Make Liverpool Great Again

Jürgen Klopp è riuscito a rivitalizzare una squadra che sembrava finita.

Domenica pomeriggio, all’Emirates Stadium, il Liverpool ha giocato in apnea per quasi ottanta minuti, assediato dall’Arsenal, con poche boccate d’ossigeno tra una sgasata di Nelson, un filtrante di Ødegaard e un dribbling di Saka. Poi si è guadagnato il passaggio ai sedicesimi di FA Cup grazie a un autogol di Kiwior a dieci minuti dalla fine, e un contropiede chiuso da Luis Díaz nel recupero. Solo nel finale, più o meno nell’ultimo quarto d’ora, la squadra di Jürgen Klopp è riuscita a giocare come avrebbe voluto e a mettere in difficoltà gli avversari. È iniziato tutto da un’azione molto verticale, diretta e velocissima, la tipica azione-manifesto del Liverpool, una di quelle che gli riescono bene anche nelle giornate più difficili. Come se da quel momento una scarica di elettricità avesse riattivato le gambe di Darwin Núñez e compagni, che da lì hanno trovato nuove forze e la convinzione di poter vincere. 

Il Liverpool è ancora una delle migliori squadre di transizione della Premier League, da sei o sette anni è una delle migliori esponenti di quel calcio fatto di contropressing e riconquista alta del possesso, una capacità unica di verticalizzare prima che gli avversari possano trovare un assetto difensivo organizzato. Un gioco che ovunque viene definito heavy metal e che in realtà potrebbe essere anche una sinfonia d’orchestra per la precisione nell’esecuzione. Anche nel Boxing Day contro il Burnley il gol dello 0-2 nasce da una situazione di gioco ormai familiare negli highlights del Liverpool: Dara O’Shea non fa in tempo a mettersi sulla linea di passaggio di Endo che Quansah gli mangia il tempo e il pallone, quattro secondi dopo Díaz è già palla al piede in area e la accomoda a Diojo Jota per chiudere la partita.

Sono situazioni che il Liverpool è tornato a maneggiare magistralmente quest’anno, dopo una stagione mesta e deludente chiusa al quinto posto, con soli 67 punti. Secondo The Athletic, i Reds giocano 3,1 attacchi diretti ogni 90 minuti in Premier League, il dato più alto degli ultimi cinque anni. Di contro, la squadra tende anche ad allungarsi parecchio e questo favorisce le transizioni degli avversari, rendendo spesso le partite una sequenza lunghissima di corse palla al piede, attacchi in campo lungo e verticalizzazioni. La conseguenza è quasi sempre una produzione offensiva mostruosa, sublimata in quel 4-2 contro il Newcastle in cui i Reds hanno rotto ogni metrica sugli expected goals, con oltre 7 xG, frutto di 34 tiri, di cui 15 nello specchio della porta. 

La parte difficile di questo gioco è tenere tutto in equilibrio, conservare un’idea di controllo mentre i giocatori profondono uno sforzo enorme, sia nervoso che fisico. A giudicare da questa prima metà di stagione, il Liverpool ci riesce piuttosto bene: primo in classifica in Premier League, secondo miglior attacco (43 gol fatti), miglior difesa (solo 18 subiti), ancora in corsa per vincere quattro competizioni, anche se quella europea è “solo” l’Europa League. Tutto sembra funzionare perfettamente all’interno del sistema di Klopp, a partire dal rendimento dei singoli, che in quel gioco di transizioni e rischi e licenze individuali trovano il contesto migliore per esaltarsi. La difesa in campo aperto di Van Dijk e Konate, i dribbling voraci di Salah, Jota e Luis Díaz, le corse in verticale di Darwin Núñez, il centrocampo ridisegnato intorno a Dominik Szoboszlai e Alexis MacAllister, con Wataru Endo, Curtis Jones e Ryan Gravenberch a fare da spalla. Tutti sono a loro agio in una partita di transizioni bifronte.

Nell’elenco precedente manca Trent Alexander-Arnold, probabilmente il miglior attore protagonista di questo Liverpool 2.0, come lo chiama Klopp. Sta vivendo la miglior stagione della sua carriera, in un ruolo che si potrebbe definire di falso terzino, o terzino invertito, anche se Michael Cox pochi giorni fa ha suggerito di chiamarli “half-back”, come da denominazione inglese dei vecchi mediani nel 2-3-5 in voga fino alla metà del secolo scorso. La parabola di TAA è cambiata domenica 9 aprile 2023, in un’altra partita contro l’Arsenal, quando per la prima volta Klopp ha sperimentato per il suo terzino una posizione più centrale – che aveva già avuto in Nazionale in alcune fasi – in un sistema che, in fase di possesso, si trasforma in un 3-2-2-3 (o 3-box-3 per gli anglosassoni) e gli permette di gestire la manovra con maggiori libertà. Il nuovo ruolo – nell’accezione più larga del termine – lo ha responsabilizzato e gli ha dato fiducia, quella che serve per provare ogni giocata immaginabile, come quel tiro dalla linea di fondo visto contro il Newcastle. 

Al di là delle scelte di Klopp, anche l’impatto di Momo Salah è stato abbastanza significativo, in questo inizio di stagione

Solo dodici mesi fa il Liverpool sembrava irrecuperabile, ogni settimana c’era un nuovo record negativo, un momento da facepalm, un motivo per scusarsi con il pubblico di Anfield. Non funzionava niente. Una squadra con la batteria a terra, fiaccata dalla lotta contro il Manchester City di Pep Guardiola, quello che Klopp per qualche anno ha provato ad affrontare in una corsa agli armamenti che aveva trasfigurato la sua squadra: come se i campionati tirati oltre i 90 punti lo avessero logorato al punto da convincerlo che il Liverpool dovesse diventare più simile al Manchester City che alla miglior versione possibile di sé. 

Come sempre in questi casi, a certi livelli del calcio, recuperare l’identità tattica e certi automatismi è solo una parte – per quanto fondamentale – del discorso. Il Rinascimento del Liverpool fiorisce nell’abilità diplomatica e maieutica di Klopp e del suo staff. Una squadra (ri)nata dopo l’addio di molti veterani, da Jordan Henderson e Fabinho, da James Milner a Firmino, sostituiti con Dominik Szoboszlai, Alexis Mac Allister, Ryan Gravenberch e Wataru Endo. Senza molti dei protagonisti e dei capitani che avevano guidato la squadra alla doppia finale di Champions (2018-2019), era importante che i senatori, quelli rimasti, facessero un passo in avanti per riempire il vuoto. Ma è un ragionamento che è già fuori dal campo, riguarda gli aspetti emotivi e psicologici, la gestione delle relazioni umane all’interno dello spogliatoio. È quello che Klopp e il suo vice, Pep Lijnders, hanno chiesto all’inizio della stagione. I nuovi senatori – Van Dijk, Trent Alexander-Arnold, Robertson, Alisson, Salah – sono in contatto costante con Lijnders, su tutto, dai programmi di allenamento all’organizzazione dei viaggi per le trasferte, fino all’abbigliamento da indossare prima delle partite. C’è una componente di autogestione responsabilizzante nei risultati della squadra, un’idea molto lontana dalle rigidità militari e autoritarie di altri ambienti calcistici.

Solo uno staff tecnico che conosce l’ambiente, le persone, le storie e il vissuto del luogo e dei suoi protagonisti poteva rigenerare in questo modo, e fino a questo punto, il Liverpool decadente – forse già decaduto – dello scorso anno. Allora le vittorie di questa stagione si devono molto anche alla decisione della dirigenza di non separarsi da Klopp. L’insegnamento può valere per molti club in Premier League e in tutta Europa, dove una serie di risultati negativi fa scattare una frenesia che fa sembrare l’esonero la scelta migliore. Per rimanere in Inghilterra, la separazione tra Tuchel e il Chelsea – con il confortevole senno di poi – è stata quantomeno frettolosa. E già oggi, a 2024 appena iniziato, si parla di storie al capolinea tra Xavi e il Barcellona, o tra Luis Enrique e il Paris Saint-Germain. Forse è un po’ presto per entrambi.

A volte azzerare tutto e ripartire sembra la soluzione più facile, la più invitante, oltre che la più conveniente. Invece il Rinascimento del Liverpool ci dice che se i legami tra gli elementi più importanti di una squadra non sono davvero irrecuperabili, la persona più adatta a raddrizzare la situazione è quella che la situazione la conosce meglio. Certo, ancora adesso non mancano dubbi su questa stagione dei Reds nonostante gli ottimi risultati. Non da ultimo la capacità di questo gruppo di mantenere il livello di rendimento così alto fino a maggio – dall’altro lato, l’ultimo mese dell’Arsenal ci ricorda che basta poco per scivolare in classifica. Poi c’è un interrogativo sulla capacità di Klopp di colmare certi vuoti della rosa, quelli dettati dai tanti infortuni – Tsimikas, Robertson, Matip – e quelli preventivati, come l’assenza di Salah per la Coppa d’Africa. Però è anche vero che la prima parte della stagione è già passata e il Liverpool è in formissima, primo in classifica e candidato a vincere tutte le competizioni in cui gioca, Premier League compresa. È già qualcosa, è già tanto.