L’ambizione di Davide Frattesi

Intervista al centrocampista dell'Inter e dell'Italia, arrivato in nerazzurro dopo un’estate in cui lo volevano tutti. Ora, dice, è concentrato sull sfida più importante: diventare un calciatore di altissimo livello.

Davide Frattesi è stato l’uomo dell’estate calcistica italiana. Sulle prime pagine dei quotidiani sportivi, nei tweet degli esperti di calciomercato, nelle dirette televisive fiume, all’esterno di hotel di una Milano caldissima o nelle località italiane simbolo della stagione estiva. È stato soprattutto nei pensieri di dirigenti e allenatori, smaniosi di poter accogliere, accudire, nutrire e perfezionare quello che è uno dei talenti italiani più forti della sua generazione. «Ma io avevo già deciso», dice lui, ricordando quei giorni frenetici di calciomercato. Frenetici ma non troppo, per lui: «Ero tranquillo. Sicuro della mia scelta». L’Inter. Anteposta a tutte le altre squadre più importanti d’Italia, in pratica. «Credo sia stata la decisione migliore che potessi prendere», sottolinea. «Ho trovato un bel gruppo, sin da subito, che è qualcosa che aiuta molto. E poi chiaramente il modo di giocare dell’Inter è stato un motivo importante nel decidere di venire qui. Due punte davanti, le mezzali che si buttano negli spazi, tutto questo valorizza il mio ruolo».

Poi, certo, non si tratta solo di questo. O meglio: si tratta certamente di quello che è Davide Frattesi oggi, un centrocampista dinamico, versatile, l’evoluzione ultima del box-to-box, quello che negli sport americani si chiamerebbe two-way player. E poi fisicità, intelligenza tattica, senso del gol – undici nelle sue due prime stagioni in Serie A. Ma in più c’è l’idea di un calciatore nato e cresciuto in Italia, uno che della capacità di crescere stagione dopo stagione, di aggiungere nuove cose al suo gioco, di confrontarsi con dimensioni e standard sempre più elevati ed esigenti, ha fatto la sua caratteristica principale – eh già, più degli inserimenti che sono il suo marchio di fabbrica in campo. Molto raramente capita di avere a che fare, in Italia, con traiettorie che si impennano verso l’alto come nel suo caso. E questo vale anche per la Nazionale italiana, visto che Frattesi, in meno di un anno e mezzo con l’azzurro maggiore, è diventato uno di quei calciatori a cui non poter rinunciare nell’undici titolare. E, visto com’è andata, ha un pezzo importante di merito nella qualificazione a Euro 2024, con quella doppietta segnata lo scorso settembre a Milano contro l’Ucraina.

Per tutto questo, Davide Frattesi ha una spiegazione. «Sono uno ambizioso», fa notare. «Provo sempre a migliorarmi, a confrontarmi con gente più forte. La convinzione di voler arrivare qui all’Inter, di rimanerci, è talmente grande che mi porta a raggiungere quello che è il livello di questa squadra. Sicuramente, in questi primi mesi, mi sento cresciuto. Giocare a San Siro ti mette pressione, ti responsabilizza. Ti fa diventare più consapevole delle tue qualità e del contributo che puoi dare in campo. Adesso il mio obiettivo è quello di aggiungere qualche altro gol e qualche altro assist per poter dire di essere arrivato al cento per cento». Per la prima rete in nerazzurro, beh, non poteva scegliere occasione migliore: il derby, quello stravinto per 5-1 lo scorso settembre. Frattesi ha segnato il quinto gol, ovviamente come meglio sa fare: partendo da dietro e trovando lo spazio in cui infilarsi, per calciare in corsa verso la porta. Un attimo dopo, si è scatenato sotto la pioggerella milanese, a petto nudo, urlando e mulinando le braccia verso i suoi nuovi tifosi. «Eh, era difficile contenersi… Un derby vinto così, troppo bello».

Oggi l’Inter, per lui, non è solo la sua squadra: può essere qualcosa di più. Un traguardo, una gratificazione. «In passato avevo certe squadre in cui sognavo di giocare, certi campionati con cui desideravo misurarmi… Prima di arrivare all’Inter esistevano questi pensieri, ma ora non più. Non mi aspettavo di trovarmi così bene qui, in campo e fuori dal campo. Il gruppo è straordinario, i tifosi spettacolari. E i risultati stanno arrivando, le cose stanno andando benissimo». E anche quando parla di modelli, per uno come Frattesi che a 24 anni ha ancora voglia di imparare, i riferimenti sono in “casa”. «In allenamento ogni giorno posso avere due grandi esempi come Barella e Mkhitaryan. A Miki ruberei la gestione della palla, sotto quel punto di vista è veramente forte-forte-forte. Poi ha esperienza, lavora tantissimo, ha giocato per quindici anni a livelli importantissimi. È uno da cui prendere spunto per arrivare al top». A proposito di arrivare in alto, è l’Inter la squadra più forte del campionato? «Vediamo a maggio», impone la scaramanzia. «Sicuramente quest’anno non vedo una squadra che ammazza il campionato, come ha fatto il Napoli lo scorso anno. Ci sono tre-quattro squadre che si equivalgono, che sono lì a giocarsela. Poi, certamente, anche la profondità di rosa ha la sua importanza». E non è difficile capire a chi si riferisce.

Poi c’è una qualificazione agli Europei conquistata. Frattesi è arrivato in Nazionale all’indomani della delusione del mancato Mondiale. Convocato per la prima volta da Mancini, con cui ha trovato anche il primo gol azzurro proprio nell’ultima panchina dell’ex ct, in Nations League contro i Paesi Bassi, Frattesi è stato uno dei giocatori più impiegati nel nuovo corso Spalletti. «È un allenatore che valorizza le mezzali, perciò è perfetto per me, per cercare di esprimermi al cento per cento», dice lui. «Il suo arrivo ha dato una ventata d’aria fresca, ha portato delle idee e dei metodi diversi. Adesso c’è molto entusiasmo, stiamo cercando di ricreare quel tipo di gioco e di gruppo che ha portato l’Italia a vincere gli Europei due anni fa. Poi sta a noi essere bravi a mettere in pratica il credo di Spalletti e ottenere risultati». Dei sedici che sono scesi in campo nella partita decisiva di Leverkusen, contro l’Ucraina, Frattesi era uno dei sette under 25. «Ma non so quanta volontà ci sia in Italia di puntare sui giovani», dice il centrocampista nerazzurro, ripensando al movimento e alla Serie A. «Ci sono certamente dei casi speciali, come il Monza e il Sassuolo, che sono un bell’esempio per il nostro calcio. Ma non vedo un trend forte in generale. Sono scelte, però quando si dice che un ventenne non ha esperienza è normale che sia così, visto che non trova spazio. Spero ci sia un cambio di rotta, che si vada sempre di più nella direzione dei giovani».

Davide Frattesi non è uno che ha paura di mettersi in gioco. Potrebbe non essere il giocatore più tecnico in circolazione, né il più veloce, né il più creativo. Ma quando c’è da fare uno scatto in più non si risparmia. Quando c’è da battagliare a livello fisico, non si tira indietro. Se c’è da mettere il centodieci per cento in campo, lui dà il centoventi. Il dinamismo di Frattesi sembra tagliato su misura per il calcio di oggi, e in particolare per quella che è l’evoluzione moderna del centrocampista. «Rispetto al passato è un calcio molto più dinamico», conferma il nerazzurro. «Prima, probabilmente, si cercava più qualità, meno agonismo e fisicità. Io le mie caratteristiche le ho sempre avute, sono cose che si intravedono già all’inizio. Poi è chiaro che ho dovuto lavorare su altro: tanto sulla tecnica, sulla gestione del pallone, sugli aspetti tattici». Quando era piccolo, Frattesi era un attaccante. «Mi trovavo bene vicino alla porta», dice, e quella sensazione sembra essere rimasta intatta ancora oggi. «Ma attorno ai 13 anni Franceschini (che lo allenava nelle giovanili della Lazio, nda) mi spostò indietro, a centrocampo. Io mi arrabbiai: voglio fare l’attaccante, voglio segnare, gli dissi. Ma lui voleva che facessi la mezzala: se lo fai, se riesci a capire questo ruolo, puoi arrivare a livelli importanti, era la sua convinzione. Ma non mi convinse per niente, io sono abbastanza capoccione. Per un mesetto continuammo a litigare, tra virgolette: lui mi schierava mezzala, ma in realtà io andavo in attacco. Non è stato facile, però è stata la scelta che mi ha cambiato la carriera. E ora non posso che ringraziarlo».

Nell’entusiasmo che Frattesi porta all’interno dello spogliatoio – elemento tangibile, anche quando scherza ripetutamente con i compagni di squadra che vengono a “spiarlo” nel corso dello shooting – si decifra lo spirito di quel ragazzo che non voleva fare la mezzala. Non per disobbedienza, ma perché il calcio è la molla che trasforma un tranquillone come Davide in un animale da competizione: «Nel calcio sono sempre stato così: è uno switch, divento ipercompetitivo. È una cosa che mi dà una spinta in più. Anche se a volte sono poco paziente: per esempio due anni fa, quando volevo andare via dal Sassuolo. Probabilmente non era ancora il momento, sono stati bravi Carnevali (ad del Sassuolo, nda) e il mio procuratore a convincermi a restare. È stata la scelta giusta, e infatti la grande stagione dell’anno successivo è stata una conseguenza naturale». Riflettere e comprendere: non è certo semplice quando vieni proiettato in una dimensione come il calcio ai più alti livelli, soprattutto quando si è ancora molto giovani. «Penso che a fare la differenza è chi ti sta intorno», dice Frattesi. «Puoi essere bravo quanto vuoi, ma senza qualcuno che ti mostra la direzione giusta diventa difficile».

Nel caso di Frattesi, a farlo è sempre stata la famiglia: «Sono stati bravi a starmi dietro nei momenti di crescita, quando ne ho avuto bisogno. Con l’educazione e gli insegnamenti, i miei genitori hanno tracciato una strada, poi sta a me essere bravo a percorrerla. Ancora oggi è così. Mia madre viene a Milano praticamente tutte le settimane. È un po’ la “rompipalle” di casa. Magari sono con la mia ragazza, ci divertiamo molto con i giochi da tavola, tipo il Monopoli, e capita di fare tardi. Lei dice: è tardi, devi andare a letto, domani hai l’allenamento. Può sembrare una stupidaggine, ma sono cose importanti. Mio padre invece riesce a venire un po’ meno. Io gli ho chiesto di smettere di lavorare, ma lui non vuole». È nella famiglia, nel privato, che Frattesi ritrova la normalità di un ragazzo di 24 anni. «Sono una persona davvero tranquilla. Mi metto sul divano, gioco, ogni tanto esco, magari mi diverto con le escape room. Non guardo nemmeno calcio in tv, mi annoio. Noi calciatori siamo ragazzi normalissimi: non vedo cosa ci sia tanto di speciale fuori dal campo. Va bene, ci sono quei novanta minuti in cui sei al centro dell’attenzione, ma fuori basta, non c’è niente di straordinario».

Capirlo e accettarlo, ché in fondo questi calciatori sono ragazzi, con i loro dubbi e i loro timori, con la loro voglia di fare e il loro diritto di sbagliare, non è un concetto che appartiene a tutti. E molte volte loro, questi ragazzi che diventano supereroi soltanto per novanta minuti, si scontrano con chi proprio non se ne rende conto. Sui social, in particolare. «Mi verrebbe da rispondere a tutti, e farlo a tono», dice Frattesi, quando i commenti vanno sopra le righe, superano certe barriere, sono scritti per fare del male. «Ma mi mordo la lingua e non lo faccio. Purtroppo viviamo in un mondo in cui la gente, dietro uno schermo, crede di avere il diritto di scrivere quello che vuole. E le persone non si rendono conto che noi calciatori quei commenti ce li leggiamo, e quando diventano venti, cento, mille, diventa pesante. A me non interessa niente, cerco di farmi scivolare tutto. Ma magari c’è qualcun altro che invece ci pensa e ci ripensa, e poi può starci male. Si parla pochissimo del benessere dei calciatori. Ma io sono tranquillo. Sto bene così».

Da Undici n° 54
Foto di Rachele Daminelli
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