«I giri della vita», li chiama lui. Quando Antonio Mogavero è stato scelto per far parte del nuovo Sector Team, il gruppo composto da giovani atleti che interpretano lo storico claim No Limits nel mondo di oggi, ha scoperto che tutto questo era nel suo destino, apparteneva al passato della sua famiglia: «Mio padre», racconta Mogavero a Undici, «è sempre stato un appassionato di apnea. Quando io ero piccolo leggeva tutte le riviste di settore. Qualche mese fa ho ritrovato un orologio Sector No Limits che mia madre gli ha regalato per il loro anniversario di fidanzamento proprio perché lui lo vedeva nelle pubblicità di queste riviste. L’orologio lo uso ancora anche se, in realtà, non mi è stato ancora formalmente ceduto».
Quel Sector Team, quelle pubblicità, per l’apnea significavano un nome soltanto: il cubano Francisco Ferreras Rodriguez, per tutti Pipin, considerato uno dei migliori apneisti di tutti i tempi, il primo uomo di sempre a scendere a una profondità di 171 metri in assetto variabile. All’inizio di giugno Mogavero lo ha incontrato a Riva del Garda in un ideale passaggio di consegne. «Il primo ricordo che ho di lui», dice, «è quest’omone gigantesco con una muta gialla fosforescente: era una pubblicità di Sector No Limits. A distanza di più di trent’anni, ritrovarsi al posto di questi personaggi è una grandissima emozione».
Antonio Mogavero ha 27 anni ed è nato a Nardò, in provincia di Lecce. Ha vinto quattro medaglie di bronzo ai Mondiali, due nel 2018 e due nel 2022, e attualmente detiene due record italiani, 105 metri di profondità nell’immersione libera e 81 metri di profondità nell’immersione a rana. In apnea statica supera i sette minuti e mezzo senza respirare, più del tempo che impiegherete a leggere questo articolo per intero. La sua passione per questo sport nasce da suo padre Aldo e prima ancora da suo nonno Salvatore e i suoi sette fratelli, che nel mare del Salento praticavano la pesca subacquea con il batiscopio, una rudimentale tecnica di pesca in acqua bassa. «Sono cresciuto con tutti questi racconti», sorride, «io ero un bambino e loro partivano la mattina, andavano a pescare e portavano a casa il pesce che poi veniva cucinato nel modo in assoluto più ecosostenibile che si possa pensare».
Queste memorie, però, risalgono solo alle estati di Mogavero. Perché, a causa del lavoro dei suoi genitori, lui gli inverni li passava a Padova, lontano dal mare, dove si sentiva «irrequieto» e «incompleto». «Negli altri nove mesi l’unico modo per sfamare la mia voglia di acqua era andare a nuotare in piscina», ricorda, «poi appena ho potuto, quando ho compiuto 14 anni, ho iniziato anche i corsi di apnea. Ma, nonostante il passato della nostra famiglia, non è stato facile convincere i miei genitori, soprattutto mia mamma, perché comunque quando sei di fronte a qualcosa che non conosci un po’ di paura subentra sempre. C’è una bellissima frase che quand’ero bambino mi diceva sempre mio nonno, un uomo che ha vissuto molto il mare e che ha salvato anche alcune persone dall’annegamento: “Ricordati sempre che il mare feriti non ne fa”. Quindi nel suo modo voleva dirmi: ricordati sempre di portare a casa la pelle».
L’apnea è una disciplina relativamente giovane. A differenza del calcio, per esempio, non affonda le proprie radici nella seconda metà dell’Ottocento, ma l’epoca dei pionieri è tuttora ben impressa nella mente di un’intera generazione ancora in vita. Anche Antonio Mogavero, naturalmente, è cresciuto con i racconti delle imprese e della rivalità tra Enzo Maiorca e Jacques Mayol negli anni Settanta, quando si credeva che l’uomo non potesse spingersi oltre i 50 metri di profondità perché altrimenti la gabbia toracica sarebbe implosa, ma negli ultimi tempi il suo sport è cambiato in maniera repentina. «Prima i record si tentavano, c’erano i tentativi di record», spiega, «mentre adesso ci sono i campionati nazionali, gli Europei e i Mondiali. L’apnea si è evoluta tantissimo, una gara può durare un’intera giornata. Il taglio netto è avvenuto nel 2016, il primo anno in cui è stato inserito l’utilizzo del drone subacqueo, chiamato Diveye, che permette di riprendere le performance degli atleti interamente, durante la discesa e durante la risalita. Questo, oltre a consentire di vedere eventuali scorrettezze o irregolarità, ha aumentato esponenzialmente la portata mediatica del nostro sport».
Le innovazioni tecnologiche hanno contribuito anche a ridurre il numero degli incidenti. Una volta, infatti, l’assistenza veniva effettuata da subacquei muniti di bombole, che però prima di riemergere in superficie dovevano fare una decompressione molto lunga per evitare problemi di embolia. Ora invece il drone segue gli atleti anche a cento metri di profondità e, in caso di difficoltà, attiva un sistema di sicurezza che permette il recupero degli atleti in brevissimo tempo, a una velocità di risalita di oltre due metri al secondo. «Una rivoluzione», la definisce Mogavero.
«Ai giorni nostri anche i materiali sono super tecnici», continua, «si utilizzano delle pinne, delle attrezzature in carbonio con stratificazioni particolari, che sono molto più leggere, performanti e fluide, perché alla fine un apneista dev’essere in grado di creare il minimo ingombro possibile rispetto alla sua colonna d’acqua e deve avere più propulsione possibile per scendere più metri in assoluto. Abbiamo fatto dei grandissimi passi in avanti da questo punto di vista, e anche l’allenamento è cambiato rispetto al passato. Se prima c’era una metodologia più rudimentale, ora invece si sta affinando molto la tecnica, i migliori atleti nazionali e internazionali sono degli atleti che hanno alle proprie spalle una costruzione e una periodizzazione di altissimo livello, sono preparati sotto ogni aspetto, da quello fisico a quello mentale».
Grazie a tutte queste trasformazioni, l’apnea avrebbe tutte le carte in regola per diventare uno sport olimpico. Anzi, per tornare uno sport olimpico. Nel 1900, ai secondi Giochi estivi di Parigi, si disputarono infatti due gare molto simili all’apnea: il nuoto subacqueo, una specialità basata sulla distanza percorsa sott’acqua e sul numero di secondi trascorsi trattenendo il fiato, e i 200 metri ostacoli, in cui bisognava arrampicarsi su una pertica, passare sotto una fila di barche e poi superarne un’altra salendoci sopra. «C’era un progetto guidato dalla Francia per Parigi 2024», conclude Mogavero, «ma purtroppo è sfumato per motivazioni politiche. Però poi è successa una cosa bellissima: la Francia ha permesso ai suoi apneisti più forti di poter sfilare con la fiamma olimpica. Un ragazzo della mia età l’ha portata per le vie di Marsiglia, mentre un’altra ragazza è scesa a 40 metri di profondità in maniera simbolica. Sono stati dei segnali forti. Penso che, se la politica sarà al passo, in futuro potremo presto tornare alle Olimpiadi».