Il corpo di Michael Folorunsho è costruito per distruggere la Serie A

Un ammasso di spigoli e potenza che lo ha reso uno dei protagonisti del nostro campionato. E ora anche in Nazionale.

Michael Folorunsho trasmette allegria. Ne trasmette sul campo, per mezzo di giocate potenti che ci sorprendono – vedi i magnifici gol segnati contro Juventus e Roma – e per mezzo di giocate che ci rassicurano, per esempio quando recupera il pallone spostando l’avversario con forza. Ne trasmette fuori dal campo, dove il sorriso bonaccione e l’espressione furba, un po’ da impunito, creano un buffo contrasto con il cingolato che si ritrova come corpo. Un corpo duro, fatto a spigoli, con il quale i dati sulla sua pagina Wikipedia non sembrano in pari, visto che parlano di un giocatore alto 1,85 e pesante solo 78 chili quando in realtà Folorunsho è alto 1,90 e pesa oltre 90 chili.

La discrepanza andrebbe corretta, perché il calcio moderno e il pubblico sembrano nutrire un certo feticismo per i giocatori grossi. Folorunsho appartiene a questa categoria, ma in relazione alla sua mole è anche piuttosto rapido e abile nella conduzione della palla, specie quando ha modo di guidare le transizioni in campo aperto. C’è questa azione con la maglia del Bari che all’epoca mi fece domandare perché un giovane del genere non giocasse stabilmente in Serie A. Si vede Folorunsho intercettare un passaggio, scambiare con un compagno e fare una grande apertura verso Cheddira; l’attaccante marocchino punta l’uomo, entra in area di rigore e poi scarica il pallone; dall’angolo dello schermo ricompare di nuovo Folorunsho, che con un destro poderoso schianta la sfera sotto il sette.

Un gran gol, non c’è che dire

Questa, come le reti più recenti, ci dice quanto il tiro dalla distanza sia tra i gesti che maggiormente definiscono il suo repertorio offensivo, fondato su un’intensità fisica alla quale abbina una certa aggressività, una forte predisposizione alla lotta: tutte qualità che lo rendono un giocatore versatile. Ma solo grazie alle idee e al lavoro del suo attuale allenatore, Marco Baroni, incrociato già nell’esperienza alla Reggina, Folorunsho ha iniziato a variare ed evolvere il suo raggio d’azione. Oltre a schierarlo in zone diverse del centrocampo, Baroni gli ha affidato anche compiti da boa offensiva: è successo quando lo ha impiegato sulla trequarti, o comunque a ridosso della prima punta. In questo contesto tattico, Folorunsho ha dimostrato una notevole propensione al sacrificio e al gioco spalle alla porta, risultando così, anche grazie alle reti segnate, uno dei pochi elementi positivi all’interno della stagione complicatissima dell’Hellas Verona, squadra dalla rosa sbaraccata durante il mercato di gennaio e il cui direttivo societario è indagato dalla Guardia di Finanza.

Le sue prestazioni, per quanto talvolta vengano risucchiate dalle difficoltà del collettivo, sono sostenute da cifre importanti – quattro gol finora e un gran numero di duelli aerei vinti, che restituiscono l’idea dei suoi mezzi fisici e della sua tenacia – e da uno spirito che gli permetterebbe di reggere bene l’urto di un passaggio in una squadra più ambiziosa. Oppure, perché no, Folorunsho potrebbe assorbire anche inserimento in pianta stabile nelle rotazioni del Napoli, club proprietario del suo cartellino, già a partire dal prossimo anno.

L’indole focosa e una certa sicurezza nei propri mezzi non gli mancavano neanche ai tempi in cui era solo un giocatore della Lazio Primavera: c’è un’intervista stile Iene di quel periodo nella quale lui e un suo compagno fanno venir fuori quella romanità che, vuoi o non vuoi, suscita sempre un po’ di simpatia. Tra una risposta scanzonata e l’altra, Folorunsho si definisce «una bestia». E oggi, vedendolo in campo, trasmette la stessa forza di un predatore. Del resto, oltre a saper eseguire egregiamente entrambe le fasi, Folorunsho ha dalla sua un potenziale offensivo che, se coltivato, potrebbe rivelarsi estremamente interessante. Sebbene abbia già 26 anni, e magari avremmo dovuto accorgerci prima delle sue potenzialità, non è ancora troppo tardi perché il suo gioco possa evolvere ancora: in fondo la predisposizione a segnare con movimenti da punta, a trovare gol da attaccante vero, è nelle sue corde. Basta osservare questo gol segnato con la maglia della Reggina, in scivolata, sfruttando la corta respinta del portiere. O questo, dove va ad aggredire l’estremo difensore avversaria al punto da costringerlo all’errore: 

Saggio breve: credere nel pressing

Folorunsho si sta finalmente conquistando lo spazio che gli serviva per mettersi in luce, lo sta facendo in Serie A, ed è una cosa molto bella già così. Ma ora è arrivata anche la convocazione in Nazionale: un evento che, se messo accanto alla sua versatilità tattica, dovrebbe smuovere qualche domanda all’interno del Napoli, società che quest’estate ha preferito virare su altri calciatori invece di concedergli un’occasione dopo una lunga girandola di prestiti. Forse avrebbe potuto essere il backup giusto per Anguissa, forse avrebbe potuto dare stabilità e profondità al centrocampo degli azzurri partenopei.

Con gli altri Azzurri, invece, Folorunsho potrebbe occupare il ruolo di mezzala – soprattutto qualora Spalletti scegliesse di utilizzare il 4-3-3. Oppure, tenendo conto dei suoi limiti in fase di fraseggio e della sua trasformazione in trequartista di rottura, potrebbe essere impiegato dietro la punta, fungendo da riferimento offensivo. Di certo, dopo una lunga gavetta, questi sono dei bei problemi per Folorunsho, scopertosi a poco a poco centrocampista di sacrificio, pretoriano versatile, valore offensivo aggiunto. Molto più di un’arma speciale da giocare a partita in corso, come talvolta è stato utilizzato nelle serie minori. La sua carriera, iniziata nei campetti romani dove ha avuto modo di farsi le ossa giocando e prendendo botte dai ragazzini più grandi, ci racconta di un ragazzo chiamato a maturare ogni anno, per emergere. Come? Limando il carattere e gli aspetti di una personalità troppo irruente, figlia della giovinezza. Migliorando la propria tecnica di base, costantemente sfidata dall’alzarsi dell’asticella. Adattandosi ai compiti tattici che cambiavano ogni anno, assieme alla maglia che vestiva e all’allenatore che incontrava. A tutto questo, Folorunsho ha sempre risposto presente. E alla fine si è conquistato la sua occasione in Serie A.

Nella massima serie, quest’anno, oltre a trovare un’inattesa dimensione da leader emotivo e tecnico, ha dovuto fare i conti con alcuni dei suoi limiti, come la gestione della palla in fase di costruzione: talvolta Folorunsho sembra ancora non avere la giusta dose di pazienza, quando si tratta d’impostare; forse perché è un giocatore sempre propenso alla verticalità, in ogni sua forma. Il suo è un tipo di calcio che verte sullo scontro, sul duello individuale. Meglio ancora se da giocarsi in aria, dove può far valere i suoi centimetri. Oppure, come già accennato, in transizione, dove può sfruttare le sue leve lunghe per mangiarsi il campo.

Non sappiamo dove sarà il Verona l’anno prossimo, ma di certo Folorunsho sarà ancora in Serie A. A sgroppare tra il centro e la trequarti, oppure là davanti, a fare a sportellate, a lasciarsi andare in esultanze un po’ impostate, un po’ tamarre. Sempre con in viso l’espressione distesa, solare, guascona. E l’allegria. Quell’allegria che viene fuori dalla sua durezza come un diamante dopo il processo di sintesi della grafite. Un’allegria che fuoriesce dai suoi spigoli. L’allegria di chi ce l’ha fatta e lo sapeva che ce l’avrebbe fatta, ad arrivare a giocare tra i grandi. E allora perché fermarsi, a questo punto?