La monotonia di undici titoli consecutivi vinti dalla stessa squadra, ovviamente parliamo del Bayern Monaco, hanno reso la Bundesliga un campionato noioso nella percezione generale, tanto da guadagnarsi l’appellativo poco piacevole – e a dirla tutta nemmeno tanto azzeccato – di farmers league. Basta farsi un giro sul fu Twitter per vedere come l’utente medio tenda a snobbare un campionato in cui, alla fine, «si sa già chi vince. Vero in undici casi negli ultimi dodici: il Meisterschale che sabato pomeriggio il Bayer Leverkusen alzerà al cielo dopo il triplice fischio della gara contro l’Augsburg è infatti visto come un possibile punto di svolta per riuscire a creare, chissà, magari un dualismo che possa avvicinarsi a quanto accadeva nella prima metà del decennio scorso, quando il Dortmund di Klopp vinceva i titoli e duellava quasi alla pari con il Bayern di Jupp Heynckes o di Pep Guardiola.
L’exploit del Leverkusen conferma comunque una tesi che è da sempre valida in Germania, anche se molto spesso dal secondo posto in giù: la Bundesliga è un campionato in cui può succedere di tutto. E con tutto si intende proprio tutto, compreso che si possa passare dal podio alle ultime tre posizioni nel giro di una stagione, o viceversa passare dalla Champions League alla retrocessione. Il caso più eclatante di questa stagione riguarda la seconda squadra più fresca e divertente del campionato, ovviamente dopo il Bayer campione. Dello Stoccarda qualificato in Champions si è parlato relativamente poco, soprattutto in relazione a quanto si meriterebbe una società che lo scorso anno, di questi tempi, si aggrappava allo spareggio con l’Amburgo per evitare di precipitare per la terza volta nel giro di sette anni in Zweite Liga. E oggi, come detto, si appresta a tornare in Champions League.
Lo Stoccarda era reduce da una serie di up and down incontrollati, ma poi ha finalmente azzeccato una stagione. E se il titolo si fosse deciso alle stesse altitudini di classifica dello scorso anno, quando Borussia Dortmund e Bayern fecero si inventarono diverse soluzioni creative per non vincerlo, si starebbe parlando di un passo da contender. Certo, se poi davanti c’è una squadra che in 50 partite stagionali non ha mai perso la cosa si fa più complessa. In ogni caso, la straordinaria stagione del tecnico Sebastian Hoeness – sì, il cognome non tradisce: è nipote di zio di Uli Hoeness, uno che di pallone ci capisce – e dei suoi giocatori assume ancora più valore se si pensa che, nell’ultimo mercato, lo Stoccarda ha perso tre giocatori fondamentali come Wataru Endo, Mavropanos e Borna Sosa.
Sembrava l’anticamera della retrocessione, invece è stato il punto di slancio verso una stagione in cui la legge di Murphy si è ribaltata – come del resto a Leverkusen – e tutto ciò che poteva andare per il verso giusto è andato, appunto, per il verso giusto. Così un club che fino a un anno fa era più noto per essere un esempio di cattiva gestione delle risorse, quelle tecniche e quelle economiche, ha rilanciato le sue ambizioni. Cancellando le lotte intestine alla dirigenza, provocate indirettamente anche dalla compresenza di una figura ingombrante come Thomas Hitzlsperger, un’icona del club, ma anche di Sven Mislintat nel ruolo di direttore sportivo. «Mislintat era l’unico sovrano del VfB Stuttgart» diceva Armin Veh, ultimo allenatore a vincere il campionato con lo Stoccarda nel 2007, lo scorso ottobre a Sport1. Poi però le cose sono cambiate una volta che Alexander Wehrle e Fabian Wohlgemuth hanno dato il via a una nuova era, rispettivamente come CEO e come DS, e così sono arrivati i risultati.
Al contrario di quanto accaduto per lo Stoccarda, questa stagione potrebbe rappresentare un punto di svolta negativo per quanto riguarda l’Union Berlino, reduce dalla prima, storica qualificazione alla Champions League. Al quarto posto dello scorso anno potrebbe seguire un playout da disputare contro il Fortuna Düsseldorf, terzo classificato della Zweite Liga, se non addirittura una retrocessione diretta – una sconfitta col Friburgo all’ultima giornata potrebbe costare il sorpasso del Colonia, atteso dalla sfida contro l’Heidenheim. Comunque andrà, quello dell’Union resterà un insuccesso. Che qualcuno in realtà aveva previsto quando a inizio anno l’ambiente sembrava aver perso contatto con la realtà. «Non siamo una squadra di Champion League: siamo una squadra che gioca in Champions League, che è diverso», aveva ammonito il direttore sportivo Oliver Ruhnert, che in sede di mercato si era preso anche dei rischi rilevanti, come l’aumento del monte ingaggi con innesti di giocatori di blasone come Bonucci, Volland e Gosens.
La storia dell’Union ricorda sinistramente quella dello Schalke 04 nel 2018: dopo una stagione da secondo posto in campionato alle spalle del Bayern, è seguita una campagna di rafforzamento totalmente sbagliata che ha messo il club in una situazione tragica dal punto di vista economico, culminata nell’inevitabile retrocessione del 2021 e poi in una nuova caduta dopo il ritorno in Bundes (nel 2023) Così lo Schalke si è trasformato in una squadra di metà classifica in Zweite nel giro di una manciata stagioni quando è sempre stato un club, in questo caso si può dire, da Champions League.
Di esempi di questi alti e bassi ne è effettivamente piena la storia recente del calcio tedesco: il Colonia è passato dalla Conference League dell’anno scorso ai bassifondi della classifica quest’anno, e nel 2019 era capitata la stessa cosa dopo una qualificazione all’Europa League. E quindi la costante presenza europea che sono riusciti a garantirsi due club di fascia media come Eintracht Francoforte e Friburgo, al netto di due bacini d’utenza cittadini molto diversi tra loro, è qualcosa di notevole. Come lo è del resto il miracolo del piccolo Heidenheim, salvo con largo anticipo nella prima stagione di Bundesliga della sua storia: il club del Baden-Württemberg ha confermato un trend che già in passato ha riguardato squadre neopromosse che quasi tutti davano per spacciate ancora prima che partissero, come Ingolstadt o Darmstadt a metà del decennio scorso, e che invece sono riuscite a salvarsi almeno una volta.
Questi sbalzi continui della classifica di Bundes sono legato alla situazione economica e aziendale dei club, nel suo significato più stretto. Sono, cioè, la diretta conseguenza della natura associazionistica di ogni club – escludendo quelli che sono di proprietà di aziende che vogliono comunque i conti in ordine a fine stagione, vedasi il Leverkusen con la Bayer e che il Wolfsburg con la Volkswagen. Insomma, la filosofia è da sempre quella secondo cui dare un rinnovo costoso ad un top player che magari potrebbe andare un Premier League, a guadagnare il doppio dei soldi, può non valere il rischio economico, prima che tecnico, di alzare la soglia delle spese. Così finisce che i parametri zero in uscita dalla Bundesliga diventino tantissimi, così come i calciatori che si possono pescare low cost con clausole non fissate a prezzi astronomici, tipo i 20 milioni di euro di Guirassy o i 40 di Frimpong.
Ecco perché, a differenza dell’Italia o dell’Inghilterra, la Germania non può dire di avere le sue sette sorelle, le sue Big Six e nemmeno un vero e proprio Clásico che possa definirsi tale. Perchè, nei fatti, la probabilità che una squadra si trovi ad oscillare da una stagione all’altra dall’alta alla bassa classifica fa parte della normalità delle cose. Perché basta vendere il top player e sostituirlo con uno che non è altrettanto bravo, errore comune in tutto il mondo, per dilapidare quel gap che si era determinato tra due squadre di pari livello. E recuperarlo diventa una sfida complicatissima. visto che non si dispone delle risorse economiche dei club di Premier e che si cerca di non seguire l’esempio delle società italiane e spagnole, letteralmente sommerse dai debiti.
La classifica di Bundes, in questo senso, parla chiaro: dal sesto al terzultimo posto, al momento, c’è un margine di 16 punti. In Serie A arriva a 28, in Premier tocca quota 34; in Ligue 1 è di 21 punti e in Liga di 25. Come ha dimostrato l’Augsburg tra febbraio e marzo, bastano quattro vittorie di fila in certi punti della stagione per proitettarsi dalla lotta retrocessione a quella per l’Europa. E la stessa cosa vale in senso inverso, ovviamente. Si tratta di oscillazioni imprevedibili in un contesto livellato verso il basso ma comunque in equilibrio, che rendono indubbiamente unica la Bundesliga. Insomma, vince quasi sempre la stessa squadra. Ma il divertimento e le sorprese non mancano mai.