Siamo pronti a vedere Jannik Sinner al primo posto del tennis mondiale?

Dopo la Coppa Davis e le ATP Finals, ora c'è l’Australian Open: Jannik è pronto a prendersi tutto, noi italiani non riusciamo ancora a godercelo.

Ogni discorso di grandeur, quando riguarda l’Italia e l’italianità, è destinato a sciogliersi in una risata di ironia e consapevole imbarazzo. Su Twitter e Instagram, da qualche tempo, si è iniziato a raccogliere certi titoli di certi giornali che trovano “un po’ d’Italia” in ogni evento di una qualche rilevanza che accede intorno al mondo. Carlo è incoronato nuovo re? C’è anche un po’ d’Italia, scrive qualcuno, perché il vice pasticcere è materano. Viene lanciata una sonda spaziale che studierà le lune di Giove? C’è anche un po’ d’Italia, perché il camionista che ha trasportato il combustibile da qui a là è ferrarese. E così via. È anche questa, l’italianità. Essere orgogliosi, troppo, e in modo così sfacciato da risultare goffo, e tenero, oggi diremmo forse cringe. Quando siamo i primi in qualcosa – o quando siamo anche soltanto bravi – ci affatichiamo a difendere quella cosa come se fosse questione di vita o di morte. L’orgoglio regionale, la permalosità, i pilastri fondanti di questo nostro carattere fumantino di provincia: l’amatriciana, la pizza, il ragù.

Succede meno con le persone in carne e ossa, e chissà perché. Quelle e quelli che potrebbero veramente essere ambasciatori, e simboli, e miti, finiscono poi per dividere. Le discussioni sul guanciale e la panna non stancano mai, ma se Samantha Cristoforetti va una volta di troppo in prima serata, allora basta, ha rotto, cos’è questo protagonismo. Lo sport unisce e divide, qui, come da nessun’altra parte. Il perché è difficile da capire: l’Italia ha avuto campioni nel loro campo, universalmente riconosciuti, che hanno creato i rispettivi guelfi e ghibellini, come Roberto Baggio, e altri che hanno invece creato un amore universale, come Alberto Tomba, Deborah Compagnoni, Valentino Rossi, Federica Pellegrini. Forse c’entra il calcio, forse no.

Il caso di Jannik Sinner è nuovo e interessante sotto diversi punti di vista. Prima di tutto, lui le polemiche le ha già attirate. È successo quando, a settembre 2023, ha rinunciato alla convocazione in quel turno di Coppa Davis, che si giocava a Bologna. Era stanco, e aveva programmato obiettivi precisi che richiedevano turni rigidi di allenamenti e riposo in un momento estremamente fitto della stagione: «La scelta di non andare in Davis alla fine serviva a quello, la programmazione si fa in base agli obiettivi», ha spiegato. Il settimanale Sportweek, a quel rifiuto, aveva però dedicato una copertina. “Caso nazionale”, c’era scritto. Sinner, si leggeva, si sarebbe dovuto scusare. Delle scuse che sarebbero state come vincere uno Slam, dicevano. Poi però sono arrivate le ATP Finals di Torino, le vittorie contro Djokovic e Medvedev, la finale, e Jannik Sinner è tornato a essere coccolato ed esaltato.

Ma in questo Paese così schizofrenico, romantico, amatore, passionale e violento, siamo pronti ad avere a che fare con un connazionale che potrebbe, a partire dall’Australian Open del 2024, scalare le prime tre posizioni della classifica ATP? Non succederà in fretta, e non è detto che succederà, anche se è possibile, per quello che abbiamo visto nel corso di questo 2023. Sinner, attuale numero 4 al mondo, potrebbe sfruttare lo Slam australiano per avvicinarsi pericolosamente a Daniil Medvedev, mentre scrivo posizionato al numero 3. Per lui c’è da migliorare il risultato del 2023, un ottavo di finale perso contro Tsitsipas, e puntare magari la finale stessa. Le prime due posizioni sono inattaccabili, per il momento, perché sia Alcaraz che Djokovic sono troppo lontani, e l’Australia non basterà. Ma è comunque un torneo in cui si è trovato bene – nel 2022 erano arrivati anche i quarti di finale – e l’inerzia è dalla sua. A novembre 2023, poco dopo le ATP Finals, Alcaraz ha profetizzato: nel 2024 Sinner vincerà uno Slam.

Jannik Sinner è nato a San Candido, provincia di Bolzano, il 16 agosto 2001. Con il successo conquistato a Sofia nel 2020, a 19 anni e due mesi, è diventato il tennista italiano più giovane di sempre ad aver vinto un torneo nell’era Open (Francois Nel/Getty Images)

Che tipo di campione potrà essere per l’Italia, allora, Sinner? E soprattutto: come potranno accogliere, gli italiani, un eventuale connazionale numero uno al mondo? Sarebbe una stranezza, intanto, qualcosa a cui non sono, non siamo, abituati. Anzi, a ben vedere lo è già, una stranezza, perché Sinner è già il più forte tennista italiano di sempre – lo dicono i numeri, lo dicono i trofei, lo dice quella Davis di fine novembre che sembrava fossimo tornati negli anni Settanta. Strano, insomma, perché l’Italia non ce l’ha mai avuto un tennista da top 3 ATP. Panatta, che Jannik ha eguagliato, che la Davis l’aveva pure lui vinta nel 1976, si è fermato al quarto posto. Berrettini al sesto, Barazzutti al settimo, Fognini al nono e Bertolucci al dodicesimo. E quindi non sono, non siamo, abituati, a essere così protagonisti in questo sport più internazionale, così contrario al tipico carattere peninsulare. Lo si sente infatti dai palazzetti, che si riempiono di un entusiasmo inedito e a tratti fuori luogo, con i cori da stadio “olé olé olé olé Sinner Sinner” che sono risuonati brevemente prima del silenzio a Torino. Ma anche a Napoli, durante il primo 250 di sempre della città (arrivato per la rinuncia di Mosca, la guerra eccetera), quando è partito il truce ma autoironico “Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta” cantato al Maradona dai tifosi napoletani, e però anche uno “scemo, scemo” nei confronti del povero Sebastián Báez che giocava in quel momento contro Sonego. Sinner sembra avere un’attitudine perfetta per far arrabbiare “l’italiano”, che per comodità riassumeremo qui in un carattere solo, polemico, orgoglioso, permaloso. Sinner non risponde alle provocazioni, Sinner sembra non curarsi delle polemiche. Alle domande pretestuose dei giornalisti sulla stanchezza che l’aveva fatto rinunciare a quel turno di Coppa Davis, rispondeva educatamente ma senza essere scocciato, e con la doverosa premessa: «Non so se ho voglia di parlare di questo».

Poi va in campo, gioca, vince anche quella stessa Davis. Quando si tratta di togliersi i famosi sassolini dalla scarpa, anziché mimare il gesto della pastasciutta come qualcuno, lui ringrazia tutti. Il pubblico, i compagni, l’allenatore, Berrettini che è venuto a fare il tifo, e poi gli avversari che hanno onorato al meglio l’impegno. Fa dichiarazioni intelligenti nella loro semplicità, come quando ha detto: «È un piacere e un onore poter stare cinque ore su un campo da tennis, perché so di essere un privilegiato. Io posso vivere giocando a tennis mentre ci sono persone che non possono nemmeno permettersi una racchetta». Dopo la Davis, un piccolo miracolo che qualcuno ha segnalato su Twitter: nel giorno di Juventus-Inter, Sinner è riuscito a strappare la prima pagina (intera!) della Gazzetta dello Sport, un quotidiano capace di dedicare nemmeno mezza prima alla morte di Kobe Bryant perché il titolo principale era un “Ringhio riapre tutto” che celebrava la vittoria del Napoli sulla Juventus. Il bar sport, per una volta, non era calcistico: il novembre 2023 lo ricorderemo come il mese in cui Sinner ha fatto diventare l’Italia un Paese di tennisti, e infatti sui social si leggono già i fastidi delle rispettive fazioni. Quelli, puristi del Gioco, che si chiedono chi siano questi barbari appena arrivati con le loro sguaiate esultanze calcistiche. Quelli, infastiditi dalla nuova moda, che vorrebbero invece un Paese a trazione unicamente calcistica.

Ma Sinner non è un cartonato, non è un asceta e non è ingessato, e questo è importante, per poterlo dipingere e quindi amare a tutto tondo: come quando in un’intervista, dopo la vittoria contro la Serbia, ha parlato invece di quanto è forte a Fifa in coppia con Sonego, ridendo, e dicendo cose da ragazzo come: «A Fifa li portiamo a scuola tutti». E poi ha raccontato delle partite a burraco sempre con il team di Davis, che ricordano quella arci-italianità di Bearzot e Pertini sull’aereo che dalla Spagna riportava a casa, nel 1982, i campioni del mondo. Nei giorni della Davis è rispuntato su Twitter un video di Sinner ancora giovanissimo, che giocava contro Duckworth in un dimenticabile Open canadese. Il carneade urla per la centoventesima volta un fastidioso “come on!” dopo un brutto diritto a rete di Sinner. E l’italiano, in verità italianissimo, gli fa eco: «Ma che cazzo urli». Non facciamoci riconoscere, diciamo sempre di noi stessi all’estero, e sempre con molta preoccupazione. Quando il mondo lo gira Sinner, il pensiero sarà il contrario. Facciamo che pensino all’Italia come a un’emanazione di questo ragazzo intelligente, talentuoso, discreto, understated ma pur sempre italiano. Non siamo davvero così, ma sarebbe bello che qualcuno lo pensasse.

Da Undici n° 54