Luis Muriel ha scelto la maglia numero nove anche all’Orlando City, la sua nuova squadra. Gasperini ha lasciato intendere che voleva giocare più di così e negli ultimi tempi, anche quando parlava di lui per esaltarne i pregi, ha sempre rimarcato il suo bisogno di star bene fisicamente per rendere: “A volte è discontinuo e stanco, ma se è a posto e sorridente rimane un giocatore dotato di colpi incredibili”. In Florida, lo Stato con la più grande comunità di colombiani degli USA, è arrivato come designated player, ovvero uno dei tre giocatori che una squadra di MLS può permettersi di pagare oltre il tetto salariale. Tutto, anche il fatto che lo abbia scelto un allenatore colombiano, sembra suggerire che Lucho sarà l’uomo franchigia del suo nuovo club. In Italia, l’addio di Muriel non ha avuto grande risonanza, e in un certo senso è anche comprensibile: quest’anno ha accumulato molte presenze, quasi sempre da subentrato, ma tutto sommato non è più considerato un giocatore indispensabile per l’Atalanta, che in estate ha speso molti soldi per costruire un reparto offensivo giovane e di livello. Muriel è arrivato in Italia nel 2011, al Lecce, e ci è rimasto fino ad oggi, con un solo anno e mezzo di pausa all’estero: ha attraversato tredici anni di Serie A e ne ha fatto parte dell’arredo come un soprammobile esotico e sgargiante.
Cinque anni fa, su Undici, ci chiedevamo se avesse ancora senso pensare alla sua carriera come un bicchiere mezzo vuoto e continuare a valutarlo e raccontarlo per quello che non è stato: in quel momento aveva quasi ventotto anni, giocava nella Fiorentina e si era appena presentato mostrando il meglio di sé, in uno dei tanti picchi di meraviglia che quasi sempre, nella sua storia, sono stati seguiti da abissi di delusione. Parliamo di un calciatore che fino a quel momento si era perso praticamente ovunque, che tende facilmente ad ingrassare – lui lo nega, pensa sia un’etichetta – e a cui allo stesso tempo si impone come termine di paragone uno dei più forti attaccanti che il mondo abbia mai visto: avevamo, forse abbiamo ancora bisogno di riconciliarci con lui, di trovare un punto intermedio, un compromesso tra quello che ci dà e quello che ci aspettiamo da lui. Da quel momento a oggi, Luis Fernando Muriel si è compiuto. Certo, è stato un compimento tardivo, arrivato alla soglia dei trent’anni, e non nel modo che ci aspettavamo quando ne aveva venti e si inventava i primi gol stupendi in Italia; di fatto Muriel se ne va senza mai aver vestito la maglia di una delle squadre più tifate del Paese, né di una grande squadra europea, e i suoi migliori anni li ha vissuti da dodicesimo micidiale all’Atalanta.
Per due stagioni, dal 2019 al 2021 è stato uno dei giocatori più determinanti del campionato, sicuramente il più impattante dalla panchina, segnando 18 e 22 gol con una media irreale di reti ogni 90′: non sarà diventato Ronaldo, ma è molto più di ciò che chiunque, in quel momento, si aspettasse da lui. Se è accaduto, è stato grazie a Gian Piero Gasperini che, a proposito di eredità, ne ha lasciata alla Serie A una preziosissima: aver squarciato il velo di scetticismo che ricopriva certi calciatori, Muriel compreso, dando vita a cose che prima esistevano solo nella fantasia degli ingenui. Papu Gómez aveva perso tempo sul più bello in Ucraina, lui lo ha rimesso sulla mappa e lo ha trasformato in uno dei migliori rifinitori d’Europa. In Josip Iličić come calciatore decisivo non credeva più nessuno: con lui ha dominato in Champions League. Un conto è valorizzare calciatori modesti con un sistema che premia l’aggressività dei centrali, che non chiede chissà quali doti di regia ai suoi mediani, che sfrutta al massimo la brutalità fisica dei suoi quinti, più che pretendere qualità; un altro è trasformare Luis Fernando Muriel in una punta da più di venti gol a stagione, dopo una carriera di tentativi frustrati. Anche con lui, Gasperini ha dimostrato un intuito speciale, riuscendo a liberarlo da ogni compito ingombrante, paradossalmente anche dal compito minimo che si chiede a un calciatore, quello di essere presente e costante per tutti i novanta minuti, che ha eluso trattandolo come un giocatore decisivo ma non inamovibile come gli altri.
Oggi che Muriel ha lasciato la Serie A in maniera probabilmente definitiva, viene da chiedersi se quei due anni di continuità cambieranno la percezione che avremo di lui tra dieci anni. Fa un po’ male ammetterlo, ma forse no: è un picco di rendimento che un calciatore tacciato – a volte anche da se stesso – di pigrizia ed eccessiva emotività può esibire con orgoglio e un po’ di rivalsa, ma forse cristallizza fin troppo bene la proporzione tra il bagliore accecante del suo calcio e tutto il resto, che non è stato all’altezza delle sue possibilità per gran parte della carriera. Quello che ci rimarrà tra dieci anni di Luis Muriel non è nulla che rientri nel campo semantico del successo o dell’efficienza, ma è il modo in cui ci ha fatto divertire. Anche nei suoi momenti peggiori, anche in mezzo a calciatori considerati più forti o più affermati, ha sempre dato l’impressione di poter produrre con un controllo d’esterno, una finta di bacino, o uno dei suoi tiri puliti e violenti, che gonfiano la rete in modo scenografico e rotondo, come nei cartoni animati, un momento di bellezza solo e soltanto suo. Quando c’è Muriel in campo, abbiamo sempre la sensazione che possa succedere qualcosa, come se piovesse dal nulla e non dipendesse dalle circostanze della partita.
Non è un caso che quest’anno, quando ha avuto modo di giocare in campionato per compensare le assenze di un reparto molto più costoso, futuribile e – se in salute – fisicamente più in forma di lui, abbia segnato due soli gol, ma meravigliosi. L’ultimo lo ha fatto alla Salernitana, trovando l’incrocio da fuori area con una botta di collo esterno al volo. Il primo è lo straordinario colpo di tacco segnato contro il Milan, il gol che forse ci restituisce meglio di tutti un ritratto di cosa sia Luis Muriel, e di quanto porti con sé un’aura, un modo magnetico di giocare a pallone e una nobiltà che non hanno nulla a che vedere con la sua carriera. È un gol difficilissimo da fare, perché nasce da un controllo morbido con la suola, ma prima ancora da pensare, e infatti probabilmente Muriel nemmeno ha pensato, perché il tempo che intercorre tra stop e tacco è troppo esiguo, e se lo avesse fatto forse se la sarebbe portata sul destro per calciare sul primo palo. Ma soprattutto è un gol che non può essere valutato per quanto sia stato difficile eseguirlo o lo sia riprodurlo, è un gol che va lasciato nel suo contesto: quello del finale di una partita in parità contro una squadra di vertice, un momento in cui la maggioranza degli altri calciatori – ancora una volta, anche più forti e affermati di lui – avrebbe cercato la soluzione più semplice, e un gol del genere non lo avrebbe tentato nemmeno in circostanze molto più sicure. Muriel ci ha provato a vincere una partita all’ultima palla e ci è riuscito, come se fosse una cosa naturale. “Un mio vecchio allenatore mi diceva sempre di divertirmi, con responsabilità. Sono cresciuto con questo motto. Se mi diverto in campo, si divertono anche i tifosi” ha detto in un’intervista di nove anni fa, appena arrivato alla Sampdoria.
Luis Fernando Muriel non sarà stato uno di quei giocatori la cui presenza o assenza determina l’arricchimento o l’impoverimento di un campionato, ma è senza dubbio parte di quella ristretta cerchia di calciatori in grado di trascendere con una giocata il senso di una partita, di manipolarla e indirizzarla secondo la propria volontà, fosse anche solo per un secondo o per un solo pallone. Il suo tocco di velluto, morbido e febbrile in conduzione, la potenza basculante con cui accelera e si ferma, la facilità con cui calcia forte e preciso da qualsiasi posizione, l’istinto che sembra sempre guidarlo, non sono bastati a regalarci un campione come speravamo, ma ci hanno dato un giocatore di culto, che ha costellato di piccole cose bellissime l’ultimo decennio del nostro campionato e questo è qualcosa che non dobbiamo dare per scontato. Senza Luis Muriel la Serie A non sarà un campionato più debole, ma di sicuro sarà un po’ meno divertente.