Dal gol di Éder allo Stade de France, il Portogallo ha smesso di essere la solita underdog un po’ naive e fatalmente legata al destino di Cristiano Ronaldo, e si è trasformata in qualcosa di diverso, in qualcosa di simile a una potenza: una Nazionale che gioca per vincere. Dove prima c’erano talenti, ora ci sono vere e proprie stelle, giocatori che sono punti fermi in club di élite. Al punto che oggi il Portogallo è una squadra che sembra potersi permettere di avere delle aspettative alte a prescindere da CR7 – anzi, da quando è andato ad accumulare record e gol in Arabia Saudita è come se ci fossimo un po’ dimenticati di lui. Per questo motivo, nelle ultime due competizioni internazionali, il Portogallo ha lasciato una forte sensazione di aver fatto meno di quanto avrebbe potuto e, contestualmente, che Fernando Santos non sia riuscito a sfruttare allo stesso modo un organico molto più forte e completo di quella che aveva condotto alla gloria nel 2016.
Roberto Martínez, reduce dall’esperienza alla guida di una Nazionale con un rapporto ancor più schizofrenico tra aspettative e risultati, è diventato ct ormai un anno e mezzo fa, ed è arrivato alla vigilia di Euro 2024 al termine di un percorso praticamente perfetto, chiudendo il girone di qualificazione con lo score mostruoso di dieci vittorie su dieci partite giocate. Nella conferenza stampa alla vigilia dell’esordio contro la Repubblica Ceca, però, Martínez ha spiegato che la sua squadra non è ancora al top, e che ci vorranno circa tre partite per vedere il Portogallo al suo apice: nonostante quel cammino immacolato, in alcune delle ultime uscite – come l’amichevole persa contro la Croazia dieci giorni fa – la Seleção ha dato l’impressione di avere ancora qualche punto irrisolto. Ancora una volta, al momento di dover piazzare l’asticella, non sappiamo di preciso cosa aspettarci dal Portogallo. È una squadra fortissima, ovviamente, ma lo è abbastanza da giocarsi la vittoria finale?
In una recente intervista a Marca, Martínez si è detto piacevolmente sorpreso di come i calciatori portoghesi coniughino due caratteristiche che, a suo dire, raramente vanno di pari passo: un profondo spirito competitivo e una gran predisposizione ad accogliere informazioni tattiche. Nell’ultimo anno e mezzo, l’allenatore spagnolo ha lavorato per costruire un’identità tattica di base, concedendosi allo stesso tempo il lusso di non cristallizzarla e di provare fino all’ultimo soluzioni diverse. Ad oggi il Portogallo ha dei punti fermi come una linea a tre in uscita e la presenza di due esterni alti a fissare l’ampiezza, con un sistema che in possesso è quasi sempre un 3-2-5, ma ha anche tante varianti da attuare in base alla strategia e all’avversario. In alcuni casi ha utilizzato tre centrali puri (Rúben Dias assieme a due tra Pepe e i giovani Antonio Silva e Gonçalo Inacio), in molti altri ha preferito schierare due centrali e un mediano – scelto tra Danilo Pereira e João Palhinha – che trasformasse la difesa a quattro in difesa a tre e viceversa, a seconda delle necessità.
Come il suo vecchio Belgio, il Portogallo di Martínez è una squadra che cerca di occupare gli spazi offensivi in modo ordinato, e di essere compatta senza palla (un aspetto al momento ancora perfettibile, soprattutto quando c’è da aggredire). Contro rivali di qualità inferiore, ha saputo gestire senza problemi il possesso, toccando le vette più alte quando si sono accese le connessioni tra i suoi giocatori più talentuosi. Lo stesso ct ha spiegato, sempre a Marca, che nei club il lavoro quotidiano permette di fissare più in profondità alcuni aspetti, mentre nelle Nazionali diventa importante creare, oltre a un contesto psicologico favorevole, una struttura in cui il talento individuale possa esprimersi. Il Portogallo, da questo punto di vista è una squadra fuori dal comune, con giocatori tecnicamente straordinari in ogni ruolo: João Cancelo, ad esempio, è un organizzatore fondamentale del possesso dei lusitani, sia in uscita che in sviluppo e rifinitura, al punto che ha disputato diverse partite partendo da centrocampista centrale. Il suo gioco nello stretto, la capacità di orientare il controllo, ricevere in ogni situazione, rompere le linee con un filtrante da regista o una progressione da terzino, per poi trovarsi a scambiare nello stretto su una fascia e mandare in gol un compagno con un cross d’esterno da quella opposta, lo rendono il vero cuore creativo della squadra, in qualsiasi zona del campo.
In mezzo Martínez ha varie opzioni: João Neves per dare equilibrio davanti alla difesa e distribuire palla, Vitinha per palleggiare e associarsi in zone più avanzate, così come Otavio. Ma il centrocampista offensivo più influente finora è stato Bruno Fernandes, che coniuga il senso per la verticalizzazione veloce alla sua strabiliante pulizia di calcio. Un reparto avanzato con lui, Bernardo Silva – che a volte si abbassa a prendere palla, godendo di sprazzi di libertà simili a quelli che Martínez aveva ritagliato per Hazard nel suo Belgio – e João Felix, che il ct reputa un giocatore speciale per il suo modo di comprendere il gioco, ha il potenziale per essere inarrestabile quando gioca nello stretto – anche se, a dire il vero, questo aspetto finora si è visto solo a lampi. In una squadra così ricca di giocatori associativi, Martínez difficilmente rinuncerà alla capacità di Rafael Leão di condizionare l’avversario con la sua presenza fisicamente straripate e con il suo dribbling: finora gli ha affidato spesso la fascia sinistra con l’obiettivo di isolarsi uno-contro-uno, e soprattutto di permettergli conduzioni in campo lungo. La soluzione migliore perché l’attaccante del Milan possa fare a pezzi gli avversari in transizione.
Con questa quantità di talento, è impossibile non considerare il Portogallo una delle candidate a giocarsi l’Europeo: molto dipenderà da come la creatura di Martínez risponderà al test di avversarie di pari o più simile livello, ma anche – come in tutti i tornei corti e caotici – di come arriverà in Germania quella che, nonostante tutto, è ancora oggi una sua grossa win condition: Cristiano Ronaldo. Euro 2024 è con ogni probabilità l’ultima cosa importante che CR7 farà nella sua carriera, e la farà a 39 anni, da giocatore dell’Al-Nassr, nel momento in cui forse nessuno si è mai aspettato così poco da lui. Nell’ultima amichevole prima dell’esordio, contro l’Irlanda, ha segnato con il suo classico tiro a giro potentissimo, all’incrocio e con il piede debole, e ha giocato un tempo intero uscendo dalla sua posizione – da nove, a tenere in allarme la linea difensiva avversaria – per abbassarsi e fare manovra: ora e nell’ultimo anno è sembrato più sul pezzo del campione medio che gioca in Arabia, e viene difficile pensare che giocherà un Europeo da pensionato. Probabilmente il Portogallo non è la squadra che dà più garanzie tra le favorite, né quella più forte in senso assoluto, ma per tutti questi motivi è quella che potrebbe regalarci la giocata, l’invenzione o la delusione che ci rimarrà nel cuore quando penseremo a questo Europeo.