Pedro non finisce mai

A 38 anni, l'attaccante spagnolo è ancora uno dei giocatori più decisivi della Serie A. Anche in una squadra, la Lazio, che pratica un calcio che nessuno assocerebbe alle sue caratteristiche.
di Francesco Gottardi 06 Marzo 2025 alle 10:26

Parola di capitano: «Pedro era l’uomo perfetto per quel rigore‚. Mattia Zaccagni sorride, la sua Lazio ha appena sbancato San Siro. Sul tabellone lampeggia il nome dell’ex Barça, castigatore dagli undici metri al minuto 98′: fuori tempo massimo, come una carriera che non ha nessuna intenzione di tramontare. Perché in casa biancoceleste, ormai, Pedro Rodríguez Ledesma rappresenta qualcosa in più del prestigio, della classe cristallina, del suo straordinario curriculum. È il non plus ultra dell’andare oltre, all’interno di una stagione che, per l’intera banda Baroni, si continua a rivelare oltre ogni più rosea aspettativa. Uno spirito guida, per una squadra che gioca un calcio – corsa, atletismo, esplosività – antitetico alle raffinatezze tecniche dello spagnolo. Eppure lui vi calza a pennello. Sempre, in tutte le fasi della partita. Meglio ancora se decisive.

Quel gol contro il Milan si carica di valore ben oltre le facce attonite sugli spalti del Meazza. È il decimo dell’annata di Pedro: già in doppia cifra, come agli albori della sua avventura in biancoceleste, ma stavolta in appena 30 presenze (all’epoca, stagione 2021/22, furono 41). L’attaccante viaggia a una media di una rete ogni tre partite. Per tornare a una performance del genere bisogna riavvolgere il nastro a ben sei anni fa: la squadra era il Chelsea, che a fine stagione avrebbe alzato l’Europa League. Con gol di Pedro in finale. E pensare che nelle ultime due alla Lazio – per arrivare a dieci gol gli ci sono volute 91 presenze, sempre più periferiche – sembrava aver finito la benzina.

La media gol di Pedro

Pedro ha ingannato tutti, a partire dal tempo. Il quadro è ancora più impressionante se prendiamo i minuti nelle gambe. Finora, tra campionato e coppe, il numero 9 ne ha accumulati soltanto 1440, quindi ha segnato un gol ogni 144′ (oppure dieci in 16 partite effettive). In quel 2019 a tinte dorate, ne segnava uno ogni 238′. Anzi – e per scrivere la frase seguente abbiamo spulciato ogni statistica di Transfermarkt armati di calcolatrice, ripetendo più volte l’operazione – la sola volta in carriera in cui Pedrito ha avuto una media-gol più alta di quella attuale (129 minuti) era stata nel 2010/2011. Cioè nel suo prime assoluto, con la maglia del Barcellona addosso, quando il tridente con Messi e Villa andava spadroneggiava nel calcio europeo vincendo Champions, Liga e Supercoppa di Spagna.

Piccola nota a margine: Pedro di anni oggi ne ha quasi 38. Sarebbe riduttivo relegarlo a buon vino che invecchia bene, o ad attempato Re Mida del gol, con il vizio di realizzarne di pesantissimi e tardivi (quattro oltre il minuto 83′). Ha un’intelligenza fuori dal comune, non solo per quel che si vede in partita, ma soprattutto per la sua capacità di incidere all’interno dello spogliatoio: jolly, protagonista o comprimario non fa differenza. Ha la cultura calcistica di pochissimi eletti, come d’altronde sono i suoi record: è stato il primo giocatore di sempre a segnare in sei competizioni differenti nello stesso anno solare – soltanto Messi l’ha poi eguagliato – ed è uno dei cinque ad aver fatto centro sia finale di Champions sia in quella di Europa League. Inoltre sa dosare le sue energie, nei limiti di un fisico che inizia a chiedere inevitabilmente il conto, compensando la coperta corta con qualità da fuoriclasse sempreverde (oltre che entusiasti siamo pure realisti: Pedro oggi non sarebbe più Pedro, se giocasse 90 minuti a partita in Serie A).

Tutti gli allenatori si innamorano di Pedro

Consapevolezza, umiltà e mentalità da campioni compongono una rara triade caratteriale in questo sport. Anche per questo Pedrito continua a essere il beniamino di tifosi, compagni e allenatori ovunque vada. «Parliamo di un giocatore infinito e di un uomo immenso», dice oggi Baroni. «È fenomenale, sa cambiare le partite in ogni momento», lo anticipava Sarri qualche tempo fa. E analoghe parole al miele piovvero da Conte, Luis Enrique e Guardiola.

Soltanto con Mourinho il rapporto fu più distaccato – non poteva essere altrimenti, vista la particolare attitudine dello Special One verso qualunque reminiscenza blaugrana. «Ringrazio ancora la Roma per avermi ceduto alla prima squadra della capitale», ha risposto Pedro di recente. «Il mio sogno è vincere un trofeo qui prima di smettere: possiamo ambire all’Europa League. Se succede mi butto nella Fontana di Trevi».

Come si tradurrà “seconda giovinezza” in spagnolo?

Pedro sa come si vince

E a proposito di Europa: oggi la Lazio giocherà l’andata degli ottavi di finale, in casa del Viktoria Plzen. Fin qui il cammino è immacolato, il tabellone sulla carta agevole. Ma ora tutto si azzera e i biancocelesti dovranno essere bravi a non farsi prendere dall’entusiasmo. È qui che entra in campo Pedro, ancora prima che sul terreno di gioco. Sa più di ogni altro come si vince – 25 titoli in bacheca – e ha già fatto sua questa competizione. Sa pure che il momento è adesso, per lui e per la Lazio.

Pedro sa che dopo un passo ce n’è sempre un altro, applicando al calcio quel che Hokusai decretò per le arti figurative nel Giappone dell’Ottocento: «All’età di 6 anni ho sentito il desiderio di dipingere qualsiasi cosa vedessi attorno a me; dopo i 50 anni avevo già fatto un buon numero di opere ma non ero affatto contento del mio lavoro. Solo adesso, all’età di 75 anni, ho parzialmente capito la vera forma e il carattere di uccelli, pesci e piante. All’età di 80 anni avrò certamente fatto ulteriori progressi: cosicché, quando avrò 90 anni, riuscirò a penetrare nella vera essenza delle cose. A 100 anni raggiungerò un alto livello di perfezione e, all’età di 110, ogni cosa che io creerò, ogni punto e ogni linea che traccerò, saranno vita essi stessi». Di Pedro palla al piede s’è già perso il conto.

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