La Patrick Mouratoglou Academy costruisce l’élite del tennis, in tutti i sensi

Reportage dalla scuola di tennis più bella e costosa d'Europa.

A soli venti minuti dalle modaiole vie di Cannes, passando tra le affascinanti ville in pietra di Mougins, si trova quella che è stata definita la migliore accademia di tennis del mondo. La Mouratoglou Tennis Academy, inaugurata nel 2016, conta 34 campi da tennis, 26 all’aperto divisi equamente tra cemento e terra e otto campi indoor. E inoltre ci sono tre diverse piscine all’aperto, una di queste a forma di racchetta, un ristorante raffinato, una caffetteria, una mensa, una zona trattamenti con piscina al coperto, quattro campi da padel, una pista di atterraggio per l’elicottero, un centro medico e un negozio dove acquistare souvenir o vestiti da tennis. All’interno ci sono due strutture dove gli ospiti possono scegliere di dormire: da un lato il resort di lusso a quattro stelle, dall’altro un residence con semplici alloggi.

Quando arrivo, il cancello dell’accademia è aperto. Mentre scarico i bagagli, sono le 19 e 30 di venerdì e diverse persone con le scarpe sporche di terra rossa e le sacche da tennis in spalla stanno lasciando la struttura. Mi salutano come se mi conoscessero, forse, perché una cosa in comune ce l’abbiamo già. La prima “M” di Mouratoglou che vedo è quella sullo zerbino davanti alle porte di vetro scorrevoli, ed è la prima, di una lunghissima serie. Entro nella hall elegante del resort e, mentre aspetto il mio turno per fare il check-in, guardo il video di presentazione sul maxischermo posizionato dietro al desk, dove Patrick Mouratoglou mi dà il benvenuto. Patrick Jean André Mouratoglou è francese, di chiare origine greche, ed è lo storico allenatore di Serena Williams, con la quale ha vinto dieci slam. Resto convinta del fatto che se, non fosse diventato “The Coach” nella vita (e un imprenditore di successo), probabilmente sarebbe stato un attore di Hollywood: fisico asciutto, barba incolta, occhi turchesi, sorriso smagliante. Insomma, ha 54 anni portati molto più che dignitosamente. Oggi è l’allenatore del giovane danese, Holger Rune, ma negli anni è stato anche all’angolo di Simona Halep, Coco Gauff e Stefanos Tsitsipas.

Dopo aver completato il check-in, mi chiedono se gradisco cenare al ristorante “l’Emblème” e nel caso, mi consigliano di non tardare: la cucina chiude alle 21. La mia confortevole e costosa camera d’hotel è la numero 237, al secondo e ultimo piano del resort. Dal terrazzino vedo il parcheggio dove ho lasciato la macchina e dei piccoli robot elettrici che fanno avanti a indietro sul prato perfetto intorno alla struttura. Provo ad accendere la televisione, certa di trovare una partita di tennis; invece, trovo solamente i normali canali francesi. Nel corridoio che conduce al ristorante, ci sono numerose foto di Williams inginocchiata, felice, qualche foto recente di Coco Gauff e Holger Rune. Ogni vittoria è parte della struttura, ogni metro del resort è un capitolo della storia del tennis.

Il cibo è caro ma ottimo e le porzioni sono degne di gente sportiva che ha bisogno di ricaricarsi. Anche se, tra i tavoli, non tutti gli ospiti hanno l’aria di essere lì per uno stage di tennis. Alle 22 e 30 di venerdì sera esco fuori dal ristorante, nel giardino. L’unico rumore che sento è il fortissimo gracidare di un mucchio di rane, tutti gli ospiti sono già nelle loro stanze. Decido di fare due passi tra alcuni campi ancora illuminati dove incontro Ivan, un ragazzino russo di 11 anni con il fiatone: «Sto giocando a nascondino», mi dice. Ivan vive nel campus, dorme nel residence dell’accademia alla nostra sinistra e sogna di diventare un top player. Mentre parliamo, una voce al megafono annuncia che manca un quarto d’ora al coprifuoco del residence. Con la stessa velocità con cui è comparso, Ivan sparisce tra i campi.

Tra la cena e la colazione capisco che “The Coach” non è nel resort come pensavo. La sensazione però, è quella di essere a casa sua. In ogni sala, ci sono numerose fotografie di Patrick Mouratoglou, anche a fianco di giocatori che non ha mai allenato – per esempio Novak Djokovic. Ogni oggetto ha la sua M stampata sopra: dai bicchieri ai sottobottiglia, persino al buffet dei dolci le cialde decorative fatte di zucchero sono a forma di M. Curioso – o forse no – che tutto questo celebri una persona che, come Mouratoglou da giovane, soffriva di una timidezza quasi patologica.

Seguo le istruzioni ricevute via mail e alle 9:30 di sabato mattina mi presento alla segreteria dell’Academy per iniziare il corso intensivo di due giorni che ho scelto (e pagato a caro prezzo). Sono previsti trenta minuti di riscaldamento su un campetto in erba sintetica e due ore di tennis in gruppo col maestro. Un belloccio con l’accento francese ci dà il benvenuto e ci consegna una borsa di tela, dove dentro troviamo maglietta, cappellino, asciugamano e un enorme portachiavi. Tutto rigorosamente logato. Dopo averci comunicato che il preparatore atletico arriverà alle 9:55, noto che sta aprendo il negozio di fronte alla segreteria. Un’altra ottima strategia di marketing.

Dalle 10 alle 10:30 ci aspetta un intenso riscaldamento fatto di variazioni, scatti e circonduzioni. In seguito, veniamo accompagnati al “meeting point” dove possiamo rifornire le nostre borracce con acqua fresca. Un maestro ci divide in piccoli gruppi da tre o quattro persone, a seconda del livello di tennis dichiarato durante l’iscrizione e ci assegna il nostro coach del week-end. Mi dirigo al campo 26 insieme a una ragazza italiana poco più grande di me, una neozelandese over 60 di nome Amanda (ex professionista) e il nostro maestro: Philippe. Lui vive a Nizza, e ogni giorno da oltre sette anni, percorre mezz’ora di macchina per insegnare tennis nel «posto più bello del mondo».

L’Academy occupa una superficie complessiva di 12 ettari nel territorio comunale di Biot, 10mila abitanti a 25 minuti di macchina da Cannes (Nicolas Tucat/AFP via Getty Images)

Nel campo di fianco, c’è il marito di Amanda, un uomo vicino alla settantina con il golf bianco e lo stemma ricamato del Queen’s Club, di cui è socio. Dopo il weekend, andranno a Monte Carlo a godersi il torneo, sorseggiando il loro cocktail preferito sulla terrazza del circolo. Prima il dovere, poi il piacere. Alex, il presidente della nota applicazione Calm, scaricata su oltre 100 milioni di smartphone, gioca su un altro campo insieme a due ragazzi. Dall’altra parte invece, c’è una ragazza alle prime armi che cerca di imparare il servizio. Due ore di tennis dopo, con il viso paonazzo e qualche migliaio di colpi nelle braccia siamo liberi di andare. «L’altro giorno è venuto ad allenarsi Medvedev, oggi forse dovrebbe venire Bublik», mi dice Philippe, invitandomi a tenere gli occhi ben aperti.

Mentre passiamo tra i campi, però, penso che la scoperta più bella della Mouratoglou Academy sia la diversità e come questa riesca ad unire e ad arricchire (in tutti i sensi) la collettività. Vedo un bambino che palleggia insieme al padre, due ragazzi di dieci anni che allenano i punti sotto lo sguardo vigile del loro maestro, due signore con gli occhiali da sole che provano a palleggiare da metà campo. Qualche metro più avanti c’è una leggera calca, mi dicono che quel ragazzo in campo, un giorno, potrei rivederlo in televisione.

Entro nel centro benessere per prepararmi al percorso “vasche ghiacciate” e nello spogliatoio noto sedie e panche in velluto, oltre agli specchi con cornici dorate. Una ragazza mi accompagna nella stanza delle vasche, mentre passiamo di fianco al corso di acqua gym nella piscina al coperto. Per dieci minuti alterno un minuto nell’acqua a dieci gradi e un minuto nell’acqua a 36 gradi: una vera e propria tortura. «Tutti i professionisti che vengono qui lo fanno, anzi alcuni restano 10 minuti solo nell’acqua gelida. L’unico che non lo fa mai è Medvede», mi comunica la ragazza prima di salutarmi.

Torno nel dehors del bar dove viene servita la mensa,  una valida alternativa al costoso ristorante. Nel tavolo di fianco a me, c’è seduto Marian Vajda, l’allenatore slovacco con il quale Novak Djokovic ha lavorato 15 anni e vinto 85 titoli. Mi presento e, dopo una breve introduzione, gli chiedo che cosa lo porta lì: «Ho creato un’organizzazione non profit a Bratislava per aiutare i ragazzi talentuosi dai 10 ai 15 anni. Sono qui con alcuni di loro, devono prepararsi ai prossimi tornei in Europa». Bratislava dista 1,258 km dal posto in cui stiamo parlando in quel momento e in Europa ci sono diverse altre rinomate accademie. «Questa è senza dubbio la migliore», continua Vajda. «tutte le utenze necessarie sono vicine, i ragazzi potrebbero non uscire mai di qui e avere sempre tutto quello che gli occorre. Possiamo controllarli facilmente. Inoltre, il clima qui è perfetto per l’allenamento, la posizione è strategica per girare nei tornei e la qualità dei servizi è insuperabile, anche per noi maestri». Vajda mi racconta che, dopo tanti anni trascorsi a viaggiare in giro per il mondo al fianco di Djokovic, sottoposto a innumerevoli e costanti pressioni, aveva bisogno di nuovi stimoli: «Ormai ho quasi 60 anni, questo progetto mi permette di stare anche a casa, vicino alla mia famiglia e allo stesso tempo, riesco a fare quello che mi piace. L’insegnamento non è solo per i ragazzi, la nostra organizzazione forma anche nuovi maestri». Uno di loro lo raggiunge al tavolo.  «E tu perché sei qui?», mi chiede Vajda prima di andare. Con un velo di imbarazzo, rispondo semplicemente: per giocare a tennis. Lui sorride: «Vedi, è il bello di questo posto. È per tutti». Come il tennis, penso. Se te lo puoi permettere o, se sei fortunato, come i ragazzi di Vajda.