Il secondo tragico Mazzarri

Lo aspettavamo incazzatissimo, è stata invece un'esperienza mesta e rassegnata: il ritorno a Napoli di Mazzarri ha aggiunto altro caos alla pessima stagione degli azzurri.

Allora è vero che le epoche finiscono così: all’improvviso. Con l’accredito concesso al commissario tecnico della Nazionale slovacca per assistere all’ottavo di finale di Champions contro il Barcellona, e tutti attorno a te che fanno la faccia rassicurante e usano la voce conciliante. Ma no, ma figurati, ma che vai a pensare, ti ripetono tutti. Calzona lo hanno accreditato perché è l’allenatore della Slovacchia e deve vedere come se la cava Lobotka contro Pedri e Gavi. Ma tu non sei mica un ingenuo, anzi: questo ambiente lo conosci da trent’anni, sei un veterano, sai come funziona. Negli anni in cui non sei stato allenatore ti sei pure messo a fare il manager, hai messo su «ville di lusso che affitto a un target alto», volevi conoscere l’economia e infatti la conosci. Lo sai che funziona così: «New is always better», spiegava Barney Stinson in quell’episodio di How I Met Your Mother. E tu non solo sei il vecchio, sei pure il vecchio che ritorna. A stagione in corso. Pensandoci bene, forse non è vero che le epoche finiscono così all’improvviso.

Walter Mazzarri non è più l’allenatore del Napoli. Si potrebbe dire che questa seconda volta non lo è stato mai davvero. Un ottimista potrebbe dire che questo Napoli non ha mai smesso di essere la squadra di Spalletti, che una giustizia divina sta provvedendo a distribuire i torti e le ragioni, gli onori e gli oneri della stagione dello Scudetto (non che De Laurentiis stia prestando granché attenzione alla lezione che la giustizia divina sta provando a impartirgli). Un pessimista potrebbe dire che questo Napoli non ha mai smesso di essere la squadra di Rudi Garcia, che per certe malattie si deve usare per forza la cura da cavallo e di sicuro non basta il pannicello caldo. Un realista si limiterebbe a dire che questo Napoli è sempre e solo il prodotto – in tutti i sensi della parola – di Aurelio De Laurentiis e che Mazzarri è soltanto una vittima degli eventi. Come Garcia prima di lui e Spalletti prima ancora, ognuno vittima a suo modo ma sempre della stessa produzione FilmAuro. Dispiace perché è un amico, ha detto De Laurentiis a commento della decisione di esonerare Mazzarri. Poche cose sono più fredde e crudeli che ridurre lo stimato professionista al caro amico: nell’economia che anche Mazzarri ha imparato a conoscere, del primo si ha sempre bisogno e del secondo si può comunque fare a meno. E infatti.

È stata mesta, questa seconda volta di Mazzarri sulla panchina del Napoli. Non c’entrano niente i risultati, le medie punti e nessuno dei bilancini che usiamo per pesare le prestazioni di una squadra. Al suo arrivo/ritorno a Napoli, ci si aspettava – si pretendeva – che Mazzarri portasse con sé quell’energia specifica e particolare che negli anni lo ha reso più di un allenatore: il simbolo prima e il meme poi di una scuola del pallone italiano. Una scuola basata sulla polemica perenne, sulla recriminazione costante, sull’(auto)giustificazione infinita. Nella spirale depressiva in cui il Napoli si è ritrovato incastrato in questa stagione, si sperava che il ritorno di Mazzarri riportasse almeno quella vitalità, allo stesso tempo comica e antipatica, seriosa e surreale, che ne ha segnato i momenti migliori (narrativamente ma anche calcisticamente).

Arrivato a novembre, ce lo si aspettava incazzatissimo all’idea di dover rimettere in sesto una squadra sotto la minaccia costante della pioggia, il fenomeno atmosferico che da anni lo perseguita, trasformando in un pantano la via che altrimenti lo avrebbe da un pezzo condotto alla gloria. Ci aspettavamo ci raccontasse com’era andata la festa di compleanno di Osimhen e delle ricadute che quei bagordi avevano avuto sulle tenuta psicofisica della squadra. Alla fine del 2023, quando sembrava che tutto il Paese fosse a letto con l’influenza, con il Covid o con entrambe le cose, speravamo che Mazzarri ci raccontasse dell’epidemia anche nel suo spogliatoio e ci rivelasse a quale giocatore stavolta era toccata la diarrea. Come nella maggior parte dei meme che hanno accolto il suo ritorno a Napoli, lo volevamo come lo avevamo sempre visto in passato: sbracciante, paonazzo, urlante, impegnato nel disperato tentativo di accelerare il tempo – di recupero – picchiettando fortissimo con l’unghia dell’indice destro sul quadrante incrinato dell’orologio da polso.

Niente di tutto questo c’è stato. Il vuoto lo ha occupato la mestizia, la sensazione di arrendevolezza ha riempito la stanza sin dalla conferenza stampa di presentazione di Mazzarri e poi si è espansa ricoprendo tutto il Maradona e alla fine Napoli intera. Le parole che più spesso gli sono uscite di bocca durante le conferenze stampa pre e post partita sono state “vediamo”, “speriamo”, “probabilmente”: il vocabolario dell’incertezza. Se tutti sapevamo che Mazzarri pochissimo avrebbe potuto fare per risolvere i problemi del campo – ci ha messo del suo: la conversione al 4-3-3 è sempre parsa un fatto di conformismo più che di convinzione – speravamo che almeno aiutasse il Napoli a dare una forma utile alla tristezza, a elaborarla ed elevarla in rabbia, a impedire che marcisse e si decomponesse in frustrazione. Si può perdere, certo. Si può buttare una stagione, anche. Ma è importante in queste circostanze sapere con chi prendersela: con l’avversario, con l’arbitro, con gli eventi atmosferici, con i virus influenzali e intestinali, con il pessimo tempismo con cui i compleanni si intersecano con gli impegni lavorativi.

In fondo, da Mazzarri tutti si aspettavano questo e poco, forse nulla, più: che al Napoli insegnasse ancora una volta, tutto da capo, come maledire la sorte avversa, perché una stagione passata a maledire se stessi è troppo lunga, troppo dolorosa, troppo traumatizzante. Soprattutto per una squadra che viene da una stagione in cui ha imparato a bastare a se stessa, a essere indifferente a tutto ciò che avviene oltre i confini di un dominio da essa stessa stabilito. Alla fine, la cosa peggiore di questo secondo, tragico Mazzarri è che del suo passaggio sulla panchina del Napoli stavolta non è rimasto proprio nulla di memorabile: un gesto, una frase, una polemica, nulla di nulla. Lasciando Napoli per la seconda e, chissà, ultima volta, si è fermato un secondo a parlare con i giornalisti che lo aspettavano fuori dai cancelli di Castel Volturno, sperano almeno in un finale degno del personaggio. «Vi saluto tutti», ha detto Mazzarri, prima di ripartire frettolosamente. Forse maledicendo se stesso, l’unica cosa che ha avuto in comune con questo suo secondo, tragico Napoli.