Doncic ai Lakers ci racconta come funziona la NBA di oggi

Nell'addio dello sloveno a Dallas c'è tutto: la battaglia di potere tra giocatori e franchigie, l'azzardo dei Mavs e la crescente importanza dei Big Markets.

Quando abbiamo letto il tweet di Shams Charania relativamente a uno scambio di metà stagione riguardante Luka Doncic e Anthony Davis, eravamo certi che fosse vittima di hacking o di un qualche scherzo. I motivi sono tanti, tantissimi. Alcuni sono palesi, altri sono sommersi in una valanga di dicerie, frasi fatte e giochi allinterno di accordi contrattuali regolamentati dalle sacre regole di Mr. Silver e della NBA.

Non staremo qui a spiegare il perché Luka Doncic è un talento generazionale, per quello basta aver visto una partita NBA o aver letto un articolo qualsiasi sui suoi innumerevoli record. Il fatto è che lNBA va ben oltre queste cose. LNBA è una meravigliosa soap opera in cui gli sceneggiatori sono le dirigenze stesse. Ma andiamo per gradi. In un contesto in cui giovani stelle come DeAaron Fox dei Sacramento Kings e veterani come Jimmy Butler dei Miami Heat cercano disperatamente una nuova casa, nessuno si sarebbe aspettato di vedere Luka Doncic sul mercato. Questo perché lo sloveno è uno dei nomi più importanti della NBA attuale e certi cambi di scenario non accadono dal giorno alla notte per un giocatore del genere. Eppure è successo: Luka Doncic arriva ai Los Angeles Lakers, la corte di LeBron James, insieme a Markieff Morris e Maxi Kleber, in cambio di Anthony Davis, Max Christie e una prima scelta dei Lakers del 2029. Nella trade troviamo anche gli Utah Jazz che recuperano un paio di noccioline per far quadrare in conti, ricompensati con delle seconde scelte per la cortesia.

Ma cosa porta una squadra a scambiare un talento generazionale come Doncic? Secondo il GM di Dallas è solo la volontà di avere una maggior difesa: un centro difensivo e versatile come Davis permette di essere più competitivi in postseason. Così ha detto Nico Harrison, tralasciando però moltissimi altri elementi, al punto da sembrare distaccato dalla realtà. Laspetto tecnico è infatti un grande punto interrogativo per entrambe le squadre dal momento che, con tutti i giocatori sani, Dallas era già quella più pronta a fare una buona postseason e che questo scambio non è la differenza tra vincere e perdere il titolo per entrambe.

Nessuno nega le capacità fenomenali di Anthony Davis in campo, così come nessuno dimentica che Luka Doncic non gioca da Natale, fermo per un infortunio che non gli ha permesso nemmeno di fare parte del prossimo All-Star Game, ma ciò che ha fatto discutere è il magro bottino che Dallas ha portato in Texas. Vero, Davis è un giocatore di prima fascia ma per i nomi che scrivono le storia come quello dellex numero 77 di Dallas ci si aspetta di più. Se Mikal Bridges ai Knicks ha portato allarrivo di cinque prime scelte a Brooklyn, ciò che è arrivato a Dallas crea molti dubbi sul futuro dei Mavericks: Davis ha più di 30 anni e ancora 2 anni e mezzo di un contratto da 60 milioni a stagione che non aiuta Dallas sul mercato free agent, e soprattutto azzera la futuribilità di una franchigia che ora ha le proprie stelle in Kyrie Irving (32), Klay Thompson (34) e appunto Davis. I giocatori funzionali ci sono nei Mavs, come P.J. Washington, ma non certo a un livello tale da prendere in mano una franchigia. Insomma, Dallas ha dato via Luka Doncic per un prestitodi due anni in cui hanno deciso di andare all-in: titolo o rifondazione.

Il problema è che non sembra una squadra da titolo e non ha nemmeno portato a casa abbastanza asset giovani o scelte al Draft per velocizzare il processo. Al contrario i Lakers hanno preso lincredibile talento del numero 77 che va a inserirsi in una squadra che a oggi è prima della propria division, ma che perde il suo miglior asset difensivo, nonché miglior realizzatore, in cambio di un giocatore infortunato, tuttaltro che difensivo e che, quantomeno, dovrebbe avere il compito di sostituire LeBron James come leader e volto della franchigia.

Ma quindi perché Dallas ha cambiato pagina? Entra in campo ora la NBA al suo meglio, quella fatta di economia, di voci di corridoio e dubbi. La NBA è una cosiddetta PlayersLeague, ovvero una federazione in cui il pubblico, la fama e lappeal delle squadre li fanno i giocatori: insomma, quello che hai scritto sulla schiena conta più di quello che hai scritto sul petto, a differenza del calcio europeo. Per questo motivo, sono tanti i giocatori NBA che hanno già pubblicamente espresso dubbi su questa trade, dicendo che sotto c’è molto altro che verrà fuori col tempo. A quanto pare, alcune cose stanno già affiorando. Dallas sarebbe stanca dellatteggiamento distaccato di Doncic. Che, peraltro, non riesce a rimanere in forma: nel recupero di questo infortunio avrebbe infatti toccato anche i 122 chilogrammi, senza avere la volontà di cambiare stile di vita. Dallas, che ha una nuova dirigenza e una nuova proprietà, esasperata da Dončić, avrebbe fatto questa trade per far capire chi comanda. I giochi di potere tra dirigenze e giocatori sono allordine del giorno in NBA e questa trade, una delle più grandi della storia recente, apre un discorso importante: se la famosa The Decisiondi LeBron James ha fatto capire ai giocatori NBA di poter decidere dove voler giocare, ci sono volte in cui i GM vogliono ancora mostrare i muscoli. Ma è davvero così? Luka è stato solo vittima di questa trade?

Anche economicamente parlando, questo scambio ha vincitori e vinti. A vincere è sicuramente la NBA. Nellera moderna infatti la NBA e i media generalisti americani stanno focalizzando ancora più lattenzione sui cosiddetti big markets, quindi sulle piazze in grado di attrarre grande interesse mediatico come New York, Boston, Los Angeles, Chicago e Miami. Spesso sentiamo infatti dire «quel giocatore merita un big market» seppur tutti sappiamo che le piazze più piccole possono vincere un anello (chiedere a Denver e Milwaukee per sicurezza); ma il desiderio di vedere una superstar in una città di prima fascia è un desiderio fortissimo in USA. Anche per questo, linteresse televisivo verso le realtà più piccole è sempre più basso, portando ottime squadre come Detroit, Indiana e Cleveland, per fare un esempio, lontano dai riflettori che meriterebbero. E quindi Doncic a Los Angeles è una manna dal cielo per Adam Silver, meno per i tifosi di Dallas che già avevano stampata in testa limmagine di un nuovo europeo come simbolo della franchigia per il ventennio successivo a quello di Dirk Nowitzki.

A festeggiare è anche Nike, peraltro sponsor unico della NBA. Seppur Davis sia un asset importante dello Swoosh, non è certamente pari a LeBron James. King James infatti è luomo Nike per eccellenza e da oltre 20 anni porta avanti la sua signature line di scarpe firmate dal marchio di Beaverton, una linea che a breve potrebbe cessare considerando il suo imminente ritiro. Luka Doncic è invece fresco del contratto con Jordan Brand e la sua signature, ovvero la scarpa a proprio nome, è solo al terzo modello. La possibilità di continuare ad avere un signature athlete in una piazza come Los Angeles, peraltro in maglia Lakers, è unopportunità troppo ghiotta per un brand ed estremamente redditizia per il giocatore sloveno. Unopportunità che Luka dovrà cogliere al volo visto che questa trade gli è costata 100 milioni di dollari di contratto: a Dallas, alla fine della prossima stagione, avrebbe infatti potuto firmare un vet supermax contract da 345 milioni in 5 anni, mentre, cambiando squadra, le regolamentazioni NBA lo limiteranno a un quinquennale da 230 milioni. Proprio questo sistema di limitazioni contrattuali è ciò che, collegandoci con quanto detto prima, rischia di distruggere i piccoli mercati. Dallas aveva timore di pagare 345 milioni un solo giocatore, cifra che l’avrebbe messa in difficoltà, proprio come era successo con Minnesota in estate che si era privata di Karl-Anthony Towns – partito in direzioni New York tramite una trade non particolarmente redditizia. Considerando questo sistema contrattualistico, sarà praticamente impossibile per un giocatore rimanere in una piccola piazza nel proprio prime per fattori economici. Insomma, “The Decision” fece capire ai giocatori NBA che avrebbero potuto scegliere le proprie destinazioni, ma il vet supermax contract ha permesso alla NBA di influenzare queste scelte a favore delle realtà più redditizie televisivamente parlando.

Questo scambio farà la storia perché ha mostrato come le voci di corridoio e lesasperazione emotiva posso far svalutare un giocatore che fino a due mesi fa sarebbe potuto essere scambiato solo in cambio di una unipoteca sul futuro di unaltra franchigia. Eppure qualche voce sul mancato rispetto della dieta e la mancanza di gestione emotiva di una superstar sono bastati a Dallas a non portare a casa un bottino adeguato a quanto Luka ha fatto dal suo debutto NBA a oggi in una trade che, a effetto valanga, cambierà il modo di indagare sullaspetto extracestistico di un giocatore, creando un nuovo sliding door nel mondo NBA, una trade che, oggi più che mai, toglie ulteriore forza alle piccole città e impone i grandi mercati come unica casa per le superstar globali.