Lorenzo Musetti è diventato essenziale

«Ho capito che l’importante, nel tennis, non è giocare bene ma portare a casa le partite», ha detto dopo aver raggiunto la semifinale a Wimbledon.

«Mi piace essere identificato come un esteta del tennis, perché a me, a Lorenzo, come persona prima ancora che come tennista, piace cercare il bello in tutte le cose, anche fuori dal campo», ci spiegava poco più di un anno fa Lorenzo Musetti, protagonista di una delle cover del numero 50 di Undici. Aggiungendo, però, subito dopo: «Certo, non sempre l’eleganza corrisponde all’efficacia, e a volte preferirei essere meno bello ma più efficace». Lo sapeva anche lui, e lo scriveva pure L’Équipe: «A volte si perde in un surplus di creatività dannoso per il suo tennis». Dotato di un talento puro come forse neanche Jannik Sinner, in questi anni Musetti ha alternato sublimi lungolinea con il rovescio a una mano a sconfitte incomprensibili, assurde, persino fastidiose per i modi in cui avvenivano. Ora però, finalmente, sembra essere riuscito a risolvere l’enigma del suo tennis. L’enigma del tennis, anzi.

«Purtroppo, nel recente passato, se sbagliavo un colpo o sentivo male la palla provavo vergogna di me stesso. Perché l’estetica è importante, e mi ha condizionato», ha detto ieri dopo aver battuto al quinto set Taylor Fritz e aver raggiunto la sua prima semifinale Slam in carriera, sull’erba di Wimbledon, sulla carta la superficie meno congeniale per il suo gioco avvolgente, che di certo non ha nel servizio e diritto il suo punto di forza. Ma ha capito, Lorenzo Musetti: «Mi sono guardato dentro e ho capito che l’importante nel tennis alla fine non è giocare bene, ma portare a casa le partite». Ha capito che less is more, che esiste un modo per mettere ordine in tutto quel ben di dio che ha nel braccio destro, che nel tennis non conta vincere i punti belli: conta vincere l’ultimo. Ha imparato l’arte dell’essenzialità.

Per il suo rovescio a una mano, da quando si è affacciato sul circuito ATP Lorenzo Musetti ha dovuto convivere con un paragone ingombrante, un peso quasi insostenibile: quello con Roger Federer. Lo scriviamo prima per essere il più chiari possibile: al momento le uniche cose che hanno in comune Musetti e Federer sono l’aver sfidato Novak Djoković sul centrale di Wimbledon e l’aver vinto una volta la Coppa Davis nella loro carriera. Ma il discorso dell’essenzialità ha riguardato anche Federer quando muoveva i suoi primi passi sui campi da tennis, ed è stata una svolta importante verso i suoi numerosi trionfi. «Nelle sue prime partite da professionista Federer è un gomitolo confuso di intuizioni geniali e involuzioni goffe e sconclusionate», ha scritto Emanuele Atturo in Roger Federer è esistito davvero (66thand2nd, 2022). «Sembra uno di quei piccoli uccelli alle prese con una difficile conoscenza del proprio corpo. Ammetterà più avanti che la ricchezza del suo talento, inizialmente, era un limite: le troppe soluzioni da scegliere lo mandavano in confusione, avrebbe dovuto imparare l’arte dell’essenzialità». E adesso che l’ha imparata anche Lorenzo Musetti, godiamoci il panorama che spunterà dopo la curva.