Il calcio inglese ha un problema con l’abuso di sonniferi da parte dei giocatori

L'ultima testimonianza di Christian Norgaard, capitano del Brentford, ha riacceso i riflettori sui problemi del sonno che colpiscono gli atleti professionisti.
di Redazione Undici
13 Marzo 2025

Il capitano del Brentford, Christian Norgaard, l’ha ammesso piuttosto candidamente durante un’intervista rilasciata alla BBC: «Ho temuto di diventare dipendente dai sonniferi. Ho iniziato a prenderne quando giocavo in Danimarca, al Brondby: prima di una partita importante ho dormito male, poi mi sono chiesto se avrei disputato una brutta gara a causa della nottata difficile. Così ho iniziato a usare le pillole, in modo da evitare alla radice questo problema». L’esperienza raccontata da Norgaard è dolorosa ma a lieto fine, visto che l’intervento di una coach del sonno – Anna West, che lavora da otto anni con il Brentford – gli ha permesso di uscire da questo circolo vizioso. Il punto, però, è che il caso di Norgaard è meno isolato di quanto si creda.

Dele Alli, tra tutti i giocatori professionisti, è stato uno dei primi a parlare di dipendenza da sonniferi nel corso della carriera. Lo ha fatto nel 2023 in una memorabile intervista rilasciata a The Overlap, il canale/programma di Youtube creato da Gary Neville, in cui aveva spiegato che «questo problema è molto diffuso». Prima di lui, anche Ryan Cresswell – ex difensore dello Sheffield United con una lunga carriera nelle serie minori inglesi – e l’ex portiere del Liverpool Chris Kirkland si erano autodenunciati, avevano ammesso la loro dipendenza. Al di là dei casi singoli, anche le statistiche confermano una tendenza in crescita: nel 2020, la Professional Footballers’ Association ha pubblicato i risultati di un sondaggio sui problemi di salute mentale nel mondo del calcio, e il 9% dei giocatori intervistati ha confessato di avere – o di avere avuto – problemi di dipendenza.

In un reportage pubblicato da The Spectator nel 2023, si legge che «i calciatori sono gli sportivi più a rischio per quanto riguarda l’abuso di sostanza: tra gli atleti d’élite, sono tra quelli che provengono dagli strati sociali meno benestanti, poi si ritrovano a essere estirpati dal loro contesto familiare quando sono giovanissimi. Infine, sono stritolati da ritmi frenetici tra allenamenti e partite». Sono tutte condizioni che, in qualche modo, li rendono più esposti all’abuso di sostanze. Se poi aggiungiamo l’adrenalina per le partite, la pressione dei media e dei procuratori, è praticamente inevitabile che sviluppino problemi relativi al sonno.

Infine, un altro aspetto non secondario riguarda il denaro: i calciatori sono ricchi e quindi hanno un accesso facilitato all’assistenza sanitaria privata, un ambiente in cui i medici sono inevitabilmente più propensi ad assecondare le richieste di prescrizioni da parte dei pazienti. È chiaro che, come nel caso del Brentford con Norgaard, i club possono e devono fare da presidio, sono l’istituzione che più di ogni altra è in grado di prevenire problemi di questo tipo, oppure di aiutare i giocatori che hanno già sviluppato una dipendenza. In questo senso, i coach del sonno sono delle figure sempre più importanti, come se non più rispetto ai nutrizionisti e ai fisioterapisti. Le parole di Norgaard, come dire, non lasciano dubbi.

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