Tra i tantissimi misteri che sfuggono alla comprensione umana, uno di quelli che mi affascina di più sono le anguille. Sono millenni che ci chiediamo da dove vengono le anguille, senza trovare una risposta: gli egizi credevano che venissero create dalle acque sacre del Nilo appositamente riscaldate dal dio Ra attraverso i raggi del sole; Aristotele pensava che le anguille “emergessero” dal fango, fossero una personificazione dell’elemento della terra e di quello dell’acqua. Per decenni gli zoologi si sono chiesti da dove venissero le anguille e come diventassero tali – nel loro ciclo vitale attraversano stadi evolutivi tali e tanti che fino a pochissimo tempo fa pensavamo che ognuno di questi stadi evolutivi fosse un animale a se stante – perché passano la loro vita nelle acque dolci dei fiumi per poi migrare improvvisamente, in massa, verso quella zona del Mar dei Sargassi conosciuta come Triangolo delle Bermuda, per riprodursi una volta soltanto e poi morire (questa informazione siamo riusciti a confermarla solo nel 2022). A oggi, non abbiamo mai osservato l’accoppiamento delle anguille in natura, non abbiamo mai trovato uova e non siamo sicuri delle modalità di riproduzione sessuata che la specie utilizza per perpetuarsi.
Nel calcio esiste un equivalente del mistero della riproduzione delle anguille ed è il sorriso di Davide Ballardini: siamo sicuri che esista, deve esistere per forza, ma non lo abbiamo mai visto in natura né osservato in laboratorio. Alla notizia che sarebbe stato lui a sostituire Dionisi sulla panchina del Sassuolo, sono immediatamente andato a seguire la conferenza stampa di presentazione e ho studiato approfonditamente le fotografie diffuse dal club a corredo dell’evento. Ballardini non sorride mai, in queste fotografie. Ballardini non sorride mai, in questa conferenza stampa. Al che mi sono chiesto: ma Ballardini ha mai sorriso?
È vero, la sua carriera è stata lunga e accidentata, piena di subentri a stagione in corso in cui gli si chiedeva di compiere miracoli – che in certi casi ha pure compiuto – e di esoneri con i quali ha scontato colpe che non sempre erano tutte e solo sue. Ma in vent’anni di mestiere si è pure tolto delle soddisfazioni: ha vinto una Supercoppa italiana con la Lazio, per esempio. Ha salvato il Genoa e il Cagliari, pure. Ha vinto la causa legale intentata contro il Cagliari, che nel 2012 aveva licenziato lui e tutto il suo staff per giusta causa. Ha avuto i suoi momenti, Ballardini. “Perché ora non ridi”, si chiedeva Andrea Lo Vecchio – autore anche di “Luci a San Siro” di Roberto Vecchioni – in un singolo del 1969. Perché ora non ridi, Ballardini.
Perché mi si è rotto definitivamente Berardi alla mia prima partita sulla panchina del Sassuolo, potrebbe rispondere Ballardini. È sfortunato e questo lo sappiamo, nella sua carriera il privilegio di fare le cose facili non gli è mai stato concesso. Sarebbe comprensibile se Ballardini avesse fatto al faccia incazzata alla fine della partita contro il Verona, scontro salvezza perso 1-0, sconfitta aggravata dall’infortunio di Berardi di cui sopra. Il fatto però è che Ballardini è arrivato a Sassuolo già con la faccia incazzata. Che è la stessa faccia che gli abbiamo visto portare in qualsiasi precedente circostanza della sua carriera, che si trattasse di arrivare o di andarsene, che si trattasse di alzare alta la Supercoppa italiana al Nido d’uccello di Pechino o di rimettere in ordine i documenti necessari a dimostrare al giudice del lavoro che lui, Ballardini, aveva ragione e che l’altro, Cellino, aveva torto. E non che l’allenatore non sia capace di espressioni che mostrino la varietà e complessità dell’umano spettro emotivo: quando è arrabbiato lo si capisce benissimo, quando è esasperato pure, quando è deluso anche, e così via. Ma allora perché ora non ridi, Ballardini.
Un altro allenatore sarebbe stato entusiasta di aver trovato ancora una volta una panchina in Serie A. All’arrivo nella nuova città, all’esordio con il nuovo club, avrebbe mostrato tutti i segni esteriori dell’entusiasmo pur bilanciandoli con la cautela e la gravità che si devono in una situazione seria – «Perché sei così serio», però – come quella del Sassuolo. Ballardini no, invece. Le foto scattate per presentarlo a squadra, tifosi e città di Sassuolo mostrano una figura la cui espressione costituisce un enigma al confronto del quale quello del sorriso della Gioconda è un rompicapo per l’infanzia (almeno siamo tutti d’accordo che la Gioconda sta evidentemente sorridendo). Maglione marrone scuro con collo a v, maglietta della salute bianca, barba corta e curata, occhi fissi al centro dell’obiettivo. In una delle due foto con le quali Ballardini si è presentato nella sua nuova casa, tiene tra le mani una sciarpa del Sassuolo. C’è un che di disturbante nella sua posa, nelle linee sghembe tracciate dalle sue braccia, nell’asimmetria dell’immagine tutta: perché non tiene la sciarpa tesa come la terrebbe qualsiasi altro essere umano? E poi lo sfondo: dietro di lui un campo d’allenamento vuoto, la linea dell’orizzonte bucherellata dalle estremità appuntite dei rami secchi, una nebbia da brughiera che sembra un umore salito dal sottosuolo o l’espirato di un gigante nascosto chissà dove nella pianura padana (forse dietro quegli alberi sullo sfondo, chissà).
E poi un’altra foto: stesso outfit ma stavolta lo scatto è stato eseguito al chiuso, a giudicare dall’ambiente Ballardini è stato condotto in una sorta di dungeon sotterraneo che la società Sassuolo ha puntellato di fari fendinebbia per chissà quale ragione ritenuti adatti all’illuminazione di un set fotografico. Sullo sfondo – nero di quel nero che spesso si vede nella fotografia ritrattistica americana, quella delle foto di famiglia e degli annuari scolastici – un’enorme concessione all’araldica societaria. In primo piano, al centro dell’inquadratura, Ballardini: braccia incrociate, sopracciglio sinistro leggermente sollevato in quello che è probabilmente un omaggio a Carlo Ancelotti, labbro superiore incollato a quello inferiore, bocca che traccia una retta nella quale è impossibile scorgere una qualsiasi delle emozioni che associamo alla vicenda umana. Cosa sta succedendo? Cosa sta pensando Ballardini? Il disagio che si prova a guardare queste immagini è dato dal fatto che gli mancano gli accessori caratteristici, il cappellino con la visiera e gli occhiali da sole sfumati? «Sensazioni positive», ha detto nella conferenza stampa di presentazione, alla fine della quale si è prestato ad altri scatti, questa volta bardato con la divisa da allenamento del Sassuolo, la sciarpa neroverde tenuta finalmente dritta ma solo grazie all’ausilio dell’amministratore delegato Carnevali, si vede intervenuto preventivamente a correggere le storture – letterali – che può correggere.
Davide Ballardini è un uomo serio al limite del serioso, che è un pregio immenso in un’epoca in cui ogni cosa è avvolta in talmente tanti strati di supposta ironia che ormai ci è impossibile capire il mondo. Spero che se leggerà questo pezzo, nel privato dello schermo del suo telefono o del suo pc, si faccia una risata. O almeno accenni un sorriso. Salvare il Sassuolo a questo punto è impresa difficilissima: io gli auguro di riuscirci, anche solo per il desiderio fortissimo che provo di vederlo almeno accennare un sorriso, magari ridere di gusto. Almeno così, l’umanità avrà risolto uno dei misteri di questo mondo. Dopodiché potremo tornare a concentrarci sulle anguille.