Nei dipinti di Caravaggio il segreto è la luce, sempre usata in modo realistico ma sistemata dove serve, dove conviene per giocare con i chiaroscuri, con la traiettoria migliore per illuminare la scena principale. È una tecnica funzionale e il segreto di una bellezza eterna e rinascimentale. È lo stesso uso che Lorenzo Musetti fa del rovescio a una mano: in ogni partita ci sono punti e highlights chiusi da accelerazioni brillanti, scambi apparentemente piatti che girano su una sventagliata lungolinea, illuminati come una tela dipinta con il piatto corde e l’impugnatura Eastern. Sui social girano migliaia di reel, shorts e brevi video intitolati “Lorenzo Musetti magical backhand”, “Insane Musetti backhands”, tutti con gli aggettivi su queste sfumature – magico, fenomenale, folle. La prima lettura è tutta estetica, in quegli scambi il rovescio di Musetti è una forma d’arte, bellezza in purezza. Scendendo più in profondità, quel colpo è il vero punto di forza del suo tennis, gli serve per mettere in difficoltà l’avversario, comandare il gioco, creare variazioni, vincere i punti, quindi game, set, match. Possono essere tocchi dolci o catenate furibonde: l’esecuzione è sempre perfetta, il polso bloccato, il baricentro basso, l’asse spalla-braccio-mano controllata dall’inizio alla fine. Uno dei colpi più belli del circuito.
Nella nostra intervista – seduto al centro di un campo in terra rossa al circolo Tennis San Benedetto, meno di dieci chilometri dal centro di La Spezia, dove si allena – Musetti parla di uno stile e un’estetica volutamente ricercati: «Mi piace essere identificato come un esteta del tennis, perché a me, a Lorenzo, come persona prima ancora che come tennista, piace cercare il bello in tutte le cose, anche fuori dal campo». Poi aggiunge un particolare che sa di autocritica e consapevolezza: «Certo, non sempre l’eleganza corrisponde all’efficacia e a volte preferirei essere meno bello ma più efficace».
Il tennis potente e robotico di quest’epoca ha popolato il circuito Atp di freak atletici che hanno razionalizzato al massimo la tattica e lo stile, riducendo i ricami, cercando sempre la via più rapida per chiudere il punto. Musetti è l’artista controcorrente che richiama la bellezza, quella capace di appagare l’animo attraverso i sensi, in uno stile armonico che alterna drop shot, tocchi di controbalzo, tagli, accelerazioni improvvise. Un talento naturale nel manipolare il ritmo di gioco per mandare fuori giri gli avversari senza dover per forza tirare – forzare – il vincente: un gioco di variazioni con una somiglianza mica da poco con una leggenda del tennis ritiratasi l’anno scorso. «Questi accostamenti mi fanno sempre piacere, Roger Federer è sempre stato il mio giocatore preferito, quello a cui mi sono sempre ispirato e che ho visto come modello fin da piccolo».
Anche l’imperfezione fa parte della persona e del tennista, per questo non tutti i colpi gli riescono bene come il rovescio. Il servizio, ad esempio: è ancora lontano dai picchi dei bombardieri della Generazione Z, quelli che su ogni prima – e a volte anche sulla seconda – bastonano la pallina come per punirla di qualche colpa: visto da fuori, con un po’ di ironia, si può apprezzare anche questo difetto, così com’è, perché è rassicurante per gli spettatori sapere che ogni punto può avere un suo arco narrativo, un inizio uno sviluppo e una fine, come un piccolo brano di un poema più grande che è la partita. Almeno c’è qualcosa da vedere oltre il solito schema regolato su servizio e risposta e primi colpi.
La bellezza del suo tennis ha reso Musetti un giocatore di culto molto presto, già da teenager. Una volta L’Équipe, uno dei maggiori quotidiani sportivi europei, ha descritto Musetti come un tennista «che a volte si perde in un surplus di creatività dannoso per il suo tennis», ma dopotutto è nato a Carrara, «città della sublime pietra bianca, in una regione, la Toscana, e in un Paese, l’Italia, dove la raffinatezza è una seconda natura». A Carrara, Lorenzo ha iniziato a scoprire il tennis per puro caso: «Mio padre mi ha messo in mano una racchetta quasi per gioco, per scherzo, e si è vista da subito la facilità nel colpire la pallina», racconta Musetti. Da lì un salto allo Junior Tennis Club di Carrara, e poi a La Spezia, per sviluppare ancora di più un talento apparso a tutti naturale sin dall’inizio. Al suo fianco c’è, da sempre, Simone Tartarini, l’allenatore con cui ha costruito un rapporto simbiotico, «ormai è parte della famiglia», dice Lorenzo sorridendo, «penso di aver trascorso più giorni con lui che con i miei».
L’originalità del percorso di Musetti, almeno rispetto agli standard dei tennisti italiani, sta nell’aver scalato giovanissimo il ranking Atp, arrivando alla soglia dei primi cento appena maggiorenne. Forse sentiva di dover rispettare le promesse del percorso junior – quarti a Wimbledon 2018, poi la finale del successivo US Open e infine il successo all’Australian Open 2019, tra i giovani. In fondo, nella storia di Musetti la predestinazione è un sottotesto costante, e nella quotidianità di un tennista può essere fastidioso, ingombrante. «Finora l’inizio della carriera è stato un crescendo costante, però non nascondo di aver avuto momenti bui, dei passaggi a vuoto in cui mi sono sentito fragile, ho sofferto, provavo delle emozioni fortissime, non le sapevo gestire e mi bloccavano nonostante un lavoro e un percorso di crescita, come tennista, iniziato tanti anni fa».
La precocità e l’eclettismo fanno di Musetti una delle gemme più pregiate del tennis italiano, nonostante un movimento in salute come in pochi altri momenti nella storia recente. La new wave italiana è fatta di giocatori abituati a giocare fin da piccoli (anche) su superfici diverse dalla terra battuta: merito soprattutto del “Progetto campi veloci” lanciato dalla Federazione tennistica nel 2010, i cui risultati iniziano a vedersi proprio in questi anni. Ci sono ovviamente Musetti e Jannik Sinner, un altro arrivato molto in alto molto presto, ma anche Luca Nardi, Giulio Zeppieri, Matteo Arnaldi promettono di entrare nella top 100 e magari anche nella top 50 del ranking, un giorno. «Credo di far parte di una generazione di ragazzi molto forti e molto promettenti che sta facendo rinascere una passione per il tennis in Italia, che forse si stava un po’ spegnendo. Si nota che gli spettatori sono sempre più coinvolti, lo vediamo anche durante i tornei in Italia, dove c’è sempre un gran tifo. Ci sono tanti tennisti molto forti, e direi che questo gruppo può sognare di portare la Coppa Davis in Italia».
Sul braccio sinistro, all’altezza del tricipite, Musetti ha un tatuaggio piccolo. È una racchetta stilizzata sovrapposta alle frequenze di un elettrocardiogramma. È il cuore che pulsa, la passione per il gioco. È il tennis che gli sgorga dal braccio come fosse la cosa più naturale del mondo: un ragazzo che sembra fatto per giocare a tennis, con quella sensibilità che è certamente un dono e ha sempre reso tutto piuttosto naturale nel suo percorso. Ma il talento, ripete e si ripete sempre Lorenzo, va allenato, va coltivato e curato, altrimenti sfiorisce: «Arrivato a questi livelli il solo talento senza tutto il lavoro quotidiano non può bastare, forse in altri sport si riesce a compensare, ma qui è indispensabile una combo tra talento e allenamento».
Per uno con quelle capacità non basta – non può bastare – lo status di ambasciatore del bel gioco. La speranza è che presto il tennis di Musetti possa essere tanto efficace quanto bello e divertente. Qui ci vuol un disclaimer bello grosso, perché le aspettative sono alte, ma in fondo Musetti è un 2002, ha compiuto 21 anni a marzo ed è già nella top 20 del ranking mondiale, non è una cosa da poco. A luglio 2022 ha vinto il 500 di Amburgo in finale con Carlos Alcaraz, a ottobre la Tennis Napoli Cup contro Matteo Berrettini e lo scorso aprile si è tolto la soddisfazione di eliminare dal tabellone di Monte Carlo Novak Djokovic – questa è anche la Trinità delle sue vittorie preferite, per bellezza e importanza, almeno per ora.
Potenzialità e margini di crescita sono ancora inesplorati, lo ha ripetuto più volte anche il suo allenatore: potrebbero volerci due, tre, forse quattro anni per raggiungere il picco tennistico, anche solo per imparare a usare la poliedricità di quel talento in tutte le sue espressioni possibili, su ogni superficie, pallina dopo pallina. In un sistema complesso come una partita di tennis avere un range di alternative troppo ampio e una sensibilità che consente di immaginare qualsiasi traiettoria può essere controproducente, almeno all’inizio della carriera: le opzioni impongono scelte, e le scelte non sempre sono corrette, soprattutto nella tensione della partita. Allora bisogna semplificare: «In passato essere così multitasking, completo e saper fare un po’ di tutto è stato anche un problema, adesso pian piano riesco a semplificare la strategia e a schematizzare un po’ di più. Ma è sempre un equilibrio di pro e contro: da un lato ci sono le difficoltà nella selezione, dall’altro se puoi fare un po’ di tutto ne guadagni in imprevedibilità». Per ora, il lavoro, è un lavoro di sottrazione. Ed è un bel problema da avere.
Nell’estate del 2022 Musetti ha abbandonato la tecnica del foot-up al servizio – che lo portava a unire i piedi durante il movimento – per passare al foot-back, cioè mantenendo i piedi distanziati per tutta la preparazione del colpo. Un cambiamento che lo sta aiutando a migliorare uno dei punti deboli del suo gioco. Solo che ha iniziato con il foot-back durante Wimbledon, non in un periodo di pausa. Una scelta quanto meno originale, nel pieno di uno Slam, del torneo più prestigioso di tutti, cioè nel momento in cui tutti gli altri giocatori fanno ogni sforzo possibile per cercare la comfort zone. Ma è chiaro che Musetti sa di essere ancora un work in progress, in un’evoluzione costante in cui il suo gioco può affinarsi ancora. E il rapporto di fiducia estrema con Tartarini gli ha permesso di prendere una decisione di questo tipo, in un momento di tensione massima: «La scelta non ha dato i suoi frutti subito, ma nei mesi successivi si sono visti i risultati. Questo tipo di cambiamenti possono nascere sia da me sia da Simone, perché mi fido ciecamente di quello che dice, e lui mi ascolta molto se gli faccio notare le mie perplessità o propongo qualcosa di diverso dal solito». Sono piccoli dettagli tecnici, modifiche, esperimenti che stanno plasmando il giocatore e la persona, il presente e il futuro di Musetti, in un percorso di crescita che non può avere limiti prestabiliti: «Il sogno nel cassetto è diventare numero uno al mondo». La strada è ancora lunghissima, e gli ultimi step sono sempre i più difficili, ma questo non è mai stato un problema.