Italia-Lituania non è ancora finita, ma la Lituania sta perdendo e sembra non capirne i motivi, vede scivolare via l’obiettivo minimo della sua Olimpiade, la finale, e non ha la freddezza per ragionare di conseguenza. Jasikevičius, con Macijauskas ormai ridotto a spettatore e Štombergas in panchina per falli, cerca di risolverla in prima persona, sparacchiando male da tre. Italia-Lituania rimarrà per anni, forse lo è ancora, una ferita aperta per tutto il movimento cestistico lituano. Proprio Jasikevičius, nella sua autobiografia Vincere non basta, scritta, ironia della sorte, proprio con un giornalista italiano, Pietro Scibetta, racconta senza filtri quel dolore enorme, criticando apertamente il ct Sireika: «Le sue mosse ci fecero sbandare completamente. A un certo punto, durante un timeout, prese la lavagnetta e scrisse S per Šarūnas, S per Šiškauskas, S per Songaila, S per Štombergas. Tornando in campo ci chiedevamo: “Ma io quale S ero?”. Andò nel panico, non ho mai capito perché volle cambiare così tanto il suo modo di lavorare rispetto a Svezia 2003. Perdemmo una partita incredibile con l’Italia, ancora oggi credo che sia stata la sconfitta peggiore della mia carriera. Dopo quella sera non ho voluto saperne nulla del basket per un po’, riuscii a guardare solo pochi minuti della finale».
Si arriva così al possesso che racchiude, da solo, l’intera partita. Pozzecco accelera due volte senza che nessuno dei lituani possa prendergli il numero di targa ma non affonda, prende tempo, vuole giocare con il cronometro. Quindi forza un passaggio immaginifico, murato da Žukauskas. Galanda riesce a raccogliere il pallone, pasticcia un po’ nel tentativo di passarlo nuovamente a Pozzecco, la palla rimbalza a terra mentre arriva Basile. La prende praticamente tra i piedi, il cronometro dei 24 sta scadendo, è tutto spostato sul lato sinistro, più vicino alla linea laterale che a quella da tre punti. Raccoglie il corpo, alza la mano. Solo rete. «Quella sera abbiamo segnato in tutti i modi, penso a Baso che ha messo quella tripla raccogliendo la palla da terra», è il ricordo ancora vivido nella mente di Recalcati. La panchina italiana per poco non entra in campo, è uno di quei momenti in cui le partite sono già finite anche se non lo sono per davvero secondo il cronometro. Da una parte c’è una gioia che si dilata, dall’altra la disperazione che monta. Sireika chiama un timeout del tutto inutile mentre sfilano i replay: l’urlo belluino di Galanda, Dino Meneghin che schizza in piedi dalla panchina agitando il braccio per la felicità. La tripla di Lavrinovič in uscita dal timeout ci fa il solletico perché Basile è tornato in totale trance agonistica, prende un tiro da tre che non dovrebbe prendere, invece di far passare secondi per costruire qualcosa di meglio: chi se ne frega, fa canestro anche stavolta.
«La serie finale di Baso e Gek è molto simile a quella del quarto quarto contro gli Stati Uniti, dove impazziscono tutti e due e iniziano a mettere tutto quello che gli passa per le mani. Hanno messo delle triple che non si sapeva da dove venissero fuori», mi dice Soragna. La Lituania prova ad arrampicarsi fino al -6, Basile la ricaccia indietro dalla lunetta con 43 secondi rimasti sul cronometro. Lavrinovič continua a segnare per il -5, una squadra con un pizzico di fiducia in meno andrebbe in difficoltà a livello mentale ma questa Italia è inarrestabile. Ancora Pozzecco e ancora Basile ai liberi, impeccabili, monumentali. Finisce 100-91, sul parquet di Oaka rivediamo le scene di Stoccolma, della finale terzo-quarto posto dell’Europeo. Maglie azzurre saltano da una parte all’altra, si ammassano, vivono momenti che sono ancora impressi negli occhi e nei cuori di chi li ha visti da lontano. Basile quasi non vuole alzarsi dal parquet, travolto da un’emozione inarrivabile. Al suo fianco c’è Pozzecco, svuotato di ogni goccia d’energia.
Recalcati abbraccia tutti quelli che trova in piedi, poi gli azzurri indicano i tifosi sugli spalti. «Una volta che sei in semifinale, sai di avere due partite per vincere una medaglia. Eravamo partiti per la spedizione olimpica dicendo: “Andiamo a cercare di fare bene”, ma quel fare bene non aveva una consistenza precisa. Essere in semifinale era già oltre quello che pensavamo di poter fare, poi si allineano gli astri e viene fuori quella partita lì. Se la rigiochiamo cento volte, la perdiamo 98, se non 99. È che abbiamo trovato la partita perfetta, quello che è successo è pazzesco. Nell’immaginario collettivo è nella top 3 delle partite della storia della Nazionale, per il contesto, per il momento del torneo e per l’avversaria», è l’analisi di Soragna, uno dei migliori di una serata consegnata ai posteri.
In campo succede di tutto, come mi spiega Galanda: «Dopo la partita mi venne incontro un giornalista di una tv messicana che mi aveva fatto un’intervista a caso durante la cerimonia inaugurale, nel bel mezzo della sfilata, quando mi aveva chiesto qualcosa sulle sensazioni che stavo provando. Mi venne a cercare dopo la partita per abbracciarmi, fu bellissimo, era quasi diventato un nostro tifoso da quel primo momento, da quell’intervista casuale. Anche una cosa che non c’entra niente in quel momento diventa magica, perché sai che ti aspetta la partita più bella del mondo, la finale olimpica. Tantissimi sportivi mi dicono “ti invidio perché hai fatto le Olimpiadi, ti invidio perché hai anche vinto una medaglia”. Sentire questa cosa da sportivi di alto livello ti fa capire il peso di quello che hai fatto. Ti prepari una vita per quella cosa lì: in Italia abbiamo i p.o., i possibili atleti che prenderanno parte alle Olimpiadi, e poi finisci per metterti una medaglia al collo. Eravamo arrivati a un punto epocale, sapevamo che era stata una battaglia fisica, di nervi, siamo partiti con Macijauskas che ci stava massacrando, tenere botta è stata veramente tosta. Lo abbiamo fatto con la forza che ci arrivava dall’averlo fatto mille volte».
Per strano che possa apparire, in una partita dal punteggio altissimo, Marconato insiste un’ultima volta sulla difesa: «Abbiamo messo in difficoltà Jasikevičius e Lavrinovič, che secondo me era il lungo che poteva darci più noia. Erano fortissimi, avevano Macijauskas e Štombergas che in Eurolega facevano di tutto. Noi abbiamo avuto il Baso che è impazzito, Gek che si è caricato tutto sulle spalle con le triple, ma tutto il gruppo ha dato tanto: abbiamo fatto un grande lavoro, Poz solidissimo, io e Chiacig sotto canestro. A fine partita sapevamo di aver fatto la storia, di avere la medaglia al collo. C’era una gioia immensa, ci siamo tolti il peso di non farcela». Sta per iniziare, anzi, è già iniziata, una notte interminabile. La medaglia è già al collo, c’è soltanto da capire se sarà del metallo più nobile.