L’allenatore degli olimpionici

La preparazione degli sportivi (e non solo): intervista a Nerio Alessandri, fondatore e presidente di Technogym.

Parlare con Nerio Alessandri è un’esperienza imprevedibile. Ti prepari, pensi a tutto quello che vuoi chiedergli, nell’ordine esatto previsto dal tuo piano. Poi, appena cominci, lui ti spiazza: con una riflessione, con una domanda, con una provocazione. Lui è pronto, sempre. E, anche senza volerlo, ti allena continuamente. Perché non è solo il suo lavoro, la sua azienda, la sua vita. È il suo modo di essere: alla ricerca continua della perfezione, sua, degli altri, dei suoi prodotti e dei suoi servizi. Come quelli che mette a disposizione del più grande evento globale: i Giochi Olimpici. Da tre decenni, la sua Technogym è partner del Cio ed è l’azienda tramite cui arrivano i record, i successi, le medaglie olimpiche. A Parigi i centri di allenamento Technogym sono 29. E non chiamateli palestre, perché sono infinitamente di più: tecnologia, design, personalizzazione, performance, benessere, ora soprattutto salute, ovvero la partenza e l’arrivo di tutto questo, perché la salute consente la performance che produce altra salute. Parigi è il punto massimo della personalizzazione dell’allenamento, del precision program, ovvero la grande rivoluzione che Technogym e Alessandri hanno cominciato qualche anno fa. Parigi è l’inizio di una nuova era.

Ⓤ: Nerio, le Olimpiadi tornano in Europa. Parigi 2024, 12 anni dopo Londra 2012. Nel frattempo il mondo è completamente cambiato: negli ultimi 12 anni l’Europa ci è sembrata un po’ in difficoltà, stretta tra continenti che crescevano e facevano passi enormi. Adesso per due anni accade tutto qua: sembra una rivincita…

Lo sport è sempre correlato a una cultural wave. L’ho visto a Los Angeles nel 1984, a Barcellona nel 1992, a Sydney nel 2000. L’ho visto in Cina già dal 2002, quando andavo per preparare i Giochi del 2008: lo sport è una leva per la crescita di un Paese o di un continente e al tempo stesso un risultato dell’onda culturale che genera. Più recentemente pensiamo a quello che ha fatto il Qatar con i Mondiali di calcio: c’è un’aderenza tra quello che è il momento della celebrazione e il momento della performance, quindi sia sportiva che performance economica. E devo dire che l’Europa è stata così penalizzata, in questi cinque anni, che meriteremmo un risarcimento.

Ⓤ: Voi come ci arrivate a questo 2024, a questo appuntamento di Parigi?

La cosa interessante, la riflessione secondo me molto pertinente, è che in un quarto di secolo, diciamo dal 2000 al 2024-25, abbiamo proprio visto una trasformazione sportiva: da quella che era la problematica doping, a quello che, invece, è stato un programma di crescita psicofisica degli atleti. La performance sportiva, parlando con atleti importanti, ha avuto un’accelerazione grazie alla metodologia, grazie alla nutrizione, grazie al precision training. Nelle nostre prime Olimpiadi gli atleti erano un po’ a disagio perché non vedevano quella strada. Ciascuno aveva la sua preparazione un po’ “ideologica”, erano diffidenti nel farsi consigliare e guidare. Invece in questo momento, e l’abbiamo visto per Parigi con i layout dei 29 centri per 14mila atleti, non c’è un solo dubbio: anche chi deve fare tiro a segno, tiro con l’arco, deve avere un equilibrio psicofisico. Dall’allenamento cognitivo, che sta allo stesso livello dell’allenamento cardio, fino all’allenamento forza, all’allenamento flexibility e mobility

Ⓤ: Secondo lei questa evoluzione è guidata da voi?

Assolutamente sì, anche perché non ci sono altri. Come Apple ha guidato la trasformazione consumer del digital, come Microsoft l’ha guidata sul business to business, noi l’abbiamo guidata nel training, quella del sacrificio, quella dell’allenamento, quella della formazione permanente, perché exercise is medicine. Tu puoi avere una medicina buona e una medicina cattiva. La medicina cattiva è il doping, la medicina buona è il metodo, il sistema.

Ⓤ: E che cosa è successo?

Che il sistema ha vinto. Perché oggi, le assicuro, lo abbiamo visto con i nostri occhi, il livello di allenamento come tipologia, come intensità, come durata, come programmazione abbinata all’alimentazione, è diventato una scienza. Grazie al digitale e grazie all’ecosistema, tu programmi tutto. La macchina si adatta a te, è tutta elettromagnetica, tu sali sulla macchina, la macchina ti dà la postura, si regola, ti dà il carico in funzione di come tu ti muovi, lui sente la tua capacità o incapacità di controllare il movimento, quindi adatta lo sforzo, ti dà il range of motion che devi fare, ti dice la velocità con la quale devi fare movimento e ti dà un’ottimizzazione biofeedback. Così è stato dimostrato che si possono ottenere risultati migliori del 30 per cento rispetto ad altre tipologie di allenamento standard. Che tu sia Cristiano Ronaldo o un anziano che ha dei problemi di mobilità, non cambia niente. È quello che accade in molti altri settori: è frutto dell’automazione, dell’intelligenza artificiale e del suo sviluppo. 

Ⓤ: Ecco, ma quando lei è partito, dal famoso garage e dal primo macchinario fatto a mano, poteva immaginare che sarebbe accaduto tutto questo? 

No, assolutamente. Avevo la solita idea che trova da tutte le parti e che ho scritto nel mio primo libro: rimettere in moto il mondo. Poi abbiamo coniato Let’s move for a better world, ma comunque era rimettere in moto il mondo. Per una banale considerazione: abbiamo detto che se l’uomo è nato per fare 20-25 chilometri al giorno e li ha fatti fino a 1.000-2.000-10.000 anni fa, oggi ne fa 2-3-4, dipende. Quindi, affinché il corpo umano si adeguasse dal punto di vista dell’evoluzione della specie, c’era bisogno di un milione di anni. Volevamo accelerare. Tutto il resto è stato un’evoluzione che ha in parte seguito e in parte anticipato tutto quello che la digitalizzazione ci ha consentito e che noi abbiamo portato nel mondo del training e del wellness. 

Ⓤ: Secondo lei quanto influenzano gli atleti professionisti e gli atleti olimpici i comportamenti degli altri, di tutti noi? 

Moltissimo. In tutto il mondo c’è un’emotional connection e l’emulazione è alla base di tutto. E le Olimpiadi in questo sono potentissime. Per Technogym è decisivo continuare a lavorare, a estremizzare questo concetto sull’ultra performance. È come la Formula 1 per le auto. Se noi non avessimo questo driver, molte metodologie non le avremmo conosciute, molte tecnologie non le avremmo sviluppate.

Ⓤ: Quanto il biennio o il quadriennio olimpico influisce sui cicli di innovazione e sviluppo di tecnologie?

L’ultima Olimpiade è stata un po’ spenta perché c’erano le restrizioni Covid. È da otto anni che non si fanno Giochi veri. Parigi è fondamentale. E questi fanno sul serio: un’organizzazione spaventosa. C’è un grande impatto economico, perché non si trovava una camera a Parigi neanche a pagarla oro, c’è un impatto del Paese, perché il Paese si eccita dal punto di vista dell’energia, e parlo soltanto di sport. Le Olimpiadi toccano ogni pezzo di un Paese. Poi guardi, se posso, parliamo anche di Paralimpiadi. Perché noi continuiamo a parlare di Olimpiadi, ma le assicuro che dal punto di vista del flavour, dal punto di vista delle emozioni, le Paralimpiadi sono potentissime per aiutare la gente a riflettere.

Ⓤ: Giusto.

Sì, sì, è verissimo. E Parigi punterà molto sulle Paralimpiadi. Poi c’è un altro aspetto importantissimo che vorrei sottolineare.

Ⓤ: Quale? 

Il dopo. Cioè quando si spengono i riflettori, che se tu non hai un piano di legacy pronto che dura almeno qualche anno, il giorno dopo c’è la depressione.

Ⓤ: Perché cosa succede?

Che tutti i mega impianti non li hanno programmati per l’utilizzo. A Parigi stanno già pensando alla legacy. E vedrete che alla Francia rimarrà molto di questi Giochi.

Ⓤ: Tenendo un secondo da parte le Olimpiadi, adesso, nel suo piano, qual è la sfida?

Health. Tutto health. Tutto quello che noi chiamiamo prevenzione, quello sarà il futuro. Cioè, se tu 10, 15, 20 anni fa parlavi di prevenzione, la gente ti guardava così così e qualcuno faceva anche dei gestacci. Poi è arrivato il Covid, ma non l’hanno capito bene. Qualcuno dei politici non l’ha capito ancora. La gente parla di prevenzione, i governi parlano di prevenzione, le aziende parlano di prevenzione, quindi ecco Technogym Health, cioè il nostro Healthy Lifestyle, che nella nuova definizione è Healthspan, perché in passato per 40-50 anni si è parlato di Lifespan e ci siamo arrivati comunque. Invece il problema adesso è come ci arrivi, quindi dato che non c’è sostenibilità perché non ci sono i soldi, allora qua bisogna arrivarci sani. E lo sport è un enabler molto importante, è un attivatore.

Ⓤ: Come cambia l’impiego nell’azienda? Adesso che persone cerca? Cerca medici, cerca ingegneri, cerca programmatori?

Cerchiamo figure basate molto sui dati. Quindi tutto quello che è la gestione dei dati e le correlazioni, e quindi essere più precisi nelle decisioni, più precisi nelle attività che si fanno nello sport e nella riabilitazione. Per noi l’AI non è uno slogan. Poi cerchiamo sempre gente esperta legata allo sport, gente appassionata legata allo sport, legata al fitness e legata all’health. Abbiamo tre divisioni. In generale guardiamo molto la curiosità delle persone. E poi mi devi dire però se hai voglia di crescere, se hai un sogno da realizzare, se hai delle ambizioni. Dico sempre che fortunati si diventa.

Ⓤ: Lei dice sempre questa frase: se tu ti svegli la mattina con un obiettivo… 

Può darsi che lo realizzi. Se tu non hai priorità e non hai un sogno, farai fatica a trovare la tua strada. Anzi a dire il vero parlerei di ossessione. Pensi agli sportivi, dico per dire uno che conosco molto bene, Gianmarco Tamberi: avremmo dovuto fare una cosa insieme, e sa che mi ha detto? Non vorrei perdere un allenamento, spero non ti dispiaccia. Capito? Ossessionato. E così è l’imprenditore, e così è il cantante, e così è l’artista, e così il giornalista, e così il cardiologo, cioè i professionisti sono ossessionati. Ma non in senso negativo: in senso positivo. Vuol dire che hanno il famoso chiodo fisso, vuol dire che pensano sempre come migliorare. Lei adesso sta pensando a farmi la domanda migliore. E così io mentre parlo adesso, mentre sto parlando, sto cercando di capire se sto dicendo la cosa migliore che potrei dire. Non è una battuta. Questa è un’attitudine. Se tu hai questa attitudine di miglioramento continuo, con i dettagli, emergi nello sport, emergi in tutto. Io mi ricordo Michael Schumacher, aveva vent’anni. Arrivava con una valigetta in mano. Ma che fa un pilota con una valigetta? Poi la metteva lì, la apriva e aveva tutti gli appunti. Era il primo a arrivare nei box, il primo a arrivare nell’officina e l’ultimo a andare via. E così ho visto Nadal, e così adesso sto vedendo Jannik Sinner. I campioni sono tutti uguali. Curiosità, dettaglio, precisione. Se prendi tutti quelli che oggi vogliono vincere nel lavoro, nello spettacolo, dappertutto, sono tutti così: hanno un metodo, hanno disciplina.

Ⓤ: E questo in lei come influisce? Cioè, la ricerca della perfezione? Quanto motiva le sue giornate?

Moltissimo, perché io sono dell’idea che il problema non è fissare un’asticella bassa e superarla. Cioè il risultato non è fare quello, ma il risultato è averne una alta e poi, se non ce la fai, scendi. Quindi il problema non è tenerla alta e non raggiungerla, il problema è tenerla bassa e raggiungerla. Io dico: ragazzi, vivete ogni giorno come il giorno più importante della vostra vita. Se tu fai così, vedrai che delle cose succedono. E ogni occasione come quella che ti può cambiare la vita. Detto questo, poi ti devi portare dietro la squadra. 

Ⓤ: Quanti siete adesso?

Siamo 2.600 diretti e poi ci sono altri 2.000 indiretti. Quindi la mia giornata è quella dello strabismo. Io adoro il paradosso: lo strabismo è pensare a fra 50 anni perché io ho tre figli, come mi dico sempre – Erika, Edoardo e Technogym. E penso a loro tre tutto il giorno, tutti i giorni. Poi ogni tanto mi devo dire da solo di rallentare.

Ⓤ: E qualcun altro glielo dice? 

C’è qualcuno che me lo dice, in realtà.

Ⓤ: Chi?

Mia moglie me lo dice. E io le rispondo che il problema qui è che se tu rallenti e ti fermi non è che ti fermi, vai indietro, perché nel frattempo il resto va avanti.

Ⓤ: Tra il risultato finanziario e quello personale avrà un’idea.

Un obiettivo. Io parlo di obiettivi.

Ⓤ: Però tra questo obiettivo finanziario e l’obiettivo di realizzare una svolta culturale cosa sceglie?

Ma una svolta culturale tutta la vita. Perché se ottieni uno, ottieni anche l’altro. Cioè se tu persegui l’obiettivo probabilmente il successo arriva. Se tu non sei influente da un punto di vista culturale e non sei rilevante, perché ti devono comprare i prodotti? Secondo me c’è una grande differenza tra imprenditori e manager, piuttosto che fra imprenditori e imprenditori. Se noi rispettiamo il significato di essere imprenditore come modalità, allora gli imprenditori per me sono tutti sognatori. Non ho mai conosciuto uno che non è malato per il brand, malato per la customer satisfaction, malato per il design, cioè comunque sono tutte persone che sono motivatissime a migliorare il loro prodotto, i loro collaboratori, le loro fabbriche.

Ⓤ: Venendo più sul breve, le Olimpiadi sono arrivate. Lei cosa si aspetta dal momento in cui Olimpiadi e Paralimpiadi finiscono?

Lei vorrebbe tornare sul concetto di legacy.

Ⓤ: Per la città, questo sarà. Ma per Technogym e per quello che Technogym vuole fare nel suo futuro, che cosa vede?

Noi dobbiamo migliorare in un sacco di aree. Per certi versi siamo ancora una startup. Il nostro motto è sempre: se funziona e ha successo significa che è obsoleto. Quindi nel momento in cui speriamo di incrociare le dita, le cose vanno bene, gli atleti sono contenti, il CEO è contento, vuol dire che quindi dobbiamo ricominciare daccapo. Se aspettiamo e dormiamo, il rischio è che magari c’è l’autocompiacimento davanti allo specchio. Però attenzione ancora una volta, questo è un gusto, un divertimento. Allora la domanda è: lavorare con passione significa sacrificio fine a sé stesso o essere soddisfatti?

Ⓤ: E la risposta?

Ci sono milioni di persone che si sono interrogati su che cos’è la felicità. Io mi sono fatto una mia idea. La felicità è fare. Tu fai un dipinto perché ti piace dipingere, tu componi una canzone, o scrivi un articolo, o fai i lavori di casa e hai pulito bene la casa. Sei felice. Oziare, essere una nullità, quindi essere passivo eccetera, significa essere infelice.

Ⓤ: Vale anche per gli atleti professionisti e quelli super amatoriali?

L’idea stessa dell’allenamento finalizzato o la performance o il miglioramento della propria condizione fisica è fare. È la massima espressione del fare. Perché cosa c’è di più importante che fare qualcosa per la propria famiglia e per la propria vita? Perché oggi se tu stai male, le assicurazioni non ti pagano e c’è il bonus malus. Quindi c’è anche gente che magari si trascura e rovina anche la legacy per i figli. Tra l’altro c’è questa nuova ricerca, che non è ancora stata pubblicata, che dice che se tu hai un cattivo stile di vita, fumi, bevi, sei sedentario prima di tutto, gli effetti collaterali che hai dopo vent’anni, trent’anni, che può essere il diabete, l’ipertensione o semplicemente l’osteoporosi, vengono tramandati per due generazioni.

Ⓤ: Ultima cosa: quanto per lei ancora oggi conta che Technogym sia un’azienda italiana?

Di più, ha un valore stratosferico essere romagnoli. Neanche solo italiani, addirittura romagnoli. Cioè, l’albero che è cresciuto, che ha fatto i rami, il network che ha tirato fuori i frutti, i risultati, è forte tanto quanto le radici sono profonde. Noi per essere forti in Nuova Zelanda dobbiamo essere fortissimi in Romagna.

Da Undici n° 57
Foto di Dave Masotti