L’allegria della Generazione Z era quello che mancava alla Spagna per tornare grande

Gli sfottò, i balletti e le risate tra Nico Williams e Lamine Yamal stridono con le privazioni imposte da Spalletti all’Italia.

Quando Lamine Yamal tocca il pallone in corsa non perde mai il controllo, non ha mai problemi di grip. È una delle manifestazioni più visibili, e incredibili, del suo talento. Non rallenta il passo, non gli sfugge la palla, anzi la incolla allo scarpino e mantiene il ritmo della corsa. Sembra rimbalzare sul tempo come i tasti di un pianoforte. Domenica scorsa, contro la Georgia, intorno all’ottantesimo minuto, ha chiuso una triangolazione con Dani Olmo e si è trovato al limite dell’area piccola, l’ha toccata con l’esterno mentre era lanciato alla massima velocità, mentre lo spazio tra il suo corpo e la porta si restringeva, e con un difensore che l’avrebbe raggiunto alla prima esitazione. Non c’era margine di errore. La palla gli è rimasta giusto davanti, perfetta per calciare anche se poi Mamardashvili ha parato. Pochi minuti prima Nico Williams aveva segnato il 3-1 in un’azione che racconta tutte le differenze rispetto all’altro esterno della Spagna: il giocatore dell’Athletic è meno delicato, negli spazi stretti è ancora un po’ impacciato, ma è un giocatore più diretto, in transizione è già nell’élite europea e quando calcia mette tutta la potenza che ha per bucare la rete. Insieme hanno messo la firma sulla quarta vittoria in quattro partite delle Furie Rosse.

Manca una decina di giorni alla fine di questi Europei tedeschi e l’unica vera convinzione incrollabile emersa fin qui nel torneo è il primato del gioco e dei risultati della Spagna. Un primato dovuto anche a due ragazzini che insieme non fanno quarant’anni e sono diventati il faro offensivo della loro Nazionale. Nico Williams e Lamine Yamal stanno cambiando la Spagna: le stanno concedendo opzioni e soluzioni che prima non si vedevano, o forse non c’erano proprio. Perché sono perfetti per un calcio più diretto e verticale, ma anche creativo, rispetto al palleggio armonico e scandito tipico del juego de posición della scuola spagnola.

Con loro due in campo, i pericoli per gli avversari possono sbucare fuori dal nulla, in qualsiasi momento. A volte basta mettere la palla nei piedi di uno dei due esterni d’attacco per trasformare un palleggio di contenimento in un’azione offensiva. Questo permette di dare alle partite un ritmo sincopato, meno lineare, quindi anche meno facile da leggere per gli avversari. Dopo la gara con la Georgia, Manuel Jabois su El País ha scritto che al quindicesimo sembrava di aver già visto un’ora di partita: la Roja arrivava al tiro con una facilità impressionante, un tornado di passaggi che finiva inevitabilmente nell’area georgiana, un volume di gioco fuori scala. È anche il motivo per cui Luis de la Fuente alla fine ha detto che era una partita da sette o otto gol senza sembrare presuntuoso, o almeno non più del normale. Non è stata nemmeno la dichiarazione più divertente, perché Lamine Yamal ha detto di Nico Williams: «Ora dovrò sopportarlo tutta la settimana perché ha segnato». La risposta di Nico: «Un figlio deve rispettare il padre».

Sfottersi chiamandosi padre e figlio, come in un gioco di potere e autorità da esercitare sull’altro, è più di una semplice battuta tra compagni di spogliatoio, è già un motivo ricorrente della Nazionale, è già un meme, un pezzetto di una storia più grande. In queste settimane ci siamo convinti che i due facciano tutto insieme come compagni di banco in gita scolastica: ballano in camera, fanno passeggiate in bicicletta, vanno alla ricerca di un vecchio campo da calcio abbandonato, fanno carta-forbice-sasso per chi deve bere prima dalla borraccia, litigano per chi balla meglio. La bromance tra Nico Wiliams e Lamine Yamal è uno spaccato di una Nazionale che ha le pressioni della contender ma non lo fa vedere. Una squadra piena di talento e con molti giocatori forse all’ultima chiamata per un grande trofeo con la Spagna, che però riesce a trovare un sano equilibrio tra concentrazione e distensione.

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Nico Williams e Lamine Yamal sono giovanissimi ed è comprensibile che abbiano un approccio diverso dai veterani Jesús Navas, Joselu, Carvajal, Morata. Prima ancora degli Europei c’erano stati dei segnali su questa amicizia in ritiro. In un’intervista a La Sexta, a Joselu hanno chiesto di indicare un giocatore sempre in ritardo agli allenamenti: Nico e Lamine. E alla domanda su chi fosse il più distratto, stessa risposta: Nico e Lamine. Sempre loro due, binomio non scomponibile, qualche volta c’è Fermín Lopez come terzo elemento. In tutte le loro interviste, nei post sui social, nei reel che vediamo girare online, il loro comportamento stride con quello che abbiamo immaginato per il ritiro dell’Italia, con i comandamenti di privazione imposti da Spalletti. Nessuno aveva diritto a distrarsi e isolarsi; il cellulare solo prima di pranzo e prima di cena; intolleranza massima per atteggiamenti sopra le righe o risate sguaiate. Doveva servire a costruire una mentalità vincente. Ora qualunque cosa si dica della differenza tra i due stili può sembrare solo una battuta sarcastica.

L’amicizia tra Nico Williams e Lamine Yamal è relativamente recente. Il giornalista sportivo Guillem Balagué ha raccontato sulla Bbc che risale allo scorso marzo, prima delle amichevoli contro Colombia e Brasile, quando la Federazione spagnola ha chiesto a Nico di prendere sotto la propria ala protettiva il più giovane, e lui ha rinunciato al giorno libero per questo. Calcisticamente invece la bromance ha radici un po’ più lontane. Peraltro proprio a Tbilisi, in Georgia, il Paese della squadra demolita domenica scorsa. Era settembre, Lamine Yamal doveva ancora debuttare, la Roja non aveva ancora la conformazione di adesso, anzi era una squadra decisamente più compassata, alla ricerca di una scintilla che rompesse la spirale negativa in cui era finita dopo i Mondiali del 2014. Luis de la Fuente aveva iniziato la partita con Dani Olmo e Marco Asensio esterni, poi si sono infortunati e poco prima dell’intervallo sono entrati i due ragazzini. Si era già sul quattro a zero, quindi c’era stato spazio per giocate di ogni tipo, dribbling, accelerazioni, gol.

Era meno di un anno fa, eppure quella Spagna era incastrata nel loop del controllo a tutti i costi, in un calcio che riciclava il possesso senza sapere bene cosa farne. Luis Enrique aveva provato a dare degli impulsi, ma per più di un motivo non gli era andata bene (c’entra anche la sfortuna, come sa bene chi ricorda la semifinale degli scorsi Europei). Solo che dopo tanti anni senza risultati sembrava impossibile trovare anche solo fiducia nel futuro. Dopo la Generación de oro e la Generación perdida – quella degli Isco e dei Koke, per capirci, di cui oggi sopravvivono Morata e Carvajal – serviva un’altra cosa ancora. Così è arrivata la Generazione Z. Nico Williams e Lamine Yamal hanno aperto le porte del cambiamento, ma non sono i soli. Con loro c’è Pedri (2002), c’è l’elettrico Fermín López (2003) e c’è Álex Baena, 2002 del Villarreal che è stato uno dei migliori assistman dell’ultima Liga. E in Germania mancano per infortunio Gavi (2004) e Alejandro Balde (2003), mentre de la Fuente ha avuto il coraggio di lasciare a casa Pau Cubarsí, classe 2007.

Questa mole di talento giovane e informe era ancora fuori dal giro della Nazionale quando De la Fuente è stato nominato ct. Nella sua prima convocazione, a marzo dell’anno scorso, De la Fuente sembrava un uomo obbligato a fare scelte burocratiche, fatalmente in continuità con il passato, peraltro senza i guizzi tattici del suo predecessore. Una Spagna costretta a guardare il talento sfiorire, impotente di fronte alle nuove proposte delle altre Nazionali. Solo che nell’ultimo decennio De la Fuente è stato allenatore delle rappresentative Under 18, 19, 21 e Olimpica, quindi conosceva tutti i giocatori spagnoli della nuova generazione: valorizzare i più giovani a un certo punto è diventata l’unica alternativa possibile.

Ovviamente da ct non ha messo totalmente in discussione l’architettura tattica delle Furie Rosse. Ha ancora puntato su una quadrata, ordinata, forse più abbottonata del solito quando deve alzarsi in pressing. Però è stato bravo a capire chi poteva e doveva diventare leader tecnico del nuovo corso. Così ha trovato punti fermi in Rodri, Pedri, Gavi, Morata nelle vesti di centravanti e capitano – perché comunque al delantero non vuole rinunciare mai. E poi il destino nelle mani e nei piedi dei due esterni d’attacco, Nico Williams e Lamine Yamal. Sulle loro fisionomie ha deciso di cucire il nuovo vestito tattico della squadra. A posteriori sembra la decisione più facile del mondo: sanno stare insieme, in campo sono complementari e hanno tutto per guidare le Furie Rosse ancora per tanti anni. Viene quasi da pensare che sarebbe un peccato vederli dribblare e spaventare i terzini avversari solo per le poche partite della Nazionale. Sarebbe più bello veder crescere la loro intesa nella quotidianità di un club. «Se mi chiedete un solo giocatore da acquistare per il Barcellona, direi Nico Williams, sicuramente», aveva detto Lamine Yamal prima degli Europei, in un’intervista in cui traspariva una certa innocenza. I dirigenti del Barça non hanno bisogno di altri segnali. Ci sono pochi colpi più sicuri di questo. Per come vanno le cose in Nazionale, e anche al Barcellona, sarebbe quasi un dovere.