Il Giappone è diventato uno dei mercati più allettanti per i club europei?

In J-League c'è tanto talento (da raffinare) e si fanno affari a prezzi contenuti: come siamo arrivati a questo punto?

La Nazionale giapponese non è mai stata forte come in questo periodo storico. A dirlo sono tutti i risultati ottenuti negli ultimi anni. I meriti di questa fioritura vanno distribuiti in tante direzioni: in testa c’è Project DNA, un piano a lunghissimo termine – l’obiettivo dichiarato è vincere i Mondiali entro il 2092 – varato dalla Federcalcio giapponese per la crescita armonica del movimento, Ma anche l’Europa, intesa come corpus di club e competenze, ha giocato un ruolo importante. Lo spiega The Athletic in questo articolo, in cui viene raccontato come il mercato della J-League, il campionato di prima divisione giapponese, sia diventato uno dei più interessanti su scala globale. Anche per i club europei più prestigiosi.

Un passo fondamentale è stata l’acquisizione, da parte dell’imprenditore dell’e-commerce Keishi Kameyama, di un club belga: il Sint-Truiden Voetbalvereniging, o più semplicemente STVV, che milita nella Jupiler Pro League dal 2016. Gli investitori giapponesi hanno acquistato prima il 20% delle azioni, poi hanno preso il controllo dell’intera società. Così hanno iniziato a importare giovani talenti dalla J-League: i primi tre sono stati Tomiyasu, Endo e Kamada, che oggi fanno parte delle rose di Arsenal, Liverpool e Lazio. Un bel salto di qualità, non c’è che dire. La cosa singolare, però, sta nel fatto che il STVV non ha un team di osservatori che lavora sul campionato giapponese, ma «tiene rapporti costanti con allenatori e con la Federazione giapponese, che in qualche modo segnalano i migliori prodotti del calcio locale». Queste parole sono di Takayuki Tateishi, ex direttore sportivo del Tokyo FC e personaggio chiave nell’arrivo di Kameyama in Belgio.

Insomma, l’apertura di un canale diretto tra Giappone ed Europa ha portato frutti rigogliosi. Per tutti. È come se, a partire dal Sint-Truiden, diverse club e diversi direttori sportivi in tutta Europa si siano accorti di quanto sia valido il bacino di talento della J-League. Non a caso, viene da dire, la Nazionale giapponese si è presentata ai Mondiali 2022 con 20 calciatori appartenenti a società straniere, mentre ai Mondiali del 2010 erano soltanto quattro;se guardiamo ai convocati per la Coppa d’Asia 2024, addirittura undici elementi giocano nei cinque campionati europei più importanti.

Ovviamente la crescita del mercato giapponese è stata influenzata da un insieme di fattori, non solo dalla comparsa di una proprietà nipponica in Europa. Il primo aspetto è molto significativo e riguarda i soldi necessari per fare mercato: in J-League, gli stipendi e i prezzi dei cartellini sono piuttosto bassi, soprattutto rispetto ad altri campionati asiatici, per esempio la K-League sudcoreana. Il secondo, forse ancora più determinante, riguarda le modalità di scouting: oggi non c’è più bisogno di andare fisicamente in Giappone o in Corea per visionare un giocatore, ci sono piattaforme di video e dati che permettono di abbassare notevolmente i costi relativi agli osservatori. Di conseguenza, anche dei club senza grandi risorse possono fare dei buoni affari.

Certo, sulla bilancia vanno messe anche le profonde differenze – fisiche, tattiche, culturali – che esistono ancora tra il calcio europeo e quello giapponese. In questo senso, Tom Chambers – attuale capo del reclutamento al Molenbeek, squadra della prima divisione belga – ha spiegato a The Athletic che «la J-League è un campionato molto tecnico, però ha un ritmo più lento rispetto ai campionati europei: non ci sono lanci lunghi, ci sono meno contrasti, meno scatti e corse lunghe. Di conseguenza, la soluzione migliore per i giocatori giapponesi è il trasferimento in leghe di secondo livello, quella belga, quella polacca, in cui vivere un periodo di integrazione di 12-18 mesi. È così che alla fine riescono ad adattarsi bene al gioco intenso e verticale che si pratica nei grandi campionati europei».In questo senso, un caso di studio dal grande valore è quello di Postecoglou e del Celtic Glasgow: il manager australiano è arrivato in Scozia dopo aver vinto la J-League con gli Yokohama Marinos, e ha portato con sé i giapponesi Furuhashi, Hatate e Maeda, poi anche Ideguchi, Kobayashi e il sudcoreano Oh Hyeon-gyu. Tra questi solo Ideguchi non è riuscito a imporsi, infatti è tornato in Giappone, ma nel frattempo il Celtic di Postecoglou ha vinto cinque trofei in due stagioni, conquistando anche il Treble domestico nel 2022.

Come dire: i fatti dimostrano che i giocatori della J-League hanno tutto ciò che serve per fare bene anche nel calcio europeo. Se non subito, di certo in prospettiva. Ed è per questo che adesso, dopo aver constatato che c’è margine per fare profitti tecnici ed economici, i club europei stanno iniziando a scendere un po’ più in basso, a esaminare le parti inferiori della piramide calcistica giapponese. Nel caso di specie, non si tratta solo dei campionati inferiori e/o giovanili, ma anche di quelli universitari e liceali. I dati, in questo senso, sono abbastanza indicativi: nel 2022, il 60% dei nuovi giocatori aggregati alle squadre di J-League proveniva dai settori giovanili, ma il resto è arrivato direttamente da selezioni universitarie. E la maggior parte di questi ragazzi proveniva da una scuola superiore che disponeva di una squadra famosa. Anzi, a volte le squadre liceali hanno addirittura lo stesso seguito e lo stesso prestigio di quelle di J-League. In quanto espressione di una scuola, poi, queste squadre non prevedono costi importanti: chi vuole giocare a calcio ha tanto spazio per riuscirci, per imporsi, non ci sono barriere di sorta se non quelle del proprio talento e del proprio impegno. È sempre una buona idea, quando l’obiettivo è costruire un movimento solido, un mercato interessante per i club europei.