Se sui social network l’Impero romano è diventato sinonimo di qualcosa del passato a cui si pensa spesso, e con una punta di nostalgia, allora da un po’ di tempo a questa parte il mio Impero romano è il primo Milan di Pioli, quello verticale e meraviglioso dell’estate dopo il lockdown, quello giovane e spavaldo del ritorno in Champions League dopo sette anni, quello compatto e in missione per il 19esimo scudetto. Così, mentre ozio sul divano, invece di scrollare Instagram mi ritrovo a cercare su YouTube gli highlights di vecchie partite come Verona-Milan 0-2, con gol di Krunić su punizione e Dalot, a rimpiangere le coperture preventive di Kessié e finanche quello lì, il turco passato sull’altra sponda del Naviglio, e inevitabilmente il mio tour dei ricordi termina con Sassuolo-Milan 0-3, gli ultras a petto nudo dietro la porta di Consigli, le accelerazioni imprendibili di Leão e i due gol facili facili di sinistro segnati da Olivier Giroud.
C’è qualcosa di classico, in Giroud. I suoi occhi di ghiaccio rimandano a un canone di bellezza oggettiva, la sua eleganza ricorda quella delle statue dell’antichità: chissà se anche la sua testa sta precisamente otto volte nel suo corpo come nel Doriforo di Policleto. Se lo scrittore svedese Björn Ranelid ha detto che «Ibrahimovic crea movimenti che non esistono nel mondo reale: le sue sono improvvisazioni jazz», se Haaland rappresenta la forza bruta dell’heavy metal, allora Giroud è una sonata di Mozart o di Beethoven, le sue sponde per i compagni sono pura eufonia calcistica, riconciliano, rassicurano, cullano.
Giroud era arrivato al Milan per sfatare la maledizione della maglia numero nove e all’inizio non è che le cose stessero andando troppo bene: aveva segnato una doppietta all’esordio casalingo contro il Cagliari, è vero, ma poi il Covid, la lombalgia, un infortunio alla schiena, l’immancabile lesione al bicipite femorale, la concorrenza di Ibrahimovic. A Natale era fermo ad appena quattro reti, zero in Champions League dov’era sembrato logoro, superato, sotto ritmo. Oibò: un altro campione del mondo che è venuto a svernare nel campionato italiano? A che santo ci dobbiamo votare, di grazia, per avere un centravanti come Dio comanda?
E invece tutto è girato intorno alle 19.30 di un sabato invernale, con quella spallata a Sánchez che ha dato il via al contropiede dell’1-1 nel derby contro l’Inter, ma soprattutto ha inclinato il piano della sua stagione, della Serie A 2021/22 e, chissà, anche della carriera di Stefano Pioli. Senza quella rimonta, il Milan avrebbe vinto quello scudetto? Senza quello scudetto, il contratto di Pioli sarebbe stato rinnovato fino al 2025? Poi pochi minuti dopo si è girato lui, e il resto, come si dice, è storia. Una storia fatta di altri gol pesanti, perché prima c’era stato il rigore contro la Roma e nei mesi successivi arriveranno la zampata a Napoli, quella a Roma contro la Lazio e infine la doppietta di Reggio Emilia, la città del Tricolore, in tutti i sensi.
Tutti i gol di Giroud nell’anno dello scudetto
Un altro momento di svolta è stato il Mondiale in Qatar, a metà tra un’eccellente partenza (un’altra rete nel derby, quattro nella fase a gironi della Champions League, la spaccata al volo nei minuti conclusivi contro lo Spezia) e una stagione ancora tutta da scrivere. Al Mondiale Giroud era arrivato tirato a lucido nonostante i 36 anni compiuti da poco, era l’attaccante titolare della squadra favorita per la vittoria, aveva segnato quattro gol grazie ai quali era diventato il miglior marcatore di sempre della Nazionale francese. Lui e Theo Hernández erano tra i calciatori più forti al mondo nei rispettivi ruoli, e il Milan poteva sfruttare questo orgoglio a suo vantaggio, capitalizzarlo per provare ad andare più avanti possibile in Champions League. Invece nella finale contro l’Argentina, sotto 2-0 nel punteggio, Deschamps lo ha sostituito ancor prima della fine del primo tempo e il Giroud tornato in Italia era un Giroud triste, solitario y… semifinal, come quella che ha contribuito a far raggiungere al Milan appoggiando in porta il contropiede gullittiano di Leão a Napoli, pur avendo sbagliato poco prima un rigore – ma anche come quella che il Milan ha perso male, rapidamente, inerme, contro l’Inter.
Un altro rigore sbagliato è la fotografia di quest’ultima stagione di Giroud, che pure rimarrà nelle statistiche come la stagione in cui ha segnato più gol in campionato e nella memoria dei tifosi come quella in cui, una sera di inizio ottobre, ha indossato una maglietta verde con un nome diverso dal suo, ha chiuso gli occhi, ha indossato i guanti e per un istante ha creduto di poter essere qualcun altro. Il coraggio, l’altruismo; non la paura di sbagliare un calcio di rigore. Ma tra pochi giorni il Borussia Dortmund giocherà la finale di Champions League, e a noi cosa rimane? Personalmente, un sentimento molto simile alla pietà per gli ultimi mesi di un centravanti abbandonato a un destino di infelicità che si è materializzato sotto forma di una marcatura di Smalling o di Acerbi, di una traversa centrata da pochi metri contro la Roma, di un gol a porta vuota sbagliato contro il Sassuolo, di un altro gol assurdo sbagliato contro il Genoa. Allo stesso modo, però, orgoglioso e innamorato indosserò la sua maglia numero nove dell’anno dello scudetto durante la sua ultima partita a San Siro contro la Salernitana.
E così finisce il mio Impero romano, il Milan di Giroud e anche quello di Stefano Pioli, un’epoca brevissima fatta di splendori e miserie come del resto tutte le vicende calcistiche e quindi umane. I lettori interisti mi perdoneranno per lo scontato e pigro paragone tra le invasioni dei barbari che hanno contribuito alla caduta dell’Impero d’Occidente e l’aritmetica vittoria della loro seconda stella nel derby in trasferta. Nel 1996 Franco Battiato incise un brano scritto da Manlio Sgalambro e intitolato Decline and Fall of the Romane Empire, che a un certo punto fa: «Odo un canto all’orizzonte / Mi assottiglio, sono spirito puro, sono fiore, tigre / Mi risveglio». A San Siro, più modestamente, quella notte di aprile suonò la techno.