Rino Tommasi era Wikipedia prima di Wikipedia

Organizzatore di incontri di boxe, telecronista, statistico da enciclopedia. L'Italia perde un giornalista e un uomo visionario.

Se googlate “Rino Tommasi”, così tra virgolette, troverete sette risultati sul New York Times. Sette. Sul New York Times. Di cui due a firma Bud Collins, un riferimento del giornalismo sportivo americano, in particolare del tennis. L’ultimo articolo è datato 2005, vengono citati lui e Gianni Clerici che commentano la finale di Roma tra il giovanissimo Nadal e l’argentino Coria. Il primo risale al 1964, quando Tommasi faceva l’organizzatore di incontri di pugilato. Viene infatti definito promoter. Ed è un passaggio rilevante per comprendere Rino Tommasi (una di quelle persone quasi sempre definita da nome e cognome, come se fossero inscindibili). L’aver organizzato incontri di boxe è rilevante perché dice tanto del giornalista scomparso oggi a novant’anni. Non ha sempre fatto il giornalista. Lavorava già prima. Aveva una mentalità aperta, non formata nelle redazioni. Ha sempre avuto ben chiaro che la vita non era scandita dai resoconti, per quanto dettagliati e puntuali. Pur avendo vissuto decenni in cui il giornalismo contava eccome. Si faceva sentire. Ingaggiava battaglie. Il quarto potere narrato da Orson Welles. Non a caso il capolavoro cinematografico è del 1941.

Rino Tommasi, dicevamo, un lavoro ce l’aveva. O comunque se lo procacciava. Era una persona curiosa e attenta alle novità. Perennemente proiettata nel futuro. Veronese di nascita, ha sempre ragionato in termini di mondo, di globalità. Concetti che ha respirato in casa. Suo padre, Virgilio, ha partecipato a due Olimpiadi (nel 1924 e nel 1928) ed è stato per tredici anni detentore del primato italiano di salto in lungo. È cresciuto con lo sport. E ha sempre avuto, innato, un approccio rigoroso al racconto sportivo. Sui social hanno scritto «È stato Wikipedia prima di Wikipedia». Ed è una definizione che lo fotografa. Il suo essere enciclopedico non era mai pedante. Non snocciolava dati e informazioni per dare sfoggio della propria preparazione. Era semplicemente il suo modo di raccontare, di definire un atleta o un evento. La sua cultura giornalistica era anglosassone. Aveva le sue opinioni ma raramente le metteva in vetrina. Non era il suo modo di intendere il racconto giornalistico. Il suo modo era il mestiere vecchio stile. Essere al centro della scena. Muoversi nell’epicentro della notizia, dell’evento. Assumere quante più informazioni possibile per poi fare una cernita, scegliere quali dispensare e come.

Il grande pubblico, ovviamente, conosce Rino Tommasi grazie alla televisione. Secondo noi più per il tennis che il pugilato. Un po’ perché il pugilato ha conosciuto un declino che il tennis non ha conosciuto. La boxe ha avuto un’età dell’oro che è durata varie epoche e tante sono state raccontate da Rino Tommasi. Forse esagerò con Tyson, a nostro avviso non uno dei più grandi pesi massimi di tutti i tempi, ma sono gusti personali. Tommasi ti catturava. Col suo stile incalzante. Sempre sul pezzo, sul filo dell’evento. Quante volte vi è capitato di assistere a un evento tv e rendervi conto che il telecronista non ha notato un passaggio fondamentale? Tante, lo sappiamo. Con Rino Tommasi siamo tentati dal dire mai. Non abbiamo la controprova e ci limitiamo a un molto di rado. Ma siamo certi che la risposta è mai. Era abilissimo. Avevi la certezza che stava guardando l’evento con la stessa attenzione, la stessa passione che avevi tu da casa. Conosceva i pugni, il modo di portarli, coglieva quando un cazzotto aveva fatto veramente male. E quella voce. Che saliva di giri di pari passo all’incontro. E poi, nel pugilato come nel tennis, lavorava sempre come se fosse radiocronista. Riassumeva continuamente. Ogni due tre minuti, nonostante le sovrimpressioni, forniva l’aggiornamento della partita o dell’incontro. «È ovvio», dirà qualcuno leggendo. No, non è ovvio.

Nella boxe era da solo a fare le telecronache. Nel tennis ha dato vita a una delle coppie più celebri del giornalismo sportivo italiano. Probabilmente la più celebre. Gianni Clerici e Rino Tommasi. Il giorno e la notte. Due grandissimi giornalisti con due stili che più lontani non si poteva. Tommasi definì Clerici “il dottor Divago”, lui che non divagava mai. Che sapeva sempre gli atleti quanti anni avessero, quanto pesassero, quanto fossero alti. Parlava di confronti diretti quando appunto non c’era Wikipedia. E quindi internet. I due sono storia del giornalismo televisivo italiano. Con i loro siparietti. La loro diversità. Ma anche e soprattutto la loro competenza. La loro professionalità. Entrambi hanno giocato seriamente a tennis. Tommasi fu seconda categoria nonché quattro volte campione italiano universitario – e qui sottolineava sempre che i suoi successi erano indice dello scarso grado di cultura del nostro Paese.

Era british. Anche quando tifava. Perché sì le loro telecronache hanno attraversato anni grigi del nostro tennis, per non dire bui. Ma in qualche partita importante di tennisti italiani si sono imbattuti. Pensiamo a Wimbledon 1989 con Laura Golarsa e Raffaella Reggi a un passo da clamorose vittorie contro Chris Evert nei quarti di finale e Arantxa Sanchez al terzo turno. Ecco, quelle telecronache andrebbero recuperate. Si può tifare senza essere mai sguaiati né antisportivi. La grandiosità di Rino Tommasi – anche di Clerici, ovviamente – era che gli veniva naturale. La primazia era dello sport. Era lì perché amava lo sport. Non certo il campanilismo. Era finito a fare il giornalista perché quegli incontri con ogni probabilità li avrebbe visti ugualmente nella vita o almeno avrebbe voluto vederli. E sono diventati la sua occupazione. La passione. La dedizione. La preparazione. Adriano Panatta non li amava; possiamo solo dire che nessuno è perfetto.

Tommasi era un giornalista e secondo la concezione statunitense un giornalista non ha amici. Sembra assurdo dirlo oggi quando impera, almeno in Italia, il concetto esattamente contrario. Paolo Bertolucci raccontò che, durante un torneo, incontrò Rino Tommasi una sera in discoteca. Il giorno dopo Bertolucci perse malamente. Tommasi fu feroce nell’articolo ma non fece alcun accenno alla nottata. Tommasi ha lavorato quarant’anni alla Gazzetta dello Sport. Continuò a scrivere per la Gazzetta anche quando Berlusconi lo chiamò a Canale 5 a occuparsi della redazione sportiva. Aveva capito che Tommasi era un giornalista attivo, intraprendente, uno in grado di intercettare i fenomeni. Non un giornalista da nota spese. E infatti portò il Super Bowl in Italia, e non solo. Da tempo si era ritirato dalle scene per la malattia. Eppure non ci siamo mai abituati alla sua assenza.