Germania
«Chi ha un messaggio per la Germania?». Il 21 novembre 2023 Julian Nagelsmann non avrebbe saputo cosa rispondere a questa domanda, presa direttamente da una delle scene più significative di Inglorious Basterds. All’Ernst Happel Stadion di Vienna contro l’Austria, nella sua quarta partita da commissario tecnico, era arrivata la seconda sconfitta consecutiva dopo quella contro la Turchia, la sesta su 11 gare disputate in un anno solare da incubo per la Nationalmannschaft che aveva visto l’esonero di Hansi Flick e l’interregno di Rudi Völler durato lo spazio dell’episodica vittoria in amichevole (2-1) contro la Francia. Poi, il 22 febbraio, è arrivato l’annuncio del ritorno in Nazionale di Toni Kroos e, sempre per restare a Tarantino, «tutto è di nuovo andato bene nella giungla». A Lione, un mese dopo, è arrivata un’altra vittoria contro la Francia, un 2- 0 aperto dalla rete di Florian Wirtz dopo appena 40 secondi su assist proprio di Kroos; tempo quattro giorni e anche i Paesi Bassi di Koeman sono finiti ko, rimontati da Mittelstädt e Füllkrug dopo il gol in apertura di Veerman.
Può la sola presenza di Kroos aver cambiato così tanto le prospettive e gli orizzonti di una Nazionale che ha passato gli ultimi dieci anni a cercare di ritrovare sé stessa Forse, o forse no. Di certo il rientro del regista del Real Madrid ha permesso a Nagelsmann di organizzare un 4-2-3-1 in cui la fantasia di Wirtz e Musiala è libera di sprigionarsi nell’ultimo terzo di campo senza che i due più talenti scintillanti del calcio tedesco debbano preoccuparsi anche della connessione tra i reparti. Agli Europei, però, la Germania si presenta con due dubbi importanti: Kai Havertz saprà essere il finalizzatore ideale di una squadra che vive della necessità di andare sopraritmo per esprimere tutto il proprio potenziale offensivo? Nagelsmann riuscirà a implementare la logica dell’allenatore di club all’interno di un gruppo che sta attraversando un profondo ricambio generazionale in in vista del Mondiale 2026 e in cui Müller e Sané e sono destinati a essere riconsiderati sulla base di un assetto tattico che potrebbe vederli più utili a gara in corso?
Scozia
La Tartan Army è al secondo Europeo di fila dopo un’assenza dalle grandi competizioni che durava dal 1998. Non è un caso, così come non è un caso che la squadra di Clarke si sia qualificata in modo autorevole, peraltro dopo aver battuto anche la Spagna: il merito è di una generazione di talenti – tra cui spicca naturalmente McTominay, il centrocampista che ha segnato più gol (sette) guardando a tutti i gironi di qualificazione agli Europei – che la Federazione ha saputo costruire dall’interno, cioè con un programma didattico per allenatori e giocatori avviato nel 2012. È così che oggi la Scozia può coltivare un obiettivo mai centrato nella sua storia: superare la fase a gironi di un grande torneo.
Svizzera
Un girone di qualificazione piuttosto comodo ha permesso al ct Murat Yakin di sperimentare molto dal punto di vista tattico, passando dal 4-3-3 iniziale all’attuale 3-4-1-2 che diventa 3-5-2 in caso di rinuncia a Shaqiri dal primo minuto. Il centrocampo muscolare e dinamico – guidato dal miglior Xhaka mai visto su questi schermi – è la migliore arma a disposizione della Svizzera per provare a diventare la mina vagante del torneo in caso di passaggio del girone, in attesa che il recupero di Embolo risolva i problemi in attacco (appena tre gol realizzati nelle ultime cinque partite) legati alla difficile stagione vissuta da Okafor, Amdouni e Vargas.
Ungheria
«Nel 2018 la Nazionale, quando giocava partite non propriamente di cartello, faceva 10-15mila spettatori. Adesso organizziamo amichevoli contro l’Estonia e c’è il tutto esaurito, 65mila spettatori». Basterebbero queste parole del ct Marco Rossi per capire l’importanza del lavoro svolto dal tecnico italiano sulla panchina della Nazionale ungherese. Certo, in primis pesa il dato relativo alla terza partecipazione consecutiva a un Europeo dopo anni passati nel limbo del calcio internazionale, ma il ct italiano ha ottenuto la qualificazione a modo suo, attraverso una proposta di gioco modellata su un 3-4-2-1 fluido e dinamico (che diventa 3-5-2 in fase di non possesso) che Dominik Szoboszlai, la grande gemma di questa generazione, rende letale nell’ultimo terzo di campo. Nel 2021 il fantasista del Liverpool era assente per infortunio e l’Ungheria uscì ai gironi a causa di un gol di Goretzka a sei minuti dalla fine dell’ultima partita contro la Germania: la speranza, per Szobo e per l’Ungheria, è che stavolta vada in modo diverso.