo preolimpico di basket maschile nel 2016, i Mondiali di pallavolo maschile nel 2018 e la Coppa del Mondo di scherma. E dal 10 al 14 maggio 2022, dopo la vittoria dei Måneskin l’anno precedente a Rotterdam, l’Italia ha ospitato per la terza volta nella sua storia l’Eurovision Song Contest, condotto da Alessandro Cattelan, Laura Pausini e Mika. Con 15.657 posti a sedere il Pala Alpitour è l’arena coperta più grande del Paese, e per il terzo anno consecutivo, a metà novembre, è stata la casa delle ATP Finals 2023.

È un monta-smonta-rimonta continuo quello che avviene al Pala Alpitour, dove per esempio pochi giorni dopo le ATP Finals si sono esibiti Francesco De Gregori e Antonello Venditti, Tommaso Paradiso e Tedua. Del campo da tennis se ne occupa l’azienda GreenSet, fondata a Parigi nel 1970 ma, dal 2000, di proprietà dell’ex tennista spagnolo Javier Sánchez. Sánchez è stato numero 23 del mondo, suo fratello Emilio numero 7, la più piccola di casa, Arantxa Sánchez Vicario, addirittura numero uno della classifica femminile per 12 settimane tra il febbraio e il giugno 1995. Nel singolare ha vinto tre volte il Roland Garros e una volta gli US Open. Il distributore esclusivo del marchio GreenSet per l’Italia è invece la società AMZ. Anche questa è una storia di tre fratelli, i fratelli Puci: Antonio, Massimo e Ignazio, detto Zino. La GreenSet la segue principalmente quest’ultimo. Ha 65 anni e lavora nel tennis da più di 40.

«La prima cosa da sapere», dice Zino con accento piemontese, «è che i campi GreenSet sono i campi che vengono impropriamente chiamati in cemento. Invece è una resina acrilica, una soluzione acquosa senza componenti aggiuntivi che viene stesa su varie superfici». Zino Puci spiega che esistono due tipologie diverse dei cosiddetti campi in cemento: quelli permanenti e quelli mobili. «Sotto i primi», dice, «deve esserci l’asfalto. Se un campo viene costruito da zero, si fa il fondo tipo quello di un manto stradale, si rulla, e poi si posano due strati d’asfalto di spessori diversi per non disperdere la resina, che ha uno strato di un millimetro circa». I campi permanenti sono quelli dei circoli di tennis o, per esempio, quelli su cui si giocano gli Australian Open, Slam da qualche anno passato a GreenSet. Invece in una struttura come il Pala Alpitour, in cui si alternano sport e altri eventi, «il metodo consiste nel posare dei pannelli di un legno speciale che poi vengono resinati successivamente». Per montare un campo mobile si impiegano circa due o tre giorni, e a Torino i campi da montare sono quattro, due al Pala Alpitour (il centrale e uno d’allenamento) e altri due d’allenamento nel vicino Circolo della Stampa Sporting.

Negli ultimi tre anni, cioè da quando le ATP Finals si disputano in Italia, alcuni giocatori hanno notato che i campi sono un po’ più veloci rispetto a quelli a cui sono abituati normalmente. Nel 2021 il russo Daniil Medvedev ha detto: «Mi piacciono assolutamente i campi duri, penso di preferire le condizioni rapide, ma qui ci sono probabilmente le più veloci che abbia mai affrontato nel Tour». L’altro russo del circuito, Andrey Rublev, ha aggiunto: «Ha ragione Daniil. Penso che sia la superficie più veloce del circuito, secondo me pure troppo. Così non ci sono scambi. Dovrebbe essere molto, molto più lenta. La settimana scorsa già in allenamento mi ero reso conto che ci sono solo ace e vincenti. Non c’è modo di scambiare. Però non abbiamo scelta». Anche nel 2022 Medvedev ha ribadito: «Non è facile passare da Vienna, che è un campo indoor veloce, a Parigi che è probabilmente il più lento, a poi a Torino che è forse il più veloce della stagione. Mi piacciono di più i campi veloci rispetto a quelli lenti, ma con tutti questi cambiamenti ti serve qualche partita per adattarti».

La velocità di un campo da tennis dipende da diverse caratteristiche della superficie, tra cui la composizione, la rugosità, la densità e la tensione superficiale. Questi fattori influenzano il modo in cui la palla rimbalza e scorre sul campo stesso. Inoltre c’entra anche la qualità dell’aria. Esiste un dato, raccolto e diffuso ufficialmente dall’ATP, che per farla breve misura quanta velocità ha la palla prima di rimbalzare e quanta ne ha dopo, e di conseguenza quanto è veloce un campo. Si chiama CPI, Court Pace Index. Un CPI inferiore a 29 indica una superficie lenta, tra 30 e 34 mediamente lenta, tra 35 e 39 media, tra 40 e 44 mediamente veloce e superiore a 44 vuol dire che è veloce. Nel 2021 le ATP Finals di Torino hanno registrato un CPI di 40,4, mentre l’anno scorso il dato è stato ancora più alto, 43,5. «La velocità è data dallo strato finale della resina», spiega Zino Puci. «Nei campi permanenti ci sono due strati preliminari di resina base e poi uno strato che si chiama finish, che ha un’inerzia fine e lascia al tatto un po’ la sensazione di quella carta vetro che si compra in ferramenta, hai presente? Invece nei campi mobili il procedimento è lo stesso, ma lo strato finale può essere anche privo di inerzia, e quindi sì, i campi mobili come quello di Torino sono leggermente più veloci». Ma c’è anche un altro motivo, continua Puci: «Mentre il campo permanente deve durare anni, il campo mobile dura due settimane, il tempo del torneo, quindi l’usura non è così determinante, non si interviene per proteggerlo più di tanto».

Alle ATP Finals dell’anno scorso, per fare da sparring partner allo statunitense Taylor Fritz, è stato chiamato un giovane tennista torinese che viaggia attorno alla posizione numero 250 del ranking mondiale. Si chiama Edoardo Lavagno e ha scambiato con Fritz proprio sul campo centrale del Pala Alpitour, quello utilizzato per il torneo. «Il campo è molto veloce», conferma, «lo hanno detto tutti quello che ci hanno giocato sopra. Non è un campo semplice per le mie caratteristiche, ma per quello che sono riuscito a vedere in quei giorni era semplice praticamente solo per Djokovic. Gli altri facevano più fatica. Oltre al servizio, è molto importante la risposta: se riesci a far partire lo scambio poi può succedere un po’ di tutto, siccome il campo è così veloce. Da fondo, invece, si cerca di giocare molto piatto».

Da Undici n° 53