La NBA potrebbe sostituire l’All-Star Game con una partita tra USA e Resto del Mondo

È questa la strada per rianimare un evento che ha perso pubblico e fascino?

Per ridare un po’ di vita all’All-Star Game, la NBA le ha provate davvero tutte: dalle squadre scelte dalle star, e non più divise a seconda della Conference di riferimento, alla vittoria delimitata dal raggiungimento di un punteggio – regola che fa molto campetto di periferia. Anche per l’edizione 2025, disputatasi al Chase Center di San Francisco, il format è cambiato di nuovo: dopo diverse riunioni tra la lega, giocatori, allenatore e analisti, si è scelto di avere quattro squadre, tre composte dai convocati più una assemblata dopo una sfida tra le Rising Stars. Il programma prevedeva due semifinali al meglio dei 40 punti, con le due vincenti che si sono incontrate in una finale al meglio dei 25 punti. Risultato? Uno scarso riscontro televisivo, il secondo peggior ascolto di sempre e critiche diffuse su ritmo e struttura delle partite. Il commissioner Adam Silver ha definito l’All-Star Game in modo lapidario: «È stato un fallimento».

È chiaro che occorra trovare una soluzione, e così gli esperti marketing NBA si sono messi al lavoro. Come riportato da The Athletic, sull’onda dell’enorme successo mediatico registrato dal recente torneo internazionale di hockey su ghiaccio organizzato dalla NFL, anche la NBA sta valutando seriamente di creare una sorta di competizione internazionale, con squadre composte in base alla provenienza geografica dei giocatori. Durante un incontro a New York con i membri della stampa sportiva, Silver e il presidente delle basketball operation Byron Spruell hanno confermato che ci sono stati dei contatti con il nuovo partner televisivo, NBC. Obiettivo: dare vita a una formula innovativa per l’All-Star Game 2026, in calendario per il 15 febbraio del prossimo all’Intuit Dome, casa dei LA Clippers e futura sede del torneo olimpico di basket di Los Angeles 2028. «Il nostro All-Star Game», ha detto Silver, «tornerà su NBC nel mezzo della copertura delle Olimpiadi invernali. Vista la crescente attenzione per le competizioni internazionali, come dimostrato dalle Olimpiadi estive di Parigi, insieme al sindacato giocatori stiamo valutando un formato che veda gli atleti NBA rappresentare i loro Paesi o regioni, superando lo schema tradizionale».

Spruell ha confermato che tra le ipotesi sul tavolo c’è un confronto diretto tra Stati Uniti e Resto del Mondo, oppure un torneo a più squadre, basato su nazionalità o macro-regioni: «NBC è molto interessata al progetto», ha detto Spurell, «e anche noi lo siamo. Vogliamo proporre qualcosa di nuovo e stimolante». Del progetto si ipotizzava già da qualche anno, ma la NBA non era ancora pronta a livello numerico: non c’erano abbastanza giocatori nati fuori dagli Stati Uniti. Ora che in NBA ci sono 125 cestisti non americani, circa il 27% del totale, i tempi sembrano davvero maturi. Inoltre tra i candidati MVP di quest’anno ci sono un canadese (Shai Gilgeous-Alexander), un serbo (Nikola Jokić) e un greco (Giannis Antetokounmpo). Sembra l’inizio di una barzelletta, ma è la conformazione della nuova NBA, una lega sempre più globale.

Insomma, una scelta di questo tipo garantirebbe l’interesse di molti più mercati, anche fuori dagli USA: un aspetto che la NBA ha sempre guardato con significativo interesse. C’era però bisogno di qualcuno che tracciasse la strada. Come detto ci ha pensato la NHL: il recente Nations Face-Off, un mini-torneo disputato a febbraio che ha sostituito l’All-Star Game dell’hockey, ha visto sfidarsi le “Nazionali” di Stati Uniti, Canada, Svezia e Finlandia. Ed è stato un successo: l’incontro finale tra USA e Canada ha registrato ascolti record, ben 9,3 milioni di spettatori su ESPN e 7,3 milioni su Sportsnet in Canada. La NBA è sempre stata una lega innovativa e non è nuova agli esperimenti, e quindi potrebbe replicare questo format.

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